Gli umani sono capaci di comprendere non solo cani e gatti: sanno intuire anche il significato delle vocalizzazioni degli scimpanzé.

Quando un gatto miagola non sta solo… miagolando: chiunque ne abbia mai avuto uno ha imparato a distinguere tra il miagolio di saluto, quello di rabbia, quello di paura; lo stesso vale per i cani e l’ampia gamma espressiva del loro abbaiare. Molti esperti, a cominciare da Darwin nell’Ottocento, sostengono che ci siano radici evolutive dietro questa nostra capacità di comprendere la comunicazione interspecifica.
Ora un nuovo studio dimostra che non funziona solo con gli animali domestici, ma anche con un nostro parente molto stretto: lo scimpanzé.
COME STA LO SCIMPANZÉ? Il gruppo di ricerca che ha condotto lo studio, e che comprende ricercatori delle Università di Amsterdam e York e del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia, ha registrato 155 diverse vocalizzazioni emesse da 66 scimpanzé in 10 situazioni diverse, e le ha sottoposte a un campione umano chiedendo loro di catalogarle in base al sentimento che secondo loro esprimevano (rabbia, aggressività, felicità). I risultati non sono stati eccezionali, per cui il team ha cambiato e semplificato l’esperimento, chiedendo agli esseri umani di associare ogni vocalizzazione a una o più voci di una lista prestabilita. È andata molto meglio: i volontari sono riusciti a identificare con estrema precisione a quale sentimento corrispondesse ogni vocalizzazione.
L’EVOLUZIONE DELLA COMUNICAZIONE. L’esperimento è stato condotto usando esclusivamente le vocalizzazioni, senza che quindi gli umani potessero vedere gli scimpanzé in questione. Per interpretarle si sono dunque affidati, secondo i ricercatori, a una serie di dettagli sonori che sono gli stessi che utilizziamo per i versi di cani e gatti: altezza, rumorosità, durata, profondità.
Non tutte le vocalizzazioni sono risultate uguali: i volontari hanno “letto” molto più facilmente i versi di gioia e quelli di rabbia, mentre hanno fatto più fatica con quelli più complessi, per esempio il suono che fa uno scimpanzé neonato quando viene separato dalla madre. In generale, però, si legge nello studio, «gli ascoltatori umani sono stati in grado di dedurre informazioni efficaci sulle vocalizzazioni degli scimpanzé», il che, secondo i ricercatori, è un importante passo avanti per comprendere meglio l’evoluzione della comunicazione.
Gabriele Ferrari, Focus.it