Sono stato un giocatore di una certa importanza. Purtroppo non ci si comporta mai secondo la saggezza che deriva dalle lunghe e forti esperienze. Coraggio e freddezza quando si vince, prudenza e pazienza se si perde
(di Cesare Lanza per La Verità) All’inferno e ritorno! Oggi, e nelle prossime domeniche, vi scriverò di gioco d’azzardo. Ma una cosa desidero dirvi, prima di tutto: non ho nulla da insegnarvi. Per una semplice ragione: sono stato un giocatore di una certa importanza, stimato ed esperto, e ho imparato molto. Purtroppo, i giocatori non si comportano mai (quasi mai? sono generoso) secondo la saggezza che deriva dalle loro lunghe e forti esperienze: tormentate, ingannevoli, a volte anche felici. Tuttavia, sperando di farvi cosa utile, vi scrivo subito i miei consigli, che presuntuosamente definisco i miei dieci comandamenti. Non sono mai, o quasi, riuscito a rispettarli: se voi invece ce la farete, all’inferno (del gioco) non ci andrete, e, se vi capiterà di precipitarvi, saprete come ritornare presto alla luce.
Eccoli, i miei dieci comandamenti:
1) Stabilite, sempre e preventivamente, prima di entrare in un casinò, o di affrontare qualsiasi gioco d’azzardo, quanto denaro al massimo vogliate rischiare. E poi non cambiare mai – mai – idea.
2) Se si entra in una serie negativa, abbandonate rapidamente il gioco. Non insistete mai per testardaggine, per orgoglio, o, peggio ancora, per passione, allo scopo di «rifarsi».
3) Quando si entra in una serie positiva, non abbiate paura di giocare, anche fino alle massime puntate consentite. All’occorrenza giocate tutto. Se si perde, non rimpiangerete la vincita buttata via. Non era denaro vostro, era denaro dei vostri avversari o della casa da gioco. Le forti giocate si devono fare solo rigiocando le vincite; così come le grandi perdite si accumulano tentando di recuperare le perdite. Non si vincerà mai, in maniera significativa, se non si avrà il coraggio di puntare forte, quando è il momento giusto.
4) Non giocate mai con i nervi a pezzi, o stanchi, o distratti, o ubriachi, o pensando ad altro. La fortuna va corteggiata come si fa con una donna. La fortuna è importante, ma bisogna riconoscerla e gestirla. I vostri numeri alla roulette usciranno anche se siete ubriachi e stanchi. E non usciranno anche se siete concentratissimi e lucidissimi. Ma sono indispensabili – in vincita – il coraggio, la freddezza. In perdita, sono indispensabili la prudenza, la capacità di rinunciare, la pazienza. Non giocate mai se non vi sentite in forma perfetta. Non bevete, non discutete, non amoreggiate: non pensate ad altro che al gioco.
5) Non fate mai debiti per giocare. I debiti pongono in una condizione psicologica di svantaggio. Ansia di rifarvi, preoccupazione di restituirli… Non riuscireste a essere lucidi come si dovrebbe.
6) Siate sempre precisi e gentili con gli impiegati delle case da gioco, dovete aiutarli nel loro lavoro. Non esagerate, ma non siate avari nelle mance. In caso di contestazioni, andate freddamente fino in fondo, senza discussioni inutili: se mai chiedete l’intervento dei dirigenti. Esponete con serenità e fermezza le vostre ragioni.
7) Fino a quando non entrate in vincita, puntate sempre la stessa somma. Evitate così il rischio di vincere poco, o di perdere molto, per scarsa regolarità. Ma quando si è in vincita (rileggete il terzo comandamento), osate, osate, osate.
8) Quando si è in serie fortunata, osate fino in fondo (terzo e settimo comandamento), ma conservate comunque una piccolissima vincita. Occorre abituarsi a uscire dalla casa da gioco, o finire qualsiasi partita d’azzardo, acquisendo a poco a poco una mentalità vincente.
9) Non contabilizzare il denaro vinto o perduto nelle partite precedenti. Ogni partita è una nuova partita.
10) Se siete giocatori accaniti e incalliti, e incapaci di star lontani a lungo da un tavolo da gioco, dovreste inventarvi e imporvi un vostro sistema – o, meglio, un metodo – di gioco, che vi consenta di puntare con discrezione e cautela. I cosiddetti «sistemi» sono tutti inutili e distruttivi, senza il concorso della fortuna. Ma un metodo regolare nelle puntate vi consentirà di utilizzare al meglio le vostre risorse economiche. Buona fortuna: mi ringrazierete, se riuscirete a seguire i miei comandamenti. Io, troppo spesso, non ce l’ho fatta.
Non so se avete mai sentito parlare di chemin de fer. Vi dico subito che è il gioco di carte più violento e crudele che esista. In apparenza è elementare: si vince (questo lo sapete, presumo) con la carta più alta. Ebbene, dietro questa falsa apparenza si nascondono segrete perfidie, alla lunga insostenibili. Nessun giocatore può reggere il ritmo erosivo delle partite di chemin de fer. In questo gioco, alla fine, c’è un solo vincitore, la cagnotte, così si chiama il buco nero in cui scompare il 5% delle puntate di banco: è la percentuale riservata al casinò. Se rinchiudete in un casinò, per un mese, cento giocatori di chemin de fer, con qualsiasi somma in tasca e li costringete a giocare ininterrottamente, alla fine del mese tutti sarebbero in perdita grave e risulterebbe in lauta vincita solo la cagnotte. Chemin de fer, tuttavia, è una metafora della vita e in verità, in verità vi esorto a non averne paura: sarebbe come avere paura della vita, paura di vivere. Si può avere paura – è giusto e umano – di fronte a pericolose situazioni che la vita propone, ma non si deve aver paura di vivere. Dipendesse da me, insegnerei questo gioco d’azzardo – ma anche altri, il poker per esempio – a scuola, a scopo educativo. Calma, per favore non vi scandalizzate! Un buon motivo c’è… Questo: in una partita di chemin c’è tutto, ci sono il successo e il fallimento, la trappola dell’ansia e della noia, l’insidia dell’attesa, ci sono le bestie feroci che accompagnano la nostra vita, la stretta della solitudine che ti artiglia le viscere, più inesorabile di tutte quella paura viscida, che a volte ci segue come un’ombra e resta sempre in agguato. Il mistero vitale del gioco, il suo fascino inimitabile sta qui: se giochi di banco e stai vincendo, a ogni colpo la tua ricchezza si raddoppia, però a ogni colpo metti in gioco tutto e tutto puoi perdere. Chemin ti costringe, ti obbliga a scegliere e in pochi secondi devi decidere. E subito il gioco ti rivela (a differenza della vita, che a volte ci mette anni, prima di svelarti la verità) se hai scelto bene, o no. Sotto gli occhi di testimoni crudeli, gli spettatori sfaccendati, il gelido sguardo del croupier, l’indifferente, o velenoso, interesse degli altri giocatori. Ecco perché trovi, nel tempo di una breve partita, i pesi e le lievi consolazioni della vita di noi miseri umani, la costante illusione, la forza dei sogni, la speranza, i premi quieti e rassicuranti, le conquiste clamorose, i brutali disincanti. Ma la fortuna, dite?
Sto forse dimenticando di parlarvi della fortuna? No. Un vero giocatore, anche se la invoca e a volte la bestemmia, sa che la fortuna non esiste. Ovvero… Esistono, per tutti, alcune opportunità. La prossima domenica vi racconterò la più emozionante partita di chemin de fer a cui abbia partecipato, una partita storica, tuttora ben presente nella memoria di chi ebbe la fortuna di assistervi. Oggi vi racconto una straordinaria esperienza, che vi farà capire quanto sia facile finire all’inferno, tornare indietro e precipitarvi di nuovo. Successe una domenica notte a Campione d’Italia, nel casinò dell’enclave del nostro Paese in Svizzera, a pochi chilometri da Milano. La domenica, per la verità, se n’era andata da un pezzo. Ricordo di aver guardato l’orologio, erano le due e mezzo… Alla domenica restano in sala i viziosi e gli accaniti, i nevrotici, i rottami, gli anziani mai esausti 0 oppressi dalla solitudine. E, sempre, i professionisti. Ero andato al casinò con un collega del giornale, un giocatore imberbe che sosteneva di aver trovato un metodo infallibile per vincere alla roulette. Dopo mezz’ora, con poche lire in tasca (c’erano ancora le lire), si avvicinò al grande tavolo di chemin de fer. Il banco spettava a uno di quei facoltosi «cumenda», ricchi e vanitosi, che amano esibirsi a chemin. Il mio compagnuccio gli chiese disinvoltamente di entrare in società. A chemin il banchiere ha facoltà di accettare un socio, che però non ha facoltà di interloquire. Raddoppia la somma dell’uscita del banchiere: alla fine, eventualmente, divideranno la vincita. Il cumenda, uno squalo, rispose con benevolenza al mio amico: «Vieni, ragazzo, e portami fortuna…»: Ricordo il primo colpo: lo squalo aveva cinque e sfilò per l’avversario un quattro. E questo (tenete a mente questo, amici miei, sono convinto che vi state innamorando dello chemin de fer) è uno dei momenti-chiave per capire la psicologia di un giocatore. La regola lascia possibilità di scelta al banchiere: se ha cinque, dando quattro può tirare o meno la terza carta: le possibilità di migliorare il punto sono equivalenti a quelle di peggiorarlo.
Ma i veri giocatori, d’animo e cuore forte, non tirano: anche se il quattro, ne convengo, fa impressione. È anche una questione di stile: prendere carta con cinque, dando quattro all’avversario, è come indossare i calzini bianchi e corti, come ficcarsi le dita nel naso, come lasciarsi scappare un rutto mentre alla Scala tutti aspettano l’acuto del tenore. Lo squalo, esibizionista e guidato dall’istinto, non esito: non tirò, rinunciò alla terza carta. Il socio – il mio amico impallidì e tremò. Ma l’avversario di punta aveva quattro e perse quel colpo. Da lì cominciò una straordinaria avventura del banchiere: vinceva un colpo dietro l’altro, arrivò ad accumulare somme ingenti. In garage, un ben di Dio! Il mio amico era raggiante. Il garage è un modo di dire gergale: vi si accantonano le somme che gli altri giocatori non hanno coperto nelle puntate, e spettano, alla fine, al banchiere. Il banco intanto era arrivato a una cifra astronomica! Si fece largo tra la folla un tipo strano, che sfidò il banchiere. «Le chiamo il banco», sibilò «a patto che lei metta in gioco tutto, anche il garage». E il banchiere, rivolgendosi al mio amico, suo socio: «Lei, caro ragazzo, mi perdonerà. Le sfide si accettano. Tranquillo però: vinceremo ancora!» Non vinse. Perse tutto. Il mio amico, tremante, corse in bagno e tornò con un bozzo in fronte. Aveva sbattuto, non visto, la fronte contro il muro. In dieci minuti – con gli ultimi soldi in tasca – da nullatenente era diventato milionario e poi, di nuovo, un misero nullatenente, così come aveva cominciato.