Ancora in fase di accertamento 900mila domande di bonus per gli autonomi, mentre per gli iscritti alle casse private i soldi stanziati non bastano. Solo 30mila domande per lo stop alle rate dei mutui. I prestiti fino a 25mila euro sono stati chiesti nei primi due giorni da almeno 300mila piccole imprese, ma solo un migliaio hanno già avuto i soldi (e qualche banca ha finito il plafond). Intanto i 9 milioni di dipendenti fermi o con l’orario ridotto attendono gli ammortizzatori: secondo i Consulenti del lavoro sono 4 milioni hanno ricevuto qualcosa. La cassa in deroga è gestita dalle Regioni, Sicilia e Sardegna non hanno ancora dato il via libera
L’attesissimo decreto Aprile con il reddito di emergenza per chi finora non ha avuto altri aiuti approderà in consiglio dei ministri, se va bene, il 30 del mese. Ma gli altri sussidi e ammortizzatori, i prestiti e le agevolazioni per chi a causa del coronavirus non sta lavorando sono arrivati a destinazione? Per ora solo in piccola parte.
A dispetto della pessima partenza con il crash del sito Inps, i primi a ricevere concretamente un versamento sul conto corrente – Subito dopo Pasqua, a cinque settimane dall’inizio del lockdown – sono stati 3,5 milioni di autonomi, partite Iva e stagionali che avevano chiesto l’indennità di 600 euro. Ma centinaia di migliaia di domande sono ancora in fase di accertamento. In questi giorni poi sono stati erogati i primi piccoli prestiti con il 100% di garanzia pubblica. Ancora pochi. Quanto alla cassa integrazione, invece, i soldi non si vedranno prima di maggio: hanno incassato qualcosa solo i dipendenti di aziende che avevano liquidità sufficiente per anticipare l’assegno.
A fronte di una platea di 5 milioni di potenziali beneficiari dell’indennità mensile da 600 euro prevista dal decreto Cura Italia, l’Inps ha ricevuto 4,4 milioni di richieste e ha versato i soldi a 3,5 milioni di persone tra liberi professionisti, commercianti, collaboratori coordinati e continuativi, stagionali e lavoratori dello spettacolo. Altri 900mila però sono ancora in attesa e per loro le prospettive non sono buone. “Per la maggior parte saranno rifiutati“, ha detto lunedì in audizione Pasquale Tridico. “Perché ci sono circa 250mila Iban sbagliati che non corrispondono e anzi potrebbero essere fraudolenti” e circa “400mila non hanno i requisiti“: tra loro gli stagionali con contratti diversi da quello del turismo, i lavoratori dello spettacolo che non hanno sufficienti giorni di contribuzione (almeno 30 nel 2019), i beneficiari di reddito di cittadinanza, i dipendenti che svolgono anche un lavoro a partita iva.
Poi ci sono gli autonomi iscritti alle casse private, dagli avvocati agli ingegneri ai giornalisti: per loro c’è il paletto del reddito – non deve aver superato i 50mila euro nel 2018 e deve essere stato fortemente ridotto dall’emergenza – e sono stati stanziati solo 200 milioni, sufficienti per 333mila erogazioni. Ma le richieste sono state oltre 450mila. Se ne riparla con il prossimo decreto.
Stando agli ultimi dati del Tesoro, che risalgono però al 14 aprile, la sospensione delle rate del mutuo prima casa attraverso il fondo Gasparrini è stata chiesta alla banca solo da 30mila famiglie. Un numero molto basso se si pensa che gli italiani con un prestito per l’acquisto della casa sono milioni e la stessa relazione tecnica al decreto Cura Italia ipotizzava almeno 300mila beneficiari tra i dipendenti che subiscono una riduzione dell’orario di lavoro e 235mila tra i lavoratori autonomi (prima esclusi da questa possibilità). In attesa che il ministero renda disponibili i numeri aggiornati, va detto che possono aver pesato i paletti che tagliano fuori chi ha già usufruito di agevolazioni pubbliche per il mutuo come la garanzia Consap, i dipendenti che non sono fermi da almeno 30 giorni e gli autonomi che non hanno perso almeno il 33% del fatturato rispetto all’ultimo trimestre 2019. Quindi anche quelli che hanno aperto la partita Iva da poco e un fatturato l’anno scorso non lo avevano. Va poi ricordato che per chi è in affitto non c’è alcun aiuto e il Cura Italia non ha previsto rinvii per le rate dei prestiti personali. Solo il 22 aprile l’Abi ha fatto un accordo con le associazioni dei consumatori che consente di sospendere fino a 12 mesi il rimborso del capitale: non c’è ancora l’elenco delle banche che accetteranno di aderire.
Le attività sono ferme da settimane e la liquidità è agli sgoccioli. Così solo tra 20 e 21 aprile, le prime giornate utili, sono state almeno 300mila le domande di finanziamenti fino al 25% dei ricavi per un massimo di 25mila euro con garanzia pubblica presentate da aziende con meno di 499 dipendenti e partite Iva. E a una settimana dalla pubblicazione del modulo sul sito del Fondo di garanzia sono stati già erogati i primi prestiti: 1.055, secondo il ministro dello Sviluppo Stefano Patuanelli. Stando al decreto Liquidità vanno deliberati subito senza alcuna valutazione sul merito di credito. Ma non tutto fila liscio: alcuni istituti chiedono di compilare documentazione aggiuntiva e, burocrazia a parte, le imprese segnalano diversi problemi. Come i tassi di interesse ben più alti di quanto si aspettavano. Il rifiuto del prestito a chi non è già correntista. E il fatto che chi ha un’esposizione nei confronti dell’istituto si è visto a volte “proporre” di utilizzare i nuovi fondi per rientrare, col risultato che solo una parte dei 25mila euro arriverà effettivamente sul conto per sostenere l’attività. Del resto il decreto lascia ampi margini: prevede esplicitamente che “diventano ammissibili le operazioni finalizzate all’estinzione di finanziamenti erogati dalla stessa banca, a condizione che ci sia erogazione di credito aggiuntivo pari ad almeno il 10% del debito residuo“.
Resta poi l’incognita risorse, perché gli 1,7 miliardi stanziati finora per le garanzie possono coprire non più di 340-350mila domande. La Banca Popolare di Bari mercoledì ha comunicato di aver finito il plafond, salvo comunicare in serata di aver trovato budget per far ripartire le richieste. Serve in ogni caso un nuovo stanziamento, che dovrà attendere una nuova autorizzazione del Parlamento ad aumentare il deficit e il successivo varo del decreto Aprile. Per le aziende più grandi la garanzia, concessa nel loro caso da Sace, va dal 70 al 90% e l’istruttoria è più lunga perché servono tutti gli usuali controlli e verifiche.
Gli ultimi dati Inps si fermano al 10 aprile e parlano di 4,6 milioni di richieste di cassa integrazione. Ma secondo i Consulenti del lavoro, che operano come intermediari con l’Istituto di previdenza, oggi sono 9 milioni i lavoratori fermi o con l’orario ridotto che hanno quindi bisogno di ammortizzatori, che siano le nove settimane di cig con causale Covid, la cassa in deroga gestita dalle Regioni o gli assegni dei fondi di integrazione salariale. “Circa 4 milioni stanno ricevendo l’anticipo dell’ammortizzatore dalla loro azienda”, spiega Marina Calderone, presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti. “Gli altri sono in attesa dei bonifici Inps, ma i tempi sono lunghi: se ne parla non prima di metà maggio“.
Particolarmente accidentato, come i Consulenti segnalano fin dall’inizio, il percorso per la cassa in deroga che copre tra l’altro i dipendenti delle aziende più piccole e interessa almeno 3 milioni di persone: l’acquisizione e valutazione delle domande spetta alle Regioni, che poi girano l’esito all’Inps. L’iter è lento e “ad oggi”, dice Calderone, “ci risulta che da Sicilia e Sardegna non siano ancora arrivate le autorizzazioni”, che sono solo il primo passo. Ma non si può chiedere l’anticipo alla banca? “Vale solo per chi è in cassa a zero ore”, spiega Calderone. “E lo stanno chiedendo in pochi perché servono ben otto documenti e non tutti sono in grado di fare la procedura per via telematica ora che andare allo sportello è complicato” e richiede un appuntamento.
Chiara Brusini, IlFattoQuotidiano.it