Ci sono timori per la sicurezza nelle banche, in vista della riapertura lunedì, quando potranno finalmente essere presentate le domande di nuovi prestiti per liquidità con la garanzia dello Stato. Il ministero dell’Interno ha fatto sapere che c’è «massima attenzione» da parte del Viminale sui rischi di «violenze», che i sindacati dei bancari hanno sollevato proprio per lunedì. Tutti i prefetti sono stati da tempo allertati affinché sia garantito un adeguato dispositivo di sicurezza sugli istituti in un passaggio così delicato. E l’attenzione, spiegano al ministero, continuerà ad essere elevata anche in seguito.
In una nota congiunta i sindacati dei bancari avevano espresso nella mattina di sabato forti preoccupazioni per l’incolumità fisica dei dipendenti degli istituti alle prese con imprenditori e professionisti che si presenteranno nelle filiali alla disperata ricerca di denaro in prestito, chiedendo al ministero guidato da Luciana Lamorgese e ai prefetti in tutta Italia un aumento della vigilanza e della sicurezza. «Secondo le informazioni in nostro possesso» — hanno scritto in una lettera unitaria i sindacati Fabi, Fisac-Cgil, Uilca, First Cisl e Unisin — alcune banche non sono ancora pronte, poiché non hanno predisposto le circolari interne né hanno modificato le procedure per poter accogliere le richieste da parte della clientela. Tale situazione potrebbe generare tensione fra i clienti che si recheranno nelle filiali bancari, sfociando in fenomeni di violenza che già sono stati registrati, a danno delle lavoratrici e dei lavoratori bancari, in queste ultime settimane. Monitoreremo costantemente la situazione sull’intero territorio nazionale e denunceremo prontamente situazioni critiche e pericolose così come faremo i nomi delle banche che effettivamente si riveleranno impreparate.
Le banche, dal canto loro, sollevano le difficoltà sia tecniche sia legislative sia strutturali nell’affrontare l’emergenza Coronavirus. Lo stallo delle attività imposto dal governo per contrastare il diffondersi dell’epidemia di Covid-19 — dichiara Antonio Patuelli, presidente dell’Abi — comporta un «rischio doppio» dovuto alla «crisi emergenziale che si sovrappone a una situazione economico-produttiva non di grandi numeri per il Pil, di stagnazione. Le banche stavano finendo di smaltire i costi di una crisi economico-finanziaria nata nel 2008 e scoppiata in Italia nel 2011, i numeri di Bankitalia non sono frivoli ma corretti, quindi vi è il rischio di un cataclisma». In più, continua il presidente dei banchieri, gli istituti debbono affrontare un «lavoro gigantesco» a seguito della «strategia della Repubblica di appoggiarsi molto al credito bancario dando solo alcune garanzie al 100% per le piccole imprese, e al 90, 80 e al 70% per quelle medie e grandi» per l’emergenza coronavirus. «Coloro che lavorano in banca stanno facendo un superlavoro, quindi, invece di criticarli in anticipo bisognerebbe ringraziarli», continua Patuelli intervistato da Radio Radicale. «Quando c’è un incendio non bisogna discutere ma correre con i secchi a spegnerlo e il coronavirus è peggio di un incendio. Bisogna constatare però che i pompieri e i volontari vengono ringraziati, i bancari invece criticati».
I nuovi decreti — spiega Patuelli — «non prevedono deroghe alle complesse normative che gli organismi internazionali europei e quelli nazionali hanno posto sulle banche nel decennio passato. A coloro che dicono “fate presto” rispondo che dobbiamo applicare tutte le normative che ci sono e dobbiamo anche stare molto attenti ai giusti consigli di Bankitalia di stare attenti al rischio di riciclaggio e a quelli dei grandi procuratori Francesco Greco, di Milano, e Giovanni Melillo, di Napoli, che aggiungono che le norme esistenti non possono essere dimenticate perché nessuno le ha derogate o sospese. Poi c’è il procuratore generale antimafia che ha invitato a vigilare che i quattrini immessi nel sistema non vengano utilizzati per fini malavitosi».
Del resto, Confindustria ha appena pubblicato i risultati di un sondaggio, avviato il 4 aprile scorso su un campione di 4.420 imprese italiane, sugli effetti dell’emergenza Covid-19: «Le imprese con problemi molto gravi sono adesso il 43,7% contro il 14,4% della precedente indagine». Il 36,5%, dopo i Dpcm del 22 e del 25 marzo, ha dovuto chiudere la propria attività mentre il 33,8% l’ha chiusa parzialmente. Per il 53,1% dei dipendenti si potrebbe dover ricorrere ad ammortizzatori sociali. Gli imprenditori «si sentono disarmati».
In questo scenario uno studio della Banca d’Italia suggerisce per il medio termine alcune soluzioni per uscire da una situazione che si creerà di eccessivo indebitamento di alcune imprese, dovendo adesso ricorrere ai prestiti per tamponare il crollo dei ricavi e la relativa crisi di liquidità. Secondo uno studio pubblicato sul sito della Banca d’Italia a firma del capo del Servizio stabilità finanziaria dell’istituto Giorgio Gobbi e di Francesco Palazzo e Anatoli Segura — in lavoro che non impegna direttamente l’authority guidata da Ignazio Visco — «per far fronte all’emergenza economica determinata dalla pandemia, i governi di molti paesi hanno adottato ampi programmi di garanzie pubbliche sul credito fornito dalle banche alle imprese. Nel breve periodo queste misure sono essenziali per impedire che le carenze di liquidità si trasformino in situazioni di insolvenza. Nella fase di uscita dall’emergenza saranno necessarie politiche che favoriscano la riduzione del peso del debito».
Tre le soluzioni proposte. Nel breve termine sono necessari «trasferimenti diretti alle imprese da parte del governo per compensare la perdita di fatturato e coprire le spese operative». Per questo motivo «trasferimenti aggiuntivi a fondo perduto eviterebbero o ridurrebbero fortemente la necessità delle imprese di indebitarsi verso il sistema finanziario per far fronte allo shock da Covid-19. Anche le banche avrebbero meno rischi di incorrere perdite sui crediti in essere». Tuttavia «questo intervento richiede che lo Stato si faccia carico nell’immediato di un ingente spesa, che si possano superare dei vincoli normativi a livello europeo e che si definiscano criteri di ammissibilità delle imprese agli aiuti pubblici che non creino eccessive controversie con le parti sociali e tra settori economici diversamente colpiti dalla crisi».
In secondo luogo, è necessaria la «creazione di un veicolo con capitale pubblico per la ristrutturazione di debiti delle imprese medio-grandi. I governi potrebbero creare un veicolo speciale per acquistare dalle banche i prestiti concessi per le esigenze di liquidità delle imprese a seguito della crisi da Covid-19. Il veicolo sarebbe finanziato con risorse patrimoniali pubbliche e con debito a lungo termine collocato sul mercato. L’ammontare di capitale dovrebbe essere sufficiente a far sì che i titoli di debito a lungo termine emessi dal veicolo siano ammissibili per i programmi di acquisto della Bce».
In terzo luogo, è necessaria la «introduzione di incentivi fiscali per la ricapitalizzazione delle imprese. Il governo potrebbe introdurre forti incentivi fiscali per la ricapitalizzazione delle imprese, ad esempio attraverso una Ace («Aiuto alla crescita economica») “rinforzata”», cioè maggiori deduzioni per chi ricapitalizza le imprese con gli utili prodotti. «I principali benefici di queste nuove iniezioni di capitale nelle imprese sarebbero di evitare il difficile calcolo del giusto ammontare di trasferimenti diretti da operare a ciascuna azienda; di evitare una ingente e immediata spesa per il bilancio pubblico legando l’effettiva passività implicita del governo alla effettiva sopravvivenza dell’impresa». Per l’efficacia di questa ultima misura serve però tempo e la collaborazione degli imprenditori: «L’orizzonte temporale di attuazione di questa misura è più lungo rispetto alle precedenti opzioni e sussistono dei limiti qualora gli attuali azionisti abbiamo poche risorse disponibili per effettuare la ricapitalizzazione. In tal senso, riveste particolare importanza per il successo dell’iniziativa anche l’efficacia dei sistemi di corporate governance per un eventuale ampliamento della compagine societaria».
Corriere.it