Web tax, guerra commerciale assicurata. Durante il fine settimana, il G20 riunito a Riyadh in Arabia Saudita ha avvertito: una lotta sul fisco internazionale tra Stati Uniti e Unione europea rappresenta la più grande minaccia per l’economia globale se non sarà raggiunto un accordo entro la fine del 2020. Nonostante aumenti la necessità di reprimere lo strapotere dei giganti del digitale, gli Stati Uniti continuano imperterriti a chiedere che la tassazione dell’economia digitale rimanga un regime volontario per le società. Ma la maggior parte dei paesi più potenti al mondo rimane contrario all’opzione «Safe harbor»; letteralmente porto sicuro. «È chiaro che bisogna evitare qualsiasi tipo di soluzione facoltativa», ha detto il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire. «Non conosco nessuna società privata che sceglierebbe di essere tassata invece di non esserlo». Se non si arriverà ad un accordo, i paesi europei cominceranno a riscuotere le web tax temporaneamente sospese per raggiungere un accordo entro la fine dell’anno, il che probabilmente farà scattare i dazi di ritorsione da parte degli Stati Uniti. «Le tensioni commerciali di oggi sembrerebbero non essere così gravi rispetto alle conseguenze di una guerra di questo tipo», ha dichiarato sabato Angel Gurría, segretario generale dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, in un’intervista rilasciata a margine del G20. Diversi paesi europei, tra cui Italia, Francia, Spagna, Austria e Regno Unito hanno introdotto tasse sui servizi digitali, che avrebbero colpito le società americane come Amazon, Google e Facebook. Lo scopo è quello di tassare l’attività online che si svolge all’interno dei paesi, indipendentemente dalla presenza fisica della società.
L’Ocse ha cercato di contrastare la proliferazione di regimi fiscali unilaterali in tutto il mondo e nell’ultimo anno ha avviato i negoziati per una riforma internazionale delle regole che consentirebbe ai paesi di tassare i fornitori di servizi digitali privi di una presenza fisica all’interno dei loro confini (primo pilastro della riforma). Si sta anche discutendo se imporre una sorta di tassa minima globale alle multinazionali per scoraggiare le multinazionali dal trasferire i profitti verso paesi a bassa tassazione come l’Irlanda e le Bermuda per ridurre al minimo la loro imposizione fiscale (secondo pilastro). Una recente analisi dell’Ocse (si veda ItaliaOggi del 13 febbraio 2020) ha rilevato che la riforma del fisco internazionale aumenterebbe il gettito fiscale per circa 100 miliardi di dollari.
Matteo Rizzi, ItaliaOggi