Il digitale è considerato strategico, ma tutto resta sul piano teorico. L’88% delle piccole medie imprese italiane considera, infatti, le innovazioni digitali come «molto o abbastanza necessarie» per lo sviluppo del business aziendale. Tuttavia, dal punto di vista pratico, in molte aziende manca la volontà di innovare e, di conseguenza, sono stanziati scarsi investimenti. Inoltre, nella maggior parte dei casi, Ict e digitale sono attività affidate all’esterno, in outsourcing: il 65% ha un responsabile It e/o un innovation manager che gestisce e dirige progetti legati all’innovazione digitale e tecnologica, ma realizzati da fornitori terzi; il 18% ha una figura dedicata a uno specifico ambito del digital senza un presidio generale (per esempio, un responsabile della sicurezza informatica, un e-commerce manager oppure un Data Scientist); mentre il 17% non ha alcuna figura interna legata a queste tematiche. Sono, in sintesi, le tendenze rilevate da una ricerca su un campione di 1.500 pmi, realizzata dall’Osservatorio Innovazione Digitale nelle Pmi del Politecnico di Milano, e presentata in occasione della fiera internazionale A&T – Automation & Testing, svoltasi a Torino dal 12 al 14 febbraio scorsi.
Il quadro che viene tratteggiato è, quindi, quello di una imprenditoria consapevole di quanto l’innovazione sia strategica, ma che concretizza poco. Se è vero che le aziende con un numero di addetti tra 10 e 249 rappresentano solo il 5% del totale, è anche vero che, da sole, generano il 41% dell’intero fatturato dell’Italia. Di conseguenza, una bassa propensione al cosiddetto 4.0 pesa sull’economia locale e sulla competitività internazionale. Ed è preoccupante che solo il 26% delle piccole e medie imprese italiane sia pronto a sfidare i mercati mondiali potendo contare su tecnologie avanzate e processi produttivi digitalizzati.
Le percentuali sugli investimenti danno ulteriore testimonianza del divario innovativo. Le previsioni di investimento in digitale sono prevalentemente invariate o ridotte per la maggior parte delle pmi rispetto al 2019. La causa? Da un lato, c’è una visione imprenditoriale che guarda più al breve che al medio lungo termine, dall’altro ci sono fattori di freno come i costi di acquisto delle tecnologie digitali, percepiti come troppo elevati (27%); la mancanza di competenze e di cultura digitale nell’organizzazione (24%); lo scarso supporto da parte delle istituzioni (11%). Su quest’ultimo punto, l’indagine ha fatto emergere, però, scarsa conoscenza da parte delle imprese degli incentivi governativi in vigore, in particolare nel Centro e Sud Italia: per esempio il 68% degli imprenditori non è aggiornato sugli incentivi relativi ai voucher consulenza in innovazione promossi dal Mise. Si cambia registro nel Nordovest, dove c’è un maggiore livello di maturità digitale relativa a specifici processi interni. Per esempio il grado di adozione di sistemi gestionali e di tecnologie IoT è più elevato, ma guardando a un processo di innovazione a 360° i dati preoccupano: il 13% non ha alcuna figura che si occupa delle tematiche Ict e digital, il 32% non adotta soluzioni di cybersecurity, il 20% non ha un sito web.
L’attenzione verso la sicurezza informatica è ancora debole. Gli attacchi informatici a sistemi e dati delle imprese italiane fanno registrare una crescita a doppia cifra (secondo il rapporto Clusit +99% nel 2018, rispetto all’anno precedente), e le pmi non sono esenti dalle cyberminacce: un’impresa su quattro, infatti, ha affermato di essere stata vittima di almeno un attacco informatico nel corso della sua vita aziendale. Ma a fronte del rischio crescente di furti di dati, la difesa delle piccole medie imprese italiane resta debole. Il 30% delle pmi non presidia attivamente la cybersecurity, principalmente per mancanza di figure dedicate e competenti e per disinteresse. Del restante 70% che fornisce agli addetti almeno una soluzione di cybersecurity, la gran parte offre soltanto tecnologie di base, quali Antivirus o Antispam.
Le tecnologie nei processi aziendali interni. In merito alle piattaforme inserite all’interno delle imprese (dalla gestione dei dipendenti al salvataggio dei dati), anche in questo ambito si registra tanto interesse, ma poca azione. La sensibilità mostrata dalle imprese con meno di 250 addetti verso soluzioni di analisi dei dati è buona: il 62% afferma, infatti, di investire tempo e risorse in progettualità legate all’integrazione, alla gestione e all’analisi dei dati. Ma passando a valutare gli ambiti specifici, in termini di attività svolte e software utilizzati, il panorama peggiora. In merito ai software per lo storage e l’integrazione dei dati aziendali, il 53% delle imprese afferma di essere dotato di un software per la gestione dei contatti dei clienti e il 77% possiede un software gestionale per la gestione di almeno un processo aziendale. Di queste però, sono poche le imprese che sfruttano i dati posseduti per trarre informazioni utili al business. Meno di un terzo svolge analisi dei dati, basiche o sofisticate, in maniera strutturata. La percentuale cresce di poco (36%) se si guarda alle sole medie imprese. Il 29% ha intrapreso progettualità di rinnovamento tecnologico per l’integrazione dei dati, dall’integrazione dei dati relativi a più processi (per esempio dati di ordine e acquisto) all’implementazione di piattaforme evolute (come un data warehouse).
Il ruolo del digitale nel rapporto con fornitori e clienti. Il 43% delle imprese si è dotato di Supply chain management (cioè la gestione del flusso di beni e servizi, che incorpora tutti i processi di trasformazione delle materie prime in prodotti finali). In crescita, ma non ancora capillare, la presenza online, con l’80% che ha un proprio sito web. Le medie imprese e le pmi B2C, che si rivolgono cioè a consumatori finali, mostrano una presenza online maggiore rispetto alla media di mercato. Rimane invece ancora spiccato il divario con le grandi imprese in termini di attenzione alla offerta all’utente e di ottimizzazione dei siti alla visualizzazione da smartphone.
Guardando ai siti di pmi che offrono ai clienti la possibilità di acquistare online, solo il 10% delle imprese sotto ai 250 addetti vende i propri prodotti tramite piattaforme proprietarie.
L’utilizzo di una chat sul proprio sito web per interagire con gli utenti è ancora poco diffuso tra le piccole medie imprese: del 17% che ne ha integrata una, il 12% la gestisce in maniera manuale con un operatore umano, mentre il 5% ne ha previsto una forma di automatizzazione tramite chatbot. Il livello di automatizzazione è comunque nella quasi totalità dei casi di tipo basico, finalizzato a comunicare informazioni sull’azienda e i prodotti offerti oppure a rispondere alle Faq.
Roxy Tomasicchio, ItaliaOggi Sette