La salute del nostro organismo è legata al corretto funzionamento di meccanismi preposti alla regolazione del ciclo di riproduzione cellulare. La scoperta potrebbe aprire la strada allo sviluppo di nuove cure anticancro, complementari a quelle già esistenti
Il Dna (acido desossiribonucleico) rappresenta l’impronta genetica che identifica ciascuna persona ed è noto a tutti per la sua forma a doppia elica, descritta oltre 60 anni fa da James Watson e Francis Crick. Nelle cellule quella lunghissima sequenza è avvolta in un complesso di Dna, Rna (acido ribonucleico) e proteine chiamato «cromatina».
Conoscere la cromatina significa poter individuare modalità di intervento a livello molecolare per prevenire o curare varie malattie, in particolare il cancro. La salute del nostro organismo è infatti legata al corretto funzionamento di una serie di meccanismi preposti alla regolazione del ciclo di riproduzione cellulare, durante il quale la cellula si divide per originare due nuove cellule.
Il Dna della cellula madre, avvolto su se stesso innumerevoli volte, si sdoppia affinché le cellule “figlie” possano ereditare l’intero corredo genetico e, per riuscire a farlo, ha bisogno di essere disteso e poi riavvolto.
Dna e stress meccanico
In questa fase delicata la doppia elica è sottoposta a movimenti che provocano cambiamenti di forma e l’apertura dell’elica stessa. La stabilità del Dna di conseguenza è costantemente messa alla prova da stress meccanici che possono danneggiare i cromosomi e causare la perdita di materiale genetico, predisponendo all’insorgenza tumorale. Ora alcuni scienziati, diretti da Marco Foiani all’Ifom (Istituto Firc di Oncologia Molecolare, sostenuto dalla Fondazione Italiana per la Ricerca sul Cancro) e all’Università degli Studi di Milano, hanno identificato per la prima volta un codice inedito del Dna, con una configurazione simile a un fiore. E hanno scoperto che la proteina «allarmina» (chiamata anche HMGB1) stabilizza questa configurazione e la protegge dallo stress meccanico durante la replicazione del Dna. La ricerca, pubblicata sulla rivista Nature, segna un avanzamento nella comprensione del codice della vita, contribuendo a chiarire le basi molecolari dei processi di riparazione e duplicazione del Dna e del meccanismo di protezione dal cancro. I risultati, raggiunti grazie al sostegno di Fondazione Airc, potrebbero aprire la strada allo sviluppo di cure anticancro complementari a quelle già esistenti, per aumentarne l’efficacia e ridurne la tossicità.
Processi cellulari cruciali
«Grazie all’applicazione di sofisticati modelli computazionali e matematici abbiamo individuato un codice che coordina una serie di processi cellulari cruciali durante la replicazione dei cromosomi – dice Foiani, direttore scientifico di Ifom e professore di Biologia molecolare dell’Università degli Studi di Milano -. L’importanza dello stress meccanico che il Dna subisce durante le torsioni fisiologiche nel processo replicativo erano già stati intuiti nel passato, ma dagli anni Novanta l’attenzione si è focalizzata sul sequenziamento del genoma umano, nella convinzione che questo sarebbe stato sufficiente per individuare soluzioni terapeutiche contro patologie come il cancro. Il sequenziamento è stato essenziale, ma ora abbiamo scoperto che esistono nuovi importanti livelli di organizzazione del Dna». «Abbiamo portato avanti la nostra indagine sull’instabilità genomica e sugli aspetti meccanici del Dna – aggiunge Yathish Achar, primo autore dell’articolo – e ora siamo riusciti a ricostruire la forma che assume il Dna in questo processo».
Chi protegge il materiale genetico?
Gli attorcigliamenti che si verificano vanno a formare una sorta di corolla di petali di un fiore, all’interno dei quali è protetta la sequenza di materiale genetico. Alla base dei petali il Dna assume una conformazione cruciforme, simile a delle spine. Queste strutture cruciformi possono essere aggredite danneggiando il materiale genetico. La cellula pertanto le protegge tramite la proteina chiamata, non a caso, allarmina. «Ho scoperto che l’allarmina protegge le strutture cruciformi alla fine degli anni Ottanta – ricostruisce Marco Emilio Bianchi, capo dell’Unità di Dinamica della cromatina IRCCS Ospedale San Raffaele e docente all’Università Vita-Salute San Raffaele – quando ero un giovane ricercatore. Ho continuato a studiare questa proteina, dandole il nome allarmina, perché è anche coinvolta nella segnalazione del malessere di singole cellule al resto dell’organismo». Foiani e Bianchi avevano condiviso il laboratorio all’Università degli Studi di Milano oltre vent’anni fa. «È bello ritrovare ora l’allarmina in questa ricerca, individuando un suo ruolo specifico in un codice prima inedito» conclude Foiani. La ricerca è stata possibile grazie ai finanziamenti di Fondazione Airc (Associazione Italiana Ricerca sul Cancro).
Il Corriere della Sera