
Anche il singolo condomino può agire in giudizio per la tutela del decoro architettonico dell’edificio condominiale. Inoltre il regolamento può legittimamente vietare qualsiasi modifica alle parti comuni che possa alterarne la consistenza, arrivando al punto di imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all’estetica e all’aspetto generale dell’edificio. Questi gli interessanti chiarimenti contenuti nella recente ordinanza n. 28465 pronunciata dalla seconda sezione civile della Corte di cassazione e pubblicata lo scorso 5 novembre 2019.
Il caso concreto. Nella specie, una condomina aveva citato in giudizio altri condomini per chiedere la condanna alla rimozione di alcuni manufatti da questi realizzati sulle parti comuni, deducendo la violazione del regolamento, il quale sanciva il divieto assoluto di apportare modifiche che alterassero l’aspetto architettonico dell’edificio.
I convenuti, nel costituirsi in giudizio, avevano a loro volta spiegato una domanda riconvenzionale di analogo contenuto relativa ad altre opere realizzate da parte attrice. La sentenza di primo grado si era pronunciata per il rigetto di entrambe le domande, mentre la Corte di appello le aveva accolte tutte e due, condannando reciprocamente le parti alla rimozione dei propri manufatti.
La nozione di decoro architettonico. La nozione di decoro architettonico, come meglio chiarita nel tempo dalle numerose decisioni di merito e di legittimità che si sono prodotte sul tema, viene in rilievo in materia di innovazioni condominiali vietate e denota una qualità positiva dell’edificio, derivante dal complesso delle sue caratteristiche costruttive principali e secondarie, di modo che una modifica strutturale di una parte del medesimo, anche di modesta consistenza, pur non incidendo sulle linee architettoniche preesistenti, può risultare idonea a far venir meno quelle caratteristiche influenti sull’estetica del fabbricato e, quindi, sullo stesso decoro architettonico.
La contestazione della sua violazione è spesso una strada obbligata per quei condomini che vogliano comunque opporsi a innovazioni decise dalla maggioranza assembleare perché, ai sensi dell’art. 1120, secondo comma, c.c., le stesse possono essere considerate legittime soltanto ove non rechino pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza dell’edificio, non ne modifichino, appunto, il decoro architettonico o non rendano alcune parti comuni inservibili all’uso cui sono destinate.
Con la decisione in questione la Suprema corte ha evidenziato come il decoro architettonico dell’edificio debba considerarsi come un vero e proprio bene comune, ai sensi dell’art. 1117 c.c., il cui mantenimento è tutelato a prescindere dalla validità estetica assoluta delle modifiche che si intendono apportare.
Ecco allora che occorre riconoscere l’interesse processuale del singolo condomino ad agire in giudizio per la tutela del bene comune. Di conseguenza, ove il condominio, in persona del proprio amministratore pro tempore, non si attivi per la salvaguardia del decoro architettonico dell’edificio condominiale, anche il singolo comproprietario può domandare in giudizio che venga accertata l’illegittimità delle opere realizzate, o in corso di realizzazione, che possano arrecare pregiudizio al decoro architettonico dell’edificio.
Perché le contestazioni dei condomini possano ritenersi fondate, tale pregiudizio deve però tradursi in un’alterazione di particolare incidenza sullo stile architettonico dell’edificio e sulle linee caratteristiche principali di esso, idonea di per sé a diminuire il pregio estetico del fabbricato e, quindi, il valore economico dello stesso, riferito sia all’unità complessiva sia alle singole unità in proprietà esclusiva.
Ne consegue che il giudice, per un verso, deve adottare, caso per caso, criteri di maggiore o minore rigore in considerazione delle caratteristiche del singolo edificio e/o della parte di esso interessata, accertando anche se esso avesse originariamente e in qual misura un’unitarietà di linee e di stile, suscettibile di significativa alterazione in rapporto all’innovazione dedotta in giudizio, nonché se su di essa avessero o meno già inciso, menomandola, precedenti innovazioni.
Per altro verso, il giudice deve accertare che l’alterazione sia appariscente e di non trascurabile entità e tale da provocare un pregiudizio estetico dell’insieme suscettibile di un’apprezzabile valutazione economica.
Ove poi nel regolamento di condominio sia compreso il divieto di apportare qualsiasi modifica alle parti comuni dell’edificio è corretto, secondo la Suprema corte, ritenere che detta circostanza renda superfluo, in caso di sua inosservanza, l’esame giudiziale circa il rispetto del decoro architettonico del complesso immobiliare.
Infatti, come si legge nella recente ordinanza n. 28465/2019, l’interpretazione delle clausole di un regolamento condominiale contrattuale è sindacabile in sede di legittimità solo per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, ovvero per l’omesso esame di fatto storico ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
Aspetto architettonico e decoro architettonico: le differenze. In tal senso la Suprema corte ha voluto ricordare un precedente di legittimità con il quale era stata confermata la decisione dei giudici di merito che aveva ritenuto che la clausola del regolamento condominiale richiamata negli atti di acquisto, che faceva divieto di effettuare qualunque modifica o variazione esterna all’edificio, costituisse anche titolo per l’esclusione del diritto di sopraelevazione riconosciuto al proprietario dell’ultimo piano dall’art. 1127 c.c. Poiché tale disposizione obbliga il condomino che intenda sopraelevare a seguire l’aspetto architettonico dell’edificio, la Suprema corte ha colto l’occasione per chiarire la distinzione tra detta nozione e quella di decoro architettonico di cui all’art. 1120 c.c.
Per decoro architettonico del fabbricato, infatti, deve intendersi l’estetica data dall’insieme delle linee e delle strutture dell’edificio. L’alterazione di tale decoro può verificarsi alla realizzazione di opere che mutino l’originario aspetto anche soltanto di singoli elementi o punti del fabbricato tutte le volte che il cambiamento sia tale da riflettersi sull’insieme dell’estetica dello stabile.
Dal decoro architettonico deve essere quindi tenuto distinto l’aspetto architettonico: mentre, infatti, il primo è una qualità positiva dell’edificio, derivante dal complesso delle caratteristiche architettoniche principali e secondarie, con il secondo l’accento viene posto sulla conservazione dello stile complessivo dell’immobile.
La distinzione non è priva di rilievo pratico: la modifica strutturale di una parte anche di modesta consistenza dell’edificio, infatti, pur non incidendo normalmente sull’aspetto architettonico, può comportare il venir meno di altre caratteristiche influenti sull’estetica dell’immobile e, dunque, sul decoro architettonico del medesimo. La lesione del decoro architettonico, poi, è denunziabile anche ove incida su caratteristiche dei beni comuni (mentre la sopraelevazione e l’aspetto architettonico riguardano opere realizzate nelle parti esclusive). E’ vero però che per essere legittimamente portata a termine l’opera di sopraelevazione deve rispettare entrambe gli aspetti sopra citati: in questi casi non basta quindi che siano osservati soltanto i canoni inerenti all’aspetto architettonico, ma anche quelli attinenti al decoro dell’edificio.
Gianfranco Di Rago, ItaliaOggi Sette