«Uso il dolore come una spugna e cancello chi mi ha fatto soffrire»
È stata una delle donne più belle del secolo scorso, il sogno proibito degli italiani. Attrice di grande successo e di misterioso fascino. Poi gli scandali, gli amori infelici, la droga, il carcere, la solitudine e la tristissima
(di Cesare Lanza per Il Quotidiano del Sud) Una vita romanzesca. È stata una delle donne più belle e desiderate del secolo scorso. Un’attrice di grande successo e di misterioso fascino. Poi le censure e gli scandali, l’infelicità in amore, la droga, il carcere, i processi, la disperazione della solitudine, una tristissima morte. Desidero raccontarvi soprattutto ciò che è stato detto di lei e ciò che lei ha detto di sé e degli altri: ne esce il ritratto di una personalità estranea ad ogni schema, una donna libera di mente, tormentata, forse predestinata al dolore. Si chiamava Laura Antonaz, poi italianizzata in Laura Antonelli, era nata a Pola, in Istria (allora faceva parte dell’Italia, oggi è Croazia), ed era nata il 28 novembre 1941. Dopo il clamoroso successo con i film erotici, alcuni memorabili, dal 1990 in poi iniziò per lei un inaspettato declino non solo artistico, ma anche fisico. Storie di droga e un’operazione di chirurgia estetica devastante, da cui furono deturpati irrimediabilmente i suoi lineamenti. Era schietta, ironica e provocante anche nel linguaggio. A proposito dei suoi nudi, disse: «In fondo ci spogliamo tutti, una volta al giorno». E sincera, cruda: «Tanti hanno abusato della mia bontà, forse anche della mia fragilità, e dicono che non sono capace di intendere e volere. Io sono morta da anni». «Mi farebbe piacere vivere in modo più sereno e dignitoso anche se a me la vita terrena non interessa più. Vorrei essere dimenticata». «Forse non ero tagliata per fare l’attrice. Non ero preparata ad affrontare quella carriera, il successo, la popolarità, quell’ambiente, con le illusioni e le delusioni. Sono sempre stata una persona semplice, timida, attaccata ai valori della famiglia. Oggi, per me, esiste Gesù». «Il passato mi ha regalato tanto, ma mi ha tolto molto di più». «Sono bassina, un po’ tondetta e ho le gambe piuttosto corte: chissà perché piaccio?». «I più grandi errori della mia vita? La droga e sposarmi a 24 anni, senza capire cosa stessi facendo». «Ho commesso molti errori perché non ero felice. Può sembrare paradossale, ma un giorno ti guardi allo specchio, vedi che sei bella, ricca e famosa, ma ti accorgi che hai un vuoto dentro. Cosi arrivano scelte sbagliate, cadi nel precipizio: solo grazie a Gesù ho superato tante avversità. Per fortuna ci sono persone che mi vogliono bene». «Vivo con quanto mi basta, il tempo del lusso è finito per sempre. Non mi servono più ville, panfili e bella vita… Sogno una nuova serenità che mi dia equilibrio e che mi permetta di affrontare gli anni che verranno, la vecchiaia che, mi dicono i medici, cerca di aggredirmi». «Di spirito mi sento appena 40 anni. Voglio vivere tranquilla, amare Dio e pensare sempre positivo. Possibilmente un po’ più libera. Sono felice, ho lasciato tanti anni fa la strada sbagliata». «Vivo nel silenzio. Sono molto chiusa, non faccio confidenze, non ho amici. Sono angosciata da tutto: dallo squillo del telefono al mistero dell’universo». «Vivere con un tutore a 70 anni mi sembra proprio ingiusto, ma me lo ha imposto il tribunale ». «Mi sono legata a uomini sbagliati. Colpa mia. Colpa del mio dannato bisogno d’affetto» (dopo la conclusione della lunga storia con Jean Paul Belmondo). «Uso il dolore come una spugna e un po’ alla volta cancello le persone che mi hanno fatto soffrire» (nel 2003, dopo il flop del remake di Malizia).
E di lei cosa hanno detto? Laura Antonelli si impose con il film Il Merlo maschio, al fianco del popolarissimo Lando Buzzanca, che disse: «È la più bella schiena nuda mai apparsa sullo schermo dopo quella di Marilyn Monroe». Il riferimento era alla sua schiena a forma di violoncello (così verrà definita), un vero e proprio sogno proibito degli italiani. «È la donna più bella dell’universo» (Luchino Visconti). «Un viso da bambina su un corpo da donna: questa contraddizione era il segreto del fascino di Laura Antonelli che se ne andata a 73 anni, molti anni dopo aver lasciato il palcoscenico. Quella patina di dolce smarrimento che restava sul suo viso anche quando recitava le parti» (lo scrittore Giuseppe Scaraffia). «Abbarbicata sulla scala, la gonna cortissima sulle gambe di fuso in reggicalze e gli occhi da gatta, fece sognare milioni italiani che la elessero a sex symbol. Poi la cocaina e la solitudine, che la condussero in un baratro che l’avrebbe «fatta cadere in basso» fino all’oblio e quindi alla morte» (Stefano Biolchini, responsabile delle pagine culturali del Sole 24 Ore). «L’avevano lasciata troppo sola, era una persona buona, altruista, si fidava di tutti… Era circondata da persone fasulle, una corte dei miracoli che le diceva “sei divina, sei bellissima, i gioielli te li porto io al Monte di Pietà” e invece sparivano. Ho capito che è morta di solitudine, e che l’avevano abbandonata tutti» (Lino Banfi). « La sua non era mancanza di intelligenza, era solo ingenua, forse era ingenua nella sua bontà. Quando ho saputo che se ne è andata, è come avere perso una donna della mia vita.» È il ricordo di Lando Buzzanca, il rimpianto dell’attore che forse più di tutti la conobbe profondamente. Cosa le piacque di lei?, gli chiesero in una intervista. «Laura era una dolce signora, una bella ragazza, ma soprattutto la quintessenza della femminilità. Una “femminissima”, la chiamavo io».
Avevo un rapporto confidenziale, più di 40 anni fa, con Salvatore Samperi, il regista che la fece diventare celebre, ingaggiandola per i due film, Malizia e Peccato veniale, che attribuirono a Laura l’identità della donna più desiderabile del mondo, simbolo dell’erotismo. Ed ero in rapporti molto amichevoli con Sandro Parenzo, oggi un prestigioso imprenditore nel mondo del cinema e della televisione, all’epoca lo sceneggiatore prediletto da Samperi. Parenzo ricorda la Antonelli cosi: «L’idea della servetta che eccita tutti i maschi di casa la pescammo un po’ da Vitaliano Brancati. Calze velate, buco della serratura, silenzi, rumore della doccia. Fu un miracolo». (Malizia incassò 6 miliardi, nel 1973!). E così, grazie alle consuetudini di stima e simpatia con Salvatore e con Sandro, ebbi il privilegio di incontrare qualche volta Laura, la dea dell’amore. Incontri occasionali, formali e superficiali: sufficienti però per trasmettermi l’immagine delle contraddizioni della sua personalità e della favola moderna che rappresentava (sarebbe poi diventata, in pochi anni e imprevedibilmente, una storia umana disperata, drammatica). All’epoca Laura Antonelli sembrava la vicina di casa semplice e alla portata di tutti, la ghiotta preda di una conquista in apparenza facile. Ma, allo stesso tempo, rivelava una bellezza aristocratica e misteriosamente particolare, raffinata e inavvicinabile. Avevi l’impressione, parlandole, di poter sfiorarla con semplicità, toccarla, abbracciarla e sedurla, come una ragazza qualsiasi che portavi al cinema, o in discoteca, per darle qualche bacio e limonare, in quegli anni si diceva così, senza problemi. Una di noi, una delle tante. Ma era molto ingannevole l’impressione del primo impatto. Con la stessa naturalezza con cui ti sembrava la ragazza da corteggiare nel cortile di casa, subito e con stile impalpabile, Laura diventava una regina che ti teneva a distanza: con naturalezza e senza l’altezzosità di un pur minimo atteggiamento scostante. E confesso che, come tanti, incontrandola, parlandole, mi sentivo in soggezione. Non era celebrata da tutti. Ci fu anche chi – ad esempio il critico dell’Espresso, Giovanni Buttafava – provò a smitizzarla con drastica rudezza. «Era assurta a simbolo del sesso italico: piccole porcherie esplosive, fissate in un catalogo da variare all’infinito.» A mio parere non aveva colto la genialità artistica di Samperi e Parenzo e ancor meno il segreto del fascino di Laura. In generale, le opinioni sul caso Antonelli erano entusiastiche. Rodolfo Sonego: «Era di una bellezza estremamente desiderabile e ingannevole. Poteva far perdere la testa a qualsiasi uomo l’avesse incontrata». Marco Giusti: «Se non si spogliava, non esisteva… lei stessa era consapevole del meccanismo. Del resto, era diventata una megastar, recitava per Giuseppe Patroni Griffi, Mauro Bolognini, Luchino Visconti, al massimo della carriera la vollero anche Dino Risi, Luigi Comencini, Sergio Corbucci: riuscì a mischiare commedia e cinema altissimo. Eppure, anche questi maestri, con questi film coltissimi la volevano sempre nuda, perché la venerazione per il suo Corpo non veniva mai meno».
Delicato il ricordo, nel giorno della morte di Laura, dell’amica Michela, sua vicina di casa (il 22 giugno 2015 l’attrice fu trovata morta dalla badante nella sua casa di Ladispoli). «Lasciava bigliettini sotto gli usci degli appartamenti. C’era scritto: “Pregate Iddio e la Madonna”. Di solito, lei Dio lo chiamava Papino». Scarna e telegrafica invece la testimonianza di Jean Paul Beimondo, con cui Laura ebbe la storia sentimentale più importante della sua vita: nove anni di amore e passione, in altalena tra litigi e riappacificazioni. «Una compagna adorabile, dallo charme eccezionale. Fu una partner di grande qualità, che tutti apprezzavano sui set. Voglio conservare solo i meravigliosi ricordi». «Un fenomeno di bellezza, di freschezza, di genuinità», disse Pippo Baudo. «Qualche anno fa l’ho sentita al telefono, mi invitò a recitare con lei il rosario. Mi accorsi che non viveva un momento psicologico tranquillo»