Il pianista di Reggio Calabria strappa applausi al Conservatorio di Milano
QUANDO ALDO MORO, NEL 1958 IMPOSE L’EDUCAZIONE CIVICA

(di Cesare Lanza per Il Quotidiano del Sud) Presso Palazzo Mattei di Paganica a Roma c’è stata ieri la presentazione di “Aldo Moro e l’educazione civica. L’attualità di un’intuizione” di Mario Caligiuri (Rubbettino), alla presenza dell’autore, del direttore generale dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Massimo Bray, dell’ex ministro della Pubblica istruzione Giuseppe Fioroni e dell’ex rettore dell’Università “Aldo Moro” di Bari, Antonio Felice Uricchio. «Avere reso obbligatoria a scuola l’Educazione civica può riportare in Italia l’attenzione sulla pedagogia, che rappresenta una chiave decisiva per comprendere la società contemporanea. Pochi sanno, però, che a istituire questa materia nel 1958 fu il ministro della Pubblica istruzione Aldo Moro (Maglie, 23 settembre 1916 – Roma, 9 maggio 1978). In un testo rigoroso, che spazia dal contesto politico a quello educativo, si approfondisce il clima della ricostruzione morale ed economica del Paese. Circostanza quanto mai attuale, poiché la speranza di allora è stata sostituita dalla paura di adesso».
LA SCUOLA DEMOCRATICA IDEALE SA PREMIARE IL VALORE DEL MERITO

Il libro invita a chiarire gli scopi politici dell’istruzione, precisando che l’autentica scuola democratica è quella che premia il merito, riducendo le distanze sociali. Esattamente l’opposto di quanto è accaduto dal Sessantotto in poi, dando vita a una società dettata dall’analfabetismo di massa che popola una democrazia dove tutto sembra possibile.
GIUSEPPE ALBANESE, LA MARATONA PER PROPORRE IL SUO IDOLO LISZT

Giuseppe Albanese, grande pianista (Reggio Calabria, 11 maggio 1979) al Conservatorio di Milano si è esibito in un ottimo concerto, accompagnato dalla Filarmonica del Festival pianistico internazionale di Brescia e Bergamo diretta da Pier Carlo Orizio. Enrico Parola ha scritto sul Corriere della Sera: «Non chiamatela maratona: in fondo, insieme durano
come i secondi concerti di Cajkovskij e Brahms». Vero in termini di minutaggio, ma, considerando tutte le note che suona in quell’ora scarsa, almeno il termine “impresa” sia concesso. Accompagnato dall’orchestra del Festival Pianistico di Brescia e Bergamo (che Pier Carlo Orizio dirige anche nella Quarta sinfonia di Schumann), Giuseppe Albanese affronta per la Società dei Concerti entrambi i concerti di Liszt: il nome del grande virtuoso ungherese viene universalmente associato ai funambolismi tecnici croce e delizia di tutte le successive generazioni di pianisti.
PER IL PIANISTA DI REGGIO CALABRIA L’IDOLO ERA IL MAESTRO UNGHERESE

«Anch’io ho subìto fin da piccolo il fascino di Liszt: avevo 11 anni, proprio sentendo i suoi brani ho deciso che la musica sarebbe stata la mia professione», racconta il talento reggino, che a maggio ha compiuto quarant’anni, la maggior parte dei quali trascorsi a suonare, soprattutto Liszt. «È strano: in realtà il numero dei concerti che ho portato in pubblico è superiore a quello dei miei anni; eppure, sì, l’opera di Liszt è quella che da sempre e costantemente segna il mio percorso artistico». Due anni fa ha inciso per Universal non solo i concerti, ma anche gli altri brani per pianoforte e orchestra del musicista magiaro, da Totentanz a Malédiction, da tanti considerato quasi ineseguibile per le acrobazie che le dita devono compiere. «In effetti a guardare la partitura è quasi utopistico poter eseguire tutto senza compromessi: quanto mi sarebbe piaciuto essere un contemporaneo di Liszt e vedere come suonava Malédiction». Le difficoltà dei concerti bastano e avanzano; non a caso anche i più grandi pianisti non li suonano mai assieme: «Già nelle tre righe iniziali del primo c’è un concentrato vertiginoso di figure tecniche, il solista entra con poderose ottave che compiono salti tra i registri acuto e grave sempre più ampi. Nonostante li abbia suonati tante volte, l’adrenalina per il rischio dell’errore c’è sempre, anche perché se l’obiettivo fosse solo suonare le note giuste non sarebbe neppure troppo difficile da realizzare; invece bisogna rischiare, le note devono emozionare. Liszt, nei suoi celebri studi, parla di ‘esecuzione trascendente’: il pianista deve risolvere i problemi tecnicie riuscire a piegare i virtuosismi all’espressione di emozioni profonde. Nel Primo concerto deve scaturire soprattutto la vena lirica, nel Secondo la profondità armonica».