La lezione della fusione tra Fca e Peugeot per gli investimenti al Sud
(di Roberto Napoletano per Il Quotidiano del Sud) Il piagnisteo meridionale fa parte della malattia. Perché le lacrime quando sono d’ordinanza perdono di credibilità, fanno male non bene. Tra le grandi famiglie del capitalismo a essersi mossa con un disegno industriale italiano e globale c’è solo l’attuale Fiat Chrysler Automobiles. Da una parte Mirafiori, Grugliasco, Modena, dall’altra Pomigliano d’Arco, Melfi, Cassino e la Sevel in Valdi Sangro in joint venture proprio con i promessi sposi francesi della Peugeot. Perché dico questo? Perché negli stabilimenti meridionali tutti rinnovati c’è il capitale umano e di veicoli che le piattaforme globali del nascituro quarto produttore mondiale dell’auto permettono di valorizzare. Per cui i posti di lavoro sono tutelati più di prima anche se non è detto che lo siano tutti, ma non si può neppure escludere che aumentino. Oggi, come direbbe Marchionne, ci sono la stazza e le risorse per gareggiare, prima quelle per finire fuori mercato. Se la grande chimica di base della Montedison fosse ancora in vita e avesse fatto la scelta incentivata come per la Fiat di investire nel Mezzogiorno d’Italia, il Paese prima ancora del Sud starebbe meglio o peggio? Ma davvero crediamo che un paio di produttori di chimica di specialità che sono una quota infinitesimale della vecchia Montedison e al primo problema di governance familiare vanno per aria, possano essere il nostro futuro? Siamo seri! Se questo governo Conte 2 vuole durare si occupi di operazione verità sulla spesa pubblica tra Nord e Sud e del suo riequilibrio, di disegnare soluzioni di ingegneria finanziaria per fare le infrastrutture. Soprattutto, si occupi di cercare gli uomini giusti per CDP, Invitalia e grandi aziende ex pubbliche affinché l’unificazione tra le due Italie diventi realtà. Con 1200 miliardi di liquidità sui conti correnti delle famiglie privarsi di strumenti come il “Super Btp sintetico”, ideato da Minenna, capace di mettere sul piatto 100 miliardi in un anno (senza fabbricare debito) per dare a Gioia Tauro, Palermo e Napoli ciò che meritano prima di consegnare ai cinesi Trieste e Genova, significa autocondannarsi al nichilismo. Perché non dovremmo operare con mezzi finanziari che garantiscono rendimenti adeguati nel breve e medio termine al risparmio italiano e regalano il futuro alla nostra economia? Forse, perché non si capisce che chi si permette di tagliare venti milioni di persone dal treno veloce e dall’alta capacità ferroviaria delle merci va accompagnato all’uscio senza un euro di liquidazione. Che la stessa sorte tocchi a chi con una faccia di tolla continua a dare risorse pubbliche all’idrovora Regione Piemonte che spende cinque volte di più della Regione Campania per gli stessi servizi generali e lesina le briciole di spesa sociale e infrastrutturale alle regioni meridionali. Questo significa non fare politica industriale. Non è un problema di risorse, ma di volontà e di attributi degli uomini. Merce rara, capisco.