Città del Messico, 25 ottobre 1972: a soli diciotto giorni dall’ultima gara -il Giro di Lombardia, ovviamente vinto-, E ddie Merckx conquista il record dell’ora, pur non riuscendo ad abbattere il muro dei 50 km/h. Il cronometro fece segnare 49,431 km/h, quando scese dal sellino il Cannibale, stremato, promise: non lo farò mai più. Nessuno può avere dubbi sulla mostruosa potenza del belga, ma ciò che rende eccezionale il suo record è la sua unicità: fu l’ultimo record dell’ora fatto registrare con una bicicletta di forma tradizionale, costruita a mano da Ernesto Colnago.
Il primo ad abbattere il fatidico confine fu Francesco Moser sempre a Città del Messico 12 anni dopo ma con una bici mai vista prima, seguito poi da ogni altro corridore nel frantumare la tradizione meccanica. Di fatto, nel ’72, Merckx non poteva saperlo ma mise fine alla bici da pista come fino ad allora era conosciuta.
La creazione di Colnago però era, nei limiti finora non superati del telaio “a diamante”, assolutamente eccezionale, con un peso mai raggiunto in precedenza di 5,750 chili. Si tenga conto che dal 2000 l’Unione ciclistica internazionale ha stabilito, per motivi di sicurezza, che il peso della bici non possa scendere sotto i 6,8 kg. Colnago arrivò a quel peso piuma con accorgimenti piuttosto rischiosi, e infatti “avevo paura -dice lo stesso Colnago all’Adnkronos- che piegasse il telaio in partenza”. Ma l’avevano pensata insieme, “lavoravamo uniti”; però, per sicurezza, ne costruirono due, “non si sa mai”. L’anteriore del telaio aveva tubazioni fatte fare appositamente da Columbus di 0,4 millimetri di spessore, e solo l’obliquo, più il triangolo posteriore che deve sostenere la potenza di spinta, avevano uno spessore di 0,7 mm, praticamente la metà di una buona bici da corsa dell’epoca. Mentre 0,4 mm può essere considerato alla stregua di carta velina.
Il manubrio era forato 48 volte; anche la catena, di 100 maglie esatte, era traforata (a mano dallo stesso Colnago) 200 volte, per un risparmio di 95 grammi. I mozzi erano torniti dal pieno di titanio, quello posteriore aveva addirittura i cuscinetti a vista, per l’eliminazione dei parapolvere (2 o 3 grammi di guadagno). Raggi e attacco manubrio erano stati ordinati a Pino Morroni, un romano classe 1920 che si era trasferito a Detroit per imparare tecniche nuove: i nfatti i primi erano in berillio, materiale sconosciuto in Italia, e il secondo in titanio, materiale di cui qualcuno parlava ma che nessuno aveva imparato ancora a saldare. Reggisella e pedali in avional, altro Ufo per i meccanici italiani. La ruota anteriore era radiale, ovvero senza alcun incrocio dei raggi, “prende meglio l’aria e dà un 15% di vantaggio”, dice Colnago in un video dell’epoca.
Nello stesso video si percepisce il palese imbarazzo di Colnago quando gli si chiede “ma una bici del genere quanto può costare?”, e lui farfuglia, non sa che dire, “ma non ha prezzo, questa è passione” eccetera, e poi azzarda: “seicentomila lire”, come a sparare alto; ovvero qualcosa come 5.000 euro, cifra ormai irrisoria per bici da competizione di alta gamma, che superano facilmente i 12.000 euro.
“La grandezza di quel record -dice Colnago, rievocando quell’impresa e facendo finta che quella bici non c’entrasse niente- sta nel fatto che Merckx non fece un allenamento specifico in pista. Sostenendo un allenamento specifico avrebbe potuto fare molto di più”.
Adnkronos