L’apertura del mercato contro la tutela di un prodotto tipico che segue un rigido disciplinare per potersi fregiare di un nome diventato ormai un simbolo nel mondo. C’è anche questo dietro lo scontro che è andato in scena nelle ultime ore tra Italia e Stati Uniti, uno dei tanti rivoli della guerra dei dazi aperta dal caso Airbus-Boeing e che legittima gli States a imporre tariffe su 7,5 miliardi di import Ue, a partire dal prossimo 18 ottobre.
Ad attaccare è stata l’associazione americana dei produttori lattiero caseari, la National milk producers federation, che ha supportato con una nota ufficiale l’intenzione di Washington – manifestata dalla prima lista di prodotti che verranno colpiti, in attesa della quadratura finale – di colpire proprio i prodotti europei del loro settore come formaggi, yogurt e burro. A loro detta, il deficit commerciali di 1,6 miliardi di dollari che gli Usa patiscono verso l’Europa si deve a pratiche continentali scorrette che bloccano il loro accesso al mercato unico, mentre i produttori europei avrebbero grande spazio per conquistare i consumatori americani.
E tra le pratiche scorrette che indicano c’è proprio il presunto “abuso” europeo delle indicazioni geografiche tipiche. Secondo i produttori americani, queste impedirebbero alle imprese a stelle e strisce di untilizzare i “nomi comuni” di formaggi e affini e sarebbero dunque uno schermo protettivo da una concorrenza a viso aperto. Proprio grazie alle tariffe, dalla sponda Usa rivendicano di poter finalmente arrivare a un confronto commerciale ad armi pari e a un flusso di vendite realmente a due direzioni.
Una presa di posizione che ha fatto scattare in molti, anche in Italia. A cominciare dalla titolare dell’Agricoltura, la renziana Teresa Bellanova, che ha parlato di affermazioni “gravissime” da parte dei produttori Usa. Per la ministra, “La Commissione europea deve stigmatizzare un attacco di questo genere al sistema delle nostre indicazioni geografiche”. Al grido di “giù le mani dai nostri nomi. Basta con i furti di identità”, Bellanova è stata chiara e diretta: “Se il loro progetto è vendere il Parmesan o la finta mozzarella in Europa, dobbiamo dire chiaro che non succederà mai!”, ha detto. Poi, rivolgendosi direttamente a Trump: “È ingiusto mettere i dazi, stai privando i tuoi cittadini della qualità perché noi non esportiamo cibo spazzatura ma cibo di alto livello”.
Chiamati direttamente in causa, dal Consorzio del Parmigiano Reggiano il presidente Nicola Bertinelli ha attaccato: “I dazi non sono altro che una ripicca perché l’Europa tutela le Dop registrate: i formaggi americani (come il Parmesan, ma anche l’Asiago o il Gorgonzola, la Fontina made in Usa) non possono pertanto entrare all’interno dell’Unione Europea”. Secondo Bertinelli, il documento della Nmpf non fa altro che esplicitare il reale secondo fine delle nuove tariffe.
Sulla stessa linea la Coldiretti, che ha ricordato come nel mondo la filiera dei Parmesan abbia ormai superato per valore quella del prodotto originario: diventa Parmesan dagli Stati Uniti all’australia, dal Sudafrica fino alla Russia, Parmesano in Uruguay, Reggianito in Argentina o Parmesao in brasile o altro anche più fantasioso, come il Grana Pampeana senza dimenticare i formaggi similari che si moltiplicano anche in Europa.
Secondo l’associazione, oltre respingere al mittente la “richiesta dei produttori statunitensi”, “vanno anche rafforzati i meccanismi di tutela delle produzioni agricole italiane ed europee negli accordi di libero scambio”. Cosa che – a detta della Coldiretti – non è avvenuta col Ceta, l’accordo tra Ue e Canada, che ha agevolato “le imitazioni che sfruttano i nomi delle tipicità nazionali”, portando a un crollo di un terzo delle vendite di Grana e Parmigiano italiani nel Paese Nordamericano. Nelle stesse ore in cui infuriava la polemica, per altro, la Coldietti con Filiera Italia, Fiera di Colonia e Ice firmava un protocollo d’intesa a Colonia contro l’italian sounding, la prassi di chiamare i prodotti “non originali” con i nomi italiani così famosi nel mondo. Un accordo “stoppa falsi” – hanno spiegato le realtà coinvolte – necessario in un momento in cui le nostre eccellenze sono sempre più sotto il tiro incrociato di nuovi protezionismi e della tarocco-mania che vale nel mondo 100 miliardi di euro.
Con il via libera della Wto ai dazi come risposta agli aiuti pubblici illegali ad Airbus, sul ‘made in Europe’ si abbatte una stangata da 7,5 miliardi di dollari. I nuovi dazi Usa del 25%, pronti a scattare dal 18 ottobre, prendono di mira alcuni dei prodotti più iconici del Vecchio Continente, come il whiskey scozzese, i vini francesi, lo yogurt greco, la feta e, per quanto riguarda il made in Italy, il parmigiano, su cui l’ agroalimentare Made in Italy rischia di pagare un conto salatissimo. Gli Stati Uniti sono il secondo mercato estero, dopo la Francia, per l’export di Parmigiano Reggiano. Attualmente ne sono esportati 10 milioni di chilogrammi l’anno. Il Consorzio stima una perdita di fatturato del prodotto esportato negli Usa di 360 milioni di euro e nei giorni scorsi ha parlato di un necessario rialzo dei prezzi al consumatore Usa da 40 a 45 dollari al chilo. Mentre il Grana Padano, in un anno, subirebbe un danno quantificabile in circa 270 milioni di euro.
Repubblica.it