Il fenomeno dell’antibioticoresistenza, ossia la diffusione di ‘super-batteri’ resistenti a gran parte degli antibiotici conosciuti che prosperano grazie alla “selezione naturale” favorita dall’abuso di antibiotici, è un’emergenza globale, che va affrontata con un lavoro comune di tutti i soggetti coinvolti, ma anche con risorse adeguate. E’ la sintesi dell’intervento di Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, in audizione alla Commissione Affari Sociali della Camera. “Ormai da molti anni a livello internazionale – ha ricordato l’esperto – è stato individuato questo tema come elemento di pericolo globale. L’Ue si è impegnata in maniera forte con un piano specifico dal 2011 in poi e con monitoraggi periodici. Un’emergenza ribadita anche lo scorso 14 giugno da un voto all’unanimità del consiglio europeo dei ministri della Salute, che hanno sottolineato l’importanza di un’azione sinergica, di un approccio ‘one health’, cioè affrontare il problema da tutti i punti di vista”. Anche perché l’antibioticoresistenza, ha aggiunto Brusaferro, “non è solo un problema umano, non si risolve solo riducendo gli antibiotici all’uomo, ma riguarda anche il mondo veterinario, gli allevamenti, l’agricoltura, l’impatto ambientale”. Per affrontarlo servono risorse: “L’Ocse in un suo recente policy brief – ha detto il presidente dell’Iss – sottolinea che interventi anche molto contenuti di 2 o 3 dollari per persona per anno possono portare a salvare migliaia di vite umane, 9-10mila solo in Italia, e anche un ritorno economico”. Proprio la scorsa settimana nella sede romana dell’Istituto “si sono riuniti rappresentanti di tutti i 28 paesi, con 40 partner, per fare il punto sugli obiettivi al 2020 e a che punto siamo”. Proprio l’Italia ha varato un piano nazionale considerato dagli esperti “tra i più completi e ambiziosi, proprio perchè affronta il problema con un approccio ‘one health’, in tutte le sue articolazioni, e coinvolge tutti gli attori, dall’ambiente agli aspetti economici e industriali. L’Italia ha degli elementi di positività: ci sono delle buone pratiche diffuse nel Paese, ci sono esperienze di successo nell’uso prudente dell’antibiotico, ci sono professionisti preparati. Dobbiamo fare in modo che le buone pratiche siano adottate anche in situazioni più critiche, e che diventi una cultura diffusa”. Il tema, infatti, è anche culturale: “L’antibiotico ha una valenza di sanità pubblica. Usarlo risolve i problemi dell’individuo ma impatta sull’ecosistema, presente e futuro. Si diffonde nell’ambiente. Deve essere usato con attenzione. Non può essere usato come si usa un integratore. Il punto culturale è che viene considerato come una panacea, come un’aspirina, e modificare questa percezione è molto complesso. Informare e formare è estremamente importante, ma è altrettanto importante che il cittadino riceva messaggi coerenti da tutti gli attori, dal medico al farmacista fino al vicino di casa”. In ogni caso, ha concluso, “pur con un consumo di antibiotici significativamente diversi tra regioni”, si registra un “trend generale al calo, si vede che la corretta informazione comincia a fare effetto”. L’ambizione dell’Italia, che in Europa è tra i paesi con la situazione più preoccupante, “è uscire dal colore rosso acceso nelle mappe europee sull’antibioticoresistenza e migrare verso arancione e auspicabilmente giallo e verde, con i paesi più virtuosi. Raggiungere paesi come l’Olanda entro il 2021 lo ritengo improbabile, ma è realistico cercare di ottenere miglioramenti significativi”.