LʼArabia Saudita è il maggiore esportatore mondiale di greggio e i raid contro due strutture strategiche hanno ridotto la produzione di 5,7 milioni barili al giorno
Dopo gli attacchi alle raffinerie saudite di Saudi Aramco e l’annuncio di Trump sull’uso delle riserve petrolifere strategiche americane, il prezzo del petrolio schizza alle stelle: domenica sera i futures Usa sul greggio sono saliti del 15%, quelli sulla benzina dell’11% e il Brent del 18%. Lunedì mattina rialzi anche sui mercati asiatici: il Brent sale del 10,7% a 66,66 dollari e il Wti del 9,6% a 60,1 dollari.
Il Brent ha toccato i massimi dalla guerra del Golfo del 1991, e il future sul Brent sale di oltre il 10% a 66,55 dollari al barile, dopo aver guadagnato fino al 19,5% a 71,75 dollari, sui livelli di gennaio 1991. Il future sul Wti balza in avanti del 9,25% a 59,86 dollari al barile, dopo aver segnato un +15,5%, il suo maggior aumento giornaliero dal 22 giugno 1998.
L’Arabia Saudita è il maggiore esportatore mondiale di petrolio e gli attacchi nel fine settimana contro due strutture strategiche, hanno ridotto la produzione di 5,7 milioni barili al giorno, quasi la metà della produzione del Paese, ovvero l’equivalente del 5% del consumo giornaliero mondiale, rappresentando così il più grande danno determinato da un singolo evento per i mercati petroliferi. La perdita è infatti superiore ai 5,6 milioni persi nel 1979 con la rivoluzione iraniana e dei 4,3 milioni di barili persi nel 1990 quando l’Iraq di Saddam Hussein invase il Kuwait e nel 1973 in occasione della guerra del Kippur tra Israele e Paesi arabi.
Tgcom24