Figlio di Raffaele, a soli 23 anni è restaurant manager al Caffè Stern a Parigi. Tra gavetta, viaggi e adesso una nuova sfida in Marocco.
Ha da poco compiuto 23 anni ed è il direttore del Caffè Stern, un gioiello storico (è Monumento Nazionale) parigino datato 1834, riportato a nuova luce dal punto di vista estetico da Philippe Starck e gastronomico dai fratelli Alajmo.È Giovanni Alajmo, tanta passione, voglia di farsi valere e physique du rôle.Sì, uno della famiglia, figlio di Raffaele, top manager del gruppo che possiede una flotta di 10 ristoranti in Italia – tra cui l’ammiraglia Le Calandre – e nipote dello chef Massimiliano, mente e mani tra le più famose del mondo.Strada tracciata e facile dunque? Non proprio. Perché quando porti un cognome così importante vuoi e devi essere all’altezza della situazione. Per dimostrare che nessuno ti ha regalato niente devi faticare anche un po’ più degli altri.
Anzi: all’inizio il padre non era nemmeno così felice.
“Dopo aver terminato il Liceo Scientifico mi sono iscritto all’università. Per la precisione alla facoltà di Scienze e cultura della gastronomia e della ristorazione. Ma dopo alcuni mesi mi era chiaro che non era la mia vocazione. Mal sopportavo lezioni e lunghi pomeriggi di studio. La mia passione per la ristorazione era più rivolta alla pratica che alla teoria. Così ho convocato i miei genitori (convocato è il termine giusto: ha annunciato una riunione di famiglia via WhatsApp, ndr) per comunicare la mia intenzione. Volevo concentrarmi subito sul lavoro. Papà ha accolto la decisione con un po’ di rammarico”.
Ma non è stato comunque un fulmine a ciel sereno. La predisposizione al lavoro era già chiara.
“Fin da ragazzo ovviamente frequentavo e davo una mano nei ristoranti di famiglia, alle Calandre e al Calandrino. Dal giovedì al sabato in una sorta di week end lungo lavorativo”.
Come è stato dato il benestare?
“Da uomo d’affari che non fa sconti come mio padre. Mi ha detto ‘se è questo che vuoi, va bene. Ma ti deve essere chiara una cosa. Da tuo papà divento tuo datore di lavoro. E devi stare alle mie regole. Fai le valigie. Parti per Parigi’ e così è stato. Non senza un po’ di agitazione, non conoscevo nemmeno la lingua. E infatti ecco subito per me un corso intensivo di francese, lezioni di sommellerie col sommelier delle Calandre e un biglietto aereo per Charles De Gaulle. Adesso sono qui da tre anni”.
Ed è difficile lavorare per tuo padre?
“Lui è molto esigente perché è il primo a dare il massimo quindi lo pretende dagli altri. Ha un metodo. E per aumentare le prestazioni, cioè ottenere quello che vuole nei ritmi che vuole, ha un metodo infallibile. Se chiede una cosa e non viene fatta subito, inizia a inondarti di email o sms fino a quando la richiesta (anche se non urgente) non è esaudita. In pratica – dice Giovanni con tono scherzoso – usa la tecnica dello sfinimento. Pretende efficienza”.
Ma non subito come restaurant manager, vero?
“Ho iniziato come runner, portavo i vassoi dalla cucina alla sala e facevo il caffè al bar. I primi mesi sono importanti. Quelli in cui ho fatto i primi passi per rompere il ghiaccio con la clientela parigina, molto competente e esigente. Poi a poco a poco ho fatto la mia carriera: cameriere, chef de rang, aiuto direttore. Poi a un certo punto il direttore ha comunicato che sarebbe andato via. Mio padre è arrivato da Venezia per capire la situazione e trovare un sostituto. Ha preso in considerazione diverse opzioni. Mentre parlavamo a un certo punto mi ha dato una pacca sulla spalla, dicendomi ‘abbiamo trovato il nuovo direttore’. È stata un’emozione”.
C’è mai la pressione, la sensazione di dover dimostrare agli altri che ci si merita le cose?
“Certo. Penso sia inevitabile. È una sfida quotidiana da sempre. Anche a scuola capitava il compagno di classe che mi guardava come un raccomandato (nei piccoli centri far parte di una famiglia come la mia ti mette sempre sotto osservazione). Ma non mi sono mai sentito così. Mi hanno insegnato l’etica del lavoro, l’umiltà, a farmi valere e a mostrare la stoffa. Insomma, ho imparato a mettere da parte quel tipo di angoscia. La mia famiglia sta facendo grandi cose da tanti anni, ed è inutile farsi paranoie a scapito della concentrazione”.
Com’è il rapporto con lo chef del Caffè Stern, Denis Mattiuzzi?
“Lo chef mi ha visto crescere perché è con noi da 12 anni. Lo stimo moltissimo, è molto serio e preparato e su di lui posso sempre fare affidamento. Credo che sia anche grazie a lui se la squadra del Caffè Stern è vincente. Un altro elemento importante è Eufemia, qui fin dall’apertura e da un anno mio braccio destro. Abbiamo deciso di investire su di lei e di formarla, con una serie di corsi che in Francia sono richiesti per gli esercenti. Mi sostituirà quando tra poco partirò per il Marocco”.
Che clientela ha il Caffè Stern?
“Circa l’80 per cento della clientela è parigina, cosa che ci riempie di orgoglio perché abbiamo fatto breccia nei loro cuori. Poi circa il 10 per cento è italiana, che aumenta durante fiere, come la settimana della moda o quella del design (che qui si chiama maison&objet), poi il resto è molto internazionale con ondate specifiche in base a quando negli altri paesi ci sono delle festività. C’è il periodo spagnolo, per esempio o quello giapponese. In alcuni periodi, come la fashion week per esempio, abbiamo tante di quelle richieste che, pur non essendone felici, siamo praticamente obbligati a fare due servizi”.
Come sono i clienti parigini?
“Hanno un approccio se così si può dire meno contemporaneo. Salvo ovviamente le eccezioni di chi viaggia molto ed è abituato a servizi più informali, hanno aspettative al ristorante di regole formali, bisogna stare attenti a usare un tono formule che non risultino troppo confidenziale, ma è molto stimolante, perché è bello vedere che ogni città ha le sue abitudini. Se ci amano è perché siamo riusciti a conquistarli, ci riconoscono come uno dei migliori ristoranti italiani in città. Ne siamo fieri”.
A adesso dove andrà Giovanni Alajmo?
“Tornerò a dare una mano a casa fino a novembre, tra Padova e Venezia, alle Calandre e al Quadri a seconda di dove sarà più utile il mio aiuto. Poi destinazione Marrakech. Dove si trova da un po’ Daniele Chimetto, già direttore a Parigi, a preparare l’apertura al Royal Mansour, una sede molto prestigiosa, dove anche Yannick Alleno ha due locali. Sono incuriosito più che spaventato, non vedo l’ora di tuffarmi nella nuova avventura. C’è un asse Parigi Marrakesh molto forte, molti parigini vanno in vacanza lì. Poi forse anche in Sud Africa dove è prevista una nostra nuova apertura a gennaio, il ristorante Madre, una formula particolare, cucina italiana molto tradizionale, preparazione di prodotti freschi in loco, tra cui pasta fresca”.
Cosa ti mancherà di Caffè Stern?
“Direi un po’ tutto, tanto: l’atmosfera, in primis. Questo è un luogo nato nel 1834, puoi raccontare ai clienti una storia bellissima unica al mondo, c’è il tocco di Starck è un lusso lavorare qui dentro. Penso meglio che nella Torre Eiffel. Quando ti guardi intorno c’è sempre qualcosa che ti era sfuggito, il dream team è davvero una squadra affiatata, una bella realtà. Puoi conoscere Parigi con a fianco degli italiani in un clima bellissimo. Lascerò qui un pezzetto di cuore. Ma sono pronto per nuove sfide”.
Eleonora Cozzella, repubblica.it