La più bella britannica di sempre a cui la felicità è sempre sfuggita
L’attrice soffriva di una grave sindrome maniaco depressiva che la trascinava in ricoveri ospedalieri e cure, le scatenava voglie sessuali incontenibili e la sprofondò nell’abisso dell’alcolismo. Fino alla morte per la Tbc
(di Cesare Lanza per LaVerità) Per capire qualcosa della contraddittoria personalità di Vivien Leigh, una delle attrici più famose (è stata l’indimenticabile interprete di Rossella in Via col Vento) ma anche autodistruttiva e infelice, è utile ricordare ciò che lei diceva di sé stessa. Ad esempio: «Venire a teatro, mi dà un senso di sicurezza. Amo il pubblico. Amo le persone, io recito perché mi piace provare a dare piacere alle persone». «Non posso stare sola troppo a lungo. Divento irrequieta. Devo fare cose diverse. Sono una persona molto impaziente e testarda. Se ho deciso di fare qualcosa, non posso lasciarmi persuadere». «Il mio segno zodiacale è lo Scorpione. Oscilla tra felicità e sofferenza. Sono in parte pudica e in parte anticonformista. Dico ciò che penso e non fingo di essere ciò che non sono, e sono pronta ad accettare le conseguenze delle mie azioni… Non conosco quale sia il metodo. Recitare è vita, per me, e così dovrebbe essere». «In Gran Bretagna, una donna attraente è in qualche modo sospetta. Se c’è anche il talento, è oscurata. La bellezza e il cervello non possono essere mescolati: rischi di essere troppo stravagante. Ma non è così in America o nel continente, poiché l’aspetto di una donna è considerato una pubblicità positiva per i suoi doni e non toglie nulla al talento». «Non sono una stella del cinema, sono un’attrice. Essere una star del cinema è una vita così falsa, vissuta per valori falsi e per pubblicità». «Molti di noi sono scesi a compromessi con la vita. Così, invece, coloro che combattono per quello che vogliono, ci elettrizzeranno sempre » «Avete presente la scena in cui Rossella esprime la sua felicità sulla morte della madre, e non si rende conto di che ragazza cattiva è diventata? Bene, quella sono io».
Era una donna tormentata, nevrotica, piena di complessi: alla ricerca continua di qualcosa che forse neanche lei sapeva. E tuttavia ammiratissima: il più bel riconoscimento le arrivò nel 2006 da un sondaggio inglese: «La più bella britannica di tutti i tempi». Nel 1962 Stanley Kramer la scritturò per La Nave dei Folli: «È una donna», commentò il grande regista, «a cui la felicità sembra sempre sfuggire». Dopo il trionfo del film Che Fine ha fatto Baby Jane, nel 1965 la 20th Century Fox era alla ricerca di una coprotagonista da affiancare a Bette Davis in Piano…piano dolce Carmen lotta, dopo la rinuncia di Joan Crawford, impaurita per le furiose liti con Bette. La proposta arrivò a Vivien Leigh che rifiutò senza esitazioni. Anzi con sarcasmo: «A fatica riuscirei a vedere la faccia di Joan Crawford alle sei del mattino…ma non potrei sopportare di vedere quella di Bette Davis». L’amatissimo Laurence Olivier i non ricordò mai i 13 anni della loro grande passione, ma solo la pazzia furibonda degli anni della follia e paragonò la loro vita insieme ad «un ascensore in corsa verso l’ultimo piano che poi precipita a terra senza fermate, a velocità folle». Scotty Bowers è stato un gigolò di Hollywood: ha raccontato ciò che ha vissuto negli anni Sessanta e Settanta lungo i boulevard di Los Angeles. L’ex benzinaio della Van Ness Avenue ha deciso di scrivere le sue memorie, rivelando (a 88 anni) i segreti scabrosi di importanti divi del cinema. Titolo molto esplicito del libro: Servizio completo, le mie avventure a Hollywood e la vita sessuale segreta delle star. Ricorda Barbara Ciolli: «Tra le star che chiedevano a Scotty incontri sotto le lenzuola e centinaia di giovani (uomini e donne) per le loro perversioni, c’erano anche Vivien Leigh».
Quella tra Vivien e Laurence Olivier fu comunque una storia romanticissima e durata a lungo. Un amore d’altri tempi, tra due giganti del cinema, è stato scritto. La Leigh era sposata con un avvocato di 13 anni più anziano, Herbert Holman, Olivier con l’attrice Jill Esmond. Divorziarono senza problemi. La relazione si accese durante le riprese del film Elisabetta d’Inghilterra (1936) nel quale i due interpretavano una coppia di amanti. Il matrimonio finì nel 1960. Vivien soffriva la genialità di Laurence. Era indispettita dal confronto e dalle critiche. Ma il problema non era semplicemente caratteriale. Si rivelò un pericoloso disturbo bipolare. Conseguenze: ricoveri in ospedali, cure cliniche, tradimenti, infine il fallimento del legame sentimentale e del matrimonio. Anche dopo la rottura ed essersi lasciati, Vivien e Olivier si scrivevano molte lettere appassionate. Decine, centinaia di lettere: finite negli archivi del Victoria and Albert Museum. Oggi duecento lettere sono diventate pubbliche, oggetto di attenzione dei più prestigiosi giornali, a cominciare dal Guardian. Alcune sono molto erotiche. Olivier scrive alla Leigh della sua straordinaria passione, del desiderio incontenibile: «Mi sono svegliato con un furioso desiderio di te, amore mio… Buon Dio, quanto ti volevo. Forse tu nel frattempo ti stavi accarezzando da sola…». E in un’altra missiva: «Sono seduto qui nudo, con le mie partì intime avvolte nelle tue mutandine. La voglia di te è troppo intensa». Non era solouna attrazione fisica e i loro rispettivi coniugi lo capirono. Nel febbraio del 1940 Jill Esmond si rassegnò, concedendo il divorzio a Olivier. Idem Holman con Vivien Leigh. Nell’agosto di quell’anno i due amanti si sposarono. «Se ci fossimo amati solo con i nostri corpi suppongo che sarebbe andato tutto bene», ha scritto in un’altra lettera Olivier. «Invece ti amo molto di più, ti amo con l’anima». Anche quando i rapporti cominciarono a guastarsi, l’affetto tra i due divi non si esaurì. Scrive Olivier, dopo il divorzio e a dispetto dei tradimenti: «Hai affrontato la situazione nobilmente e coraggiosamente… Vivien, sono così dispiaciuto, veramente dispiaciuto che tutto questo sia stato un inferno per te».
Vivien Leigh si batteva contro una grave sindrome maniaco depressiva. Sin da ragazza era umorale, con attacchi di isterismo, da adolescente era afflitta da comportamenti maniacali. Ad esempio l’abitudine, mantenuta per tutta la vita, «di riporre con cura gli indumenti appena tolti e di ricoprirli con un quadrato di seta orlato di pizzo». E curiose intemperanze: a cena con la madre in un ristorante di Monaco è conquistata da un giovane cameriere: «Sei così bello, meriti un bacio!». Lei agisce senza inibizioni, la mamma, allibita, la schiaffeggia. Vivien a trentatré anni è costretta a sospendere La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato il lavoro in teatro. Motivo: una violenta, preoccupante crisi legata alla depressione. Peggio nel cinema: deve girare Anna Karenina in una stagione di afa torrida. È obbligata a recitare spesso in pelliccia, stretta in imbusto soffocante. Esplodono le crisi di nervi, anche perché teme di essere diventata brutta, si sente stanca e invecchiata. È mortificata dalla superiorità artistica e dall’ineccepibile comportamento professionale del marito. E capisce che il grande amore si sta polverizzando. Diceva comunque a tutti che la sua vera vita era stata quella con Larry boy, in arte Laurence Olivier. Il dramma è alla fine. Inizia una spirale discendente tormentata dalle crisi nervose. Rare e brevi sono le tregue. La salute pericolante della Leigh la porterà alla morte nel 1967. Anche i personaggi che decide di interpretare sembrano scelti per mettersi alla prova. Lei, incapace di scrollarsi di dosso i «fantasmi di scena, affronta una serie di figure femminili psichicamente instabili, fragili, sfiorite, rifiutate dagli uomini». Cominciano purtroppo a verificarsi episodi di promiscuità, nocivi 0 addirittura scandalosi per la sua immagine pubblica. La tubercolosi è l’altra sua micidiale malattia: mai battuta veramente, si unisce al vizio del bere. Le sue voglie sessuali sono incontenibili, diventano ingestibili. Cronache e pettegolezzi imbarazzanti si riferiscono ad approcci con chiunque le capiti a tiro: facchini, operatori, tassisti. E si spoglia all’improvviso anche in pubblico, resta nuda senza pudore, bestemmia e urla oscenità. «Durante un volo per Los Angeles ha una crisi di claustrofobia, si strappa gli abiti di dosso e cerca di rompere i finestrini». Sul palcoscenico ha quasi sempre un ammirevole autocontrollo, è professionale, sempre bellissima. Ma nella vita privata è tutto diverso.
Vivien passa da momenti di depressione, con difficoltà di concentrazione, insonnia e dimagrimento, a momenti maniacali con perdita di autocontrollo, aumento della libido e persistente sovreccitazione. Finalmente si arriva a un chiaro referto medico: psicosi ciclica maniaco-depressiva. Ricoverata d’urgenza in un ospedale di Londra, viene sottoposta per la prima volta a un elettroshock. È il 1953. Malata di nervi e di polmoni, continua a condurre una vita frenetica, sacrificando il sonno, bevendo e fumando, quasi volesse accelerare la corsa verso la morte. La «più bella attrice del mondo», che forse solo Liz Taylor – anni dopo – eguaglierà, è una signora ingrassata e angosciata, prigioniera impotente della tragedia che è diventata la sua vita. È finita, quasi si sta decomponendo. Il rifugio costante è l’alcol: si distrugge – vuole distruggersi, per di più afflitta dalla tosse un bicchiere dopo l’altro. Era nata in India, in una località turistica ai piedi del monte Everest, non molto distante da Calcutta, il 5 novembre 1913. Dopo la sua nascita, l’anno seguente, la madre diede alla luce due gemelli, i quali sfortunatamente perirono entrambi in breve tempo. I suoi hobby preferiti erano la cura dei fiori, la poesia e la pittura. Amava i gatti, soprattutto i siamesi. Già nell’infanzia Vivien fu educata in Inghilterra, Francia, Germania, in conventi religiosi cattolici. Tra questi anche qualche mese in Italia a San Remo nel convento del Sacro Cuore. Economicamente la sua famiglia era molto agiata. Conosceva molte lingue, viaggiava molto con il padre fin da bambina. Vinse due Oscar (uno lo usava come fermaporta del bagno, ma era fragile, delicata, cagionevole, preda di gravi malattie. Una domenica di maggio, di colpo, perde i sensi. Si riprende, sputa sangue. La tubercolosi, a 53 anni, le presenta il conto. Il 7 luglio la trovano morta, nella casa di Londra, sdraiata per terra: sul pavimento una lunga striscia rossa. Laurence Olivier, suo marito, non ricordò mai i lunghi anni della passione, ma solo quelli della pazzia: «Un ascensore in corsa verso l’ultimopiano che precipita a velocità folle» Dotata di autocontrollo in scena, sempre incantevole e professionale, era diversa nella quotidianità. A Londra venne ricoverala e fu anche sottoposta a un elettroshock. Vivien Leigh (1913-1967), la Rossella di Via col Vento. Usava una delle statuette che aveva vinto come fermaporta del bagno.