La Cina lancia il suo Nasdaq: debutto-boom per il listino tecnologico di Shanghai

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Nel mezzo delle guerre commerciali che logorano le due superpotenze mondiali, Cina e Stati Uniti, e viste le interconnessioni globali rischiano di abbattere tutti gli altri, la Cina segna un punto lanciando il “suo Nasdaq”. Così gli addetti ai lavori hanno chiamato il listino Star di Shanghai, un luogo dedicato alle società del settore tecnologico e delle nuove scienze, che è partito oggi. Con risultati da vero e proprio boom.

Tra i venticinque titoli quotati sono infatti arrivati rialzi fino al 520%, per altro in una giornata timorosa per i listini asiatici nel loro complesso. Nota il Financial Times che il bollino di “risposta cinese al Nasdaq” ha avuto un ruolo nel costruire la diffusa speranza che il listino dia una vetrina e una spinta per chi vuole investire negli innovatori tecnologici domestici, in modo che arrivino loro le risorse per fare sviluppo. Il minimo rialzo che si è visto nella prima giornata di contrattazioni è stato del 120%, a testimonianza della grandissima attenzione ricevuta.

La lista per entrare è lunga. Ci sono già oltre 140 compagnie che hanno chiesto la quotazione al listino che è gestito dalla Borsa di Shanghai, portando la massa di denari che vogliono raccogliere verso la cifra di 20 miliardi di dollari. Tra le protagoniste della prima giornata, le migliori performance sono state registrate dalla produttrice di moduli per pannelli solari Anji e dalla Montage Technology che opera nel settore dei chip.

Il listino sta diventando interessante sia per gli imprenditori che per gli investitori. Sul primo fronte, annota ancora il quotidiano della City, è di rilievo la possibilità di quotare diverse classi di azioni, mantenendo dunque il controllo delle società grazie alla diversificazione dei diritti di voto. Per gli speculatori, invece, è una nuova scommessa la possibilità di fare “short selling”, ovvero di puntare contro un titolo comprandone di fatto la prospettiva di un ribasso (pratica altrove soggetta a stretti limiti) così come l’assenza di limiti di oscillazione giornaliera dei prezzi (fissato al 10% per Shanghai e Shenzhen).

Per cercare di controbilanciare i rischi, il mercato è limitato per gli investitori retail che invece imperversano sui listini tradizionali cinesi: lo scambio di azioni è aperto solo a trader con due anni di esperienza e un portafoglio minimo consistente, e le società quotate devono riservare almeno la metà dei loro titoli a investitori istituzionali come i fondi pensione.

Repubblica.it