L’authority, presidente, però è un’istituzione neutrale, senza interessi di parte. Alla quale finora è stata negata la possibilità di esprimersi sulle concessioni essere nonostante esista dal 2013.
«Quel limite derivava dall’esigenza di salvaguardare i contratti tra lo Stato concedente e la concessionaria da invasioni di campo di soggetti terzi, anche se ben intenzionati. La stranezza è oggi. Ora, l’indipendenza dell’Autorità è sacrosanta. Se praticata. Vede, i costi dell’Autorità sono coperti dai contributi delle aziende regolate. Niente di male. Lo stesso Consiglio di Stato lega questi contribuiti alla funzione di regolazione, purché esercitata in modo indipendente. Indipendenza verso i regolati, ma anche verso il governo: altrimenti l’Autorità sarebbe una direzione ministeriale. Purtroppo, la nostra sembra attuare gli indirizzi del governo, che richiedono leggi e decreti, per quella scorciatoia che è la via amministrativa. Di più: attribuendo carattere retroattivo alla revisione cerca di attrarre altri ingenti contributi nelle proprie casse. L’Autorità viola non solo le norme italiane, ma anche quelle europee».
Un’accusa grave.
«Sarà, ma come non ricordare lo “scontro” in atto da anni tra l’Autorità e il mondo dell’autotrasporto sulla pretesa della medesima ART di estendere la propria competenza a settori e operatori non previsti dalla legge, con relativa richiesta di pagamento di quote che non sono non dovute? Finora gli operatori hanno sempre prevalso in tutte le sedi amministrative. E però non è finita. Vedo connaturata a questa Autorità una preoccupante tendenza alle invasioni di campo, facendo confusione tra la regolazione indipendente (unica funzione che può svolgere per legge) e altre tradizionali funzioni amministrative (ivi incluse la vigilanza e il controllo di competenza di altre amministrazioni)».
Perché l’Art violerebbe le regole Ue?
«Le concessioni sono strutturate su un sistema regolatorio, approvato dalla Commissione Ue, conseguente all’adozione della direttiva Costa/Ciampi, poi rivoluzionato dal decreto Di Pietro del 2006 inizialmente in via unilaterale (che era male anche allora), poi ridiscusso con le concessionarie e infine assistito dall’approvazione europea. L’Autorità pretende di cambiare questo sistema senza nemmeno tentare un dialogo con i concessionari. Dimentica che, per modificare i contratti, è necessario il consenso di entrambe le parti e delle istituzioni che ne avevano approvato i contenuti».
Negli ultimi piani economico finanziari delle concessionarie, che contabilizzano i costi sostenuti e gli investimenti programmati sulle tratte, la remunerazione del capitale investito supera quasi sempre il 10%. Un rendimento sproporzionato dopo anni di tassi zero o negativi, non crede?
«Ma se sono piani scaduti da anni, alcuni da 10 anni, senza che il concedente facesse le sue valutazioni! E poi come si fa a leggere quei vecchi piani in base al costo del capitale di oggi e non di quello dell’epoca in cui quei piani erano stati presentati? Un’ epoca in cui la componente debitoria del costo del capitale investito costava ben più di oggi e, guardi, i tassi zero sono quelli della BCE, non delle banche. E come si fa a dimenticare che è stata l’Autorità, e non l’Aiscat, a fissare nel 5,5% il premio al rischio per il capitale della componente azionaria? E poi è bene sapere che il diritto europeo, sempre prevalente su quello nazionale, stabilisce livelli uniformi nel Mercato unico che non consentono sovra-compensazioni».
Perché Aiscat si è opposta per anni alla pubblicazione dei piani economico-finanziari delle concessionarie? La de-secretazione è avvenuta solo con questo governo e non crede abbia penalizzato l’immagine dei gestori questo continuo ostracismo?
«Punto primo: gli atti convenzionali sottoscritti da ogni concessionaria sono stati pubblicati da lungo tempo, da ben prima di questa legislatura, sul sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; solo i piani economico-finanziari non lo sono stati, perché contengono dati sensibili ai fini della stabilità dei mercati finanziari (molte concessionarie sono quotate) e ai fini della competizione internazionale tra le concessionarie, tenuto conto che in Europa non esiste alcun obbligo a dare questo tipo di disclosure. Punto secondo: qualcuno mi spiega perché una tale disclosure è necessaria per le concessionarie autostradali e non per altre concessionarie che gestiscono altre infrastrutture, per esempio le telecomunicazioni? Punto terzo: perché non si ricorda che, sulla base del diritto amministrativo vigente, chiunque vi abbia interesse concreto può, e ha sempre potuto, avere accesso a questi benedetti piani economici finanziari?»
Non crede che i sistemi tariffari debbano contemplare un meccanismo automatico di riduzione delle tariffe al casello, meccanismo oggi assente, in caso di mancata o ritardata realizzazione degli investimenti promessi dal gestore?
«Non è così. Tutte le convenzioni da tempo si basano su un meccanismo che lega gli adeguamenti tariffari anche alla realizzazione degli investimenti. Se gli investimenti ritardano o non vengono fatti, l’adeguamento diminuisce e può perfino essere azzerato. Sono previste anche sanzioni pecuniarie in certi casi. Non si può proprio parlare di extra-profitti per i concessionari. Del resto, la stessa Commissione Ue, con la decisione dell’aprile 2018, ha riconosciuto come nei casi dei gruppi Aspi e Sias, sottoposti al suo scrutinio dal precedente governo, non si ravvisasse alcun sovra-profitto».
Scrive l’authority che non c’è alcun monitoraggio effettivo sui meccanismi di recupero in caso di ritardata realizzazione degli investimenti: quello che hanno visto gli utenti in questi anni è solo un incremento tariffario automatico al casello ogni primo dell’anno.
«Premesso che le nostre autostrade hanno le tariffe più basse della media europea, contesto questa affermazione. Se l’investimento non viene fatto, non scatta l’aggiornamento tariffario; abbiamo concessionarie rimaste a zero. Se poi si vuol monitorare meglio, avanti con proposte ben fatte da parte dei soggetti deputati. Ma i pedaggi non di rado aumentano per fattori che non dipendono dai concessionari come gli incrementi dell’IVA dal 20 al 22% o il sovra-canone di competenza Anas cresciuto del 140% tra il 2008 e il 2011. Non dimentichiamo che la metà del pedaggio, tra canoni, imposte dirette e indirette va allo Stato. Che, nel decennio 2008-2017, ha incassato 7,24 miliardi, solo di canoni, di cui 6,4 sono stati di competenza Anas. Nel 2017 i ricavi diretti per lo Stato riconducibili alla gestione delle autostrade in concessione sono stati pari a 862,5 milioni».
L’authority dei Trasporti sostiene che i sistemi tariffari attualmente in vigore oltre ad essere di sei regimi diversi (con il caos che ciò comporta) non consentono di distinguere la quota derivante dalla gestione operativa da quella correlata all’attività di costruzione. Di conseguenza non è possibile applicare politiche eque di adeguamento tariffario. Come possono i cittadini-utenti capire se una gestione è efficiente e se il concessionario sta davvero realizzando gli investimenti promessi?
«Va, in primo luogo, precisato che le formule di adeguamento tariffario delle concessionarie autostradali (effettivamente secondo schemi economico-giuridici diversi) sono ampiamente orientate a garantire un’efficienza dei costi di gestione. E non c’è alcun caos. Semplicemente si dividono in due famiglie: quelli per i quali è previsto il riequilibrio dei costi e quelli per i quali il concessionario si assume tutti i rischi. Il resto sono variazioni marginali. È altrettanto vero che, per come sono calcolate le tariffe, le concessionarie sono sostanzialmente obbligate ad essere efficienti nei costi di gestione. Ricordo, tuttavia, che fino a una dozzina di anni fa, abbiamo sempre avuto un’unica formula per il calcolo degli adeguamenti tariffari. L’incremento dei sistemi fu frutto di scelte politiche dell’epoca (con Di Pietro ministro), soprattutto quella di ridiscutere con ogni Società i contratti in essere. Per cui è un po’ difficile imputare a noi la situazione attuale. Che è anzi il frutto di quegli interventi legislativi unilaterali che noi combattiamo. D’altra parte, non ritengo il nostro concedente non si sia in grado di distinguere le diverse tipologie di costo e di spesa. I rapporti annuali del Ministero espongono analisi dettagliate su costi operativi, manutenzioni ordinarie, investimenti, indicatori economico-patrimoniali, ecc. Evidentemente, le concessionarie le informazioni le danno e il ministero le usa allo scopo di verificare le gestioni. Forse è l’informazione che deve lavorarci su a beneficio dei cittadini che peraltro possono costatare ogni giorno lo stato delle infrastrutture e la loro sicurezza: stiamo parlando di un sistema controllato e gestito da 37 sale radio attive h24, 365 giorni l’anno, con dotazioni tecnologiche all’avanguardia (ovviamente sconosciute agli utenti medi, ma che ci servono a garantire determinati standard), oltre 2.000 addetti dedicati esclusivamente alla viabilità e tanto altro; siamo stati l’unico sistema viario ad aver raggiunto (e superato con un anno di anticipo) l’obiettivo europeo di dimezzare il numero dei morti nel periodo 2001-2010. Trend di miglioramento che è ulteriormente proseguito, pur se con tassi diversi, negli anni successivi: nonostante una rete più estesa e un deciso incremento del traffico, rispetto al 2001 oggi abbiamo circa 5.200 incidenti in meno (-46%), -340 morti (-57%) e -8.600 feriti (-45%). Evidentemente qualcosa l’abbiamo fatta».
La Commissione Ue prevede la messa a gara delle tratte, in Italia in pratica non è mai avvenuto se si eccettua forse la primissima fase di privatizzazioni. Anche i costi di subentro di un eventuale nuovo concessionario non sono chiari ed univoci.
«Dice? Buona parte delle concessioni scadute sono già state rimesse a gara con procedure a evidenza pubblica, come l’Autostrada del Brennero, sono rientrate nella disponibilità dello Stato che ha deciso di gestirsele in house. I costi di subentro poi sono regolati dalle convenzioni di concessione. Ogni disciplina ha le sue tecnicalità in materie complesse, ma il costo di subentro si fonda sull’incontestabile diritto del concessionario uscente a vedersi rimborsare gli investimenti non ammortizzati».
La Corte dei Conti si è espressa con una recente delibera contestando il principio della spalmatura delle concessioni in violazione delle regole Ue, non crede che un sistema di messa a gare delle tratte aiuti anche lo sviluppo della rete autostradale cresciuta poco in termini di km negli ultimi anni rispetto agli altri paesi europei?
«Posto che, come accennato, le infrastrutture autostradali, salvi i casi di necessario riequilibrio sulla base delle norme europee, sono sempre messe a gara (ed è interesse del settore che lo siano affinché possa essere sempre attrattivo per gli investitori), trovo sinceramente difficile vedere un collegamento diretto tra messa in gara e sviluppo infrastrutturale. Tra l’altro non è supportato né dalla storia del nostro Paese né dalle esperienze a livello internazionale. Ricordo che nel dopoguerra l’Italia si è dotata del più grande piano di sviluppo autostradale in Europa. E, al tempo stesso, ricordo sempre che siamo stati l’unico Paese al mondo, nel 1975, a emanare una legge ad hoc di blocco della costruzione di nuove autostrade. Non so quanto questo c’entri con la messa a gara delle tratte. Vorrei solo sottolineare come, lasciando fare ai concessionari il proprio mestiere, dal 2005 abbiamo realizzato oltre 450 km di nuove tratte e dal 2000 oltre 500 km di ampliamenti a tre e più corsie, con una crescita del 38%».
Non è chiara nemmeno la disciplina delle responsabilità tra Stato e concessionarie in caso di tragedie come il crollo del viadotto a Genova. Nella convenzione unica e negli atti aggiuntivi non c’è alcun accenno incontrovertibile sui ruoli relativi alla manutenzione straordinaria. I controlli spettano al Ministero ma chi ha la responsabilità se un ponte crolla?
«Non sono uno strutturista, e dunque non ho titoli per entrare nel merito e sui conseguenti riflessi contrattualistici. Mi pare tuttavia che non siano ancora state individuate le reali cause del crollo. L’indagine giudiziaria è in corso. I consulenti tecnici giudiziari lavorano assiduamente. Io sono solo un uomo che partecipa al lutto di tante famiglie e ripone piena fiducia nella magistratura, al di là delle strumentalizzazioni».
Ha detto in audizione alla Camera l’ex capo della Vigilanza del Mit, Mauro Coletta, che il ministero è sostanzialmente ostaggio delle concessionarie che impugnano qualsiasi atto e portano tutto in contenzioso al Tar e al Consiglio di Stato : “Gli adeguamenti tariffari vengono costantemente impugnati. Vi sono anche contenziosi in materia di espropri, di lavoro, di sub-concessione e anche sui ribassi d’asta che noi diamo”: non crede che questo grado di aperta conflittualità tra Stato e privati non sia la manifestazione evidente della necessità di costruire regole diverse, più chiare senza trascinarsi nei tribunali?
«Ci tengo a precisare che il contenzioso di cui si tratta è una fisiologica conseguenza della inefficienza dello Stato nelle sue troppo numerose articolazioni ed esprimo, quindi, totale contrarietà a questa opinione. A riprova di ciò occorre evidenziare come, invece, a livello tecnico, ci sia sempre stato un rapporto di estrema collaborazione e di aperto dialogo con gli uffici del Ministero. I casi di contenziosi sono purtroppo sempre legati a ritardi o tentativi di imporre al concessionario forzature extracontrattuali e per quelli che si sono conclusi in ogni grado di giudizio, nella stragrande maggioranza dei casi, hanno trovato un riscontro positivo nei confronti del settore autostradale da parte delle corti giudiziarie. Ribadisco comunque come sia in capo a ogni società concessionaria il diritto a far valere le proprie ragioni e posizioni dinnanzi a ogni sede giudiziaria. Sul punto si fa presente anche la continua proroga o sospensione, avvenuta negli anni passati (vedi per i motociclisti), di determinati sistemi tariffari, in totale e piena collaborazione con il Ministero concedente, senza che nessuna concessionaria abbia mai agito per le vie legali al fine di tutelare il necessario recupero dei mancati introiti».
Negli ultimi anni gli introiti da pedaggio sono cresciuti anno su anno. La relazione dell’authority registra nel 2017 5,9 miliardi di ricavi, 200 milioni in più rispetto all’anno prima per l’aumento dei transiti e il rincaro delle tariffe. Gli investimenti complessivi però in questi anni sono scesi. Il ministero dei Trasporti nell’ultima relazione del 2017 ha scritto che sono scesi del 20% rispetto all’anno precedente e anche il costo delle manutenzioni è sceso del 7%: un paradosso, non crede?
«Dal 2000 le Concessionarie hanno investito oltre 22 miliardi di Euro. Se prendiamo solo i dati del decennio 2008-2017 la spesa complessiva per investimenti è stata pari a 16,5 Miliardi di Euro, pari al 65% di quelle previste nei piani economico-finanziari. In realtà, va fatta un’opportuna precisazione ed è lo stesso Ministero ad evidenziarla: la differenza tra investimenti effettuati e programmati risulta in larga parte composta dai ritardi registrati nella esecuzione di un limitato numero di opere (es. Asti – Cuneo, Valdastico nord, Tirrenica), riconducibili prevalentemente ad ostacoli o rallentamenti sorti nelle fasi di approvazione ovvero alle difficoltà di reperimento dei fabbisogni finanziari. Escludendo l’effetto di tali ritardi la percentuale di attuazione dei programmi d’investimento risulterebbe prossima all’80%. Se parliamo invece di manutenzione ordinaria, dal 2000 hanno speso circa 11,7 miliardi. Nel periodo 2008-2017 le concessionarie hanno effettuato manutenzioni ordinarie per 6,9 miliardi di Euro, pari al 102% di quelle previste nei PEF. Vuol dire tra i 600-700 milioni l’anno di media, ossia oltre 100.000 euro/km per anno. Non so quanti esempi analoghi ci siano in questo Paese».
Fabio Savelli, Corriere.it