Huawei può usare di nuovo le schede SD nei suoi smartphone

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Nei dieci giorni seguiti alla decisione di Trump di inserire Huawei nella lista nera delle aziende che non possono fare affari con gli Stati Uniti senza una specifica licenza, il colosso cinese ha dovuto fare i conti con una lunga serie di sospensioni dei suoi rapporti commerciali. Dopo Google e Microsoft, anche altre aziende internazionali che non hanno sede negli Stati Uniti, come ARM e Vodafone, hanno preso le distanze dal gruppo di Shenzhen. Sul finire della settimana scorsa sulla testa di Huawei è caduta un’altra tegola ancora, con l’esclusione dalle liste delle aziende partner dei più importanti enti che regolano gli standard delle tecnologie più comuni adoperate dai produttori di smartphone, quali SD Association, Wi-Fi Alliance e Jedec.

Una decisione grave, che avrebbe messo Huawei in una posizione ancora più difficile rispetto a quella in cui già si trova. A Shenzhen si può però tirare un (breve) sospiro di sollievo, il primo dal 20 maggio a oggi: con una decisione di cui non si conoscono ancora le motivazioni, tutti i consorzi che si occupano degli standard tecnologici hanno riammesso Huawei Technologies Inc. tra i propri ranghi.

La rescissione dei rapporti con SD Association, ad esempio, avrebbe implicato l’impossibilità del supporto alle SD card – le schedine di memoria più diffuse – sugli smartphone di prossima generazione. Nel caso della Wi-Fi alliance l’esclusione avrebbe invece impedito a Huawei di partecipare alla discussione e alle decisioni sul futuro della tecnologia di trasmissione, ma non di utilizzarla sui suoi dispositivi.

Più difficile da interpretare invece il caso dell’esclusione – pure rientrata – dallo Jedec, consorzio che regola gli standard sui semiconduttori a cui Huawei aveva invece chiesto di essere sospesa su base volontaria, finché non si fosse fatta chiarezza sulle decisioni dell’Amministrazione Trump.

Nonostante l’inversione di rotta di Wi-Fi Alliance, SD Association e Jedec la situazione di Huawei al momento rimane complicata. All’azienda è stata concessa una licenza straordinaria fino al 19 agosto, principalmente per permettere alle aziende americane che dipendono dalle sue forniture nel settore telco di prendere delle contromisure adeguate a un embargo definitivo. Se però nei prossimi 90 giorni l’iscrizione dell’azienda nella cosiddetta Entity List dovesse essere confermata, a Huawei non rimarrà altra scelta rispetto all’autarchia tecnologica. In previsione di queste difficoltà, sostengono fonti del Nikkei, il gruppo di Shenzhen ha accumulato componenti e forniture necessarie a sostenere circa 12 mesi di produzione.

Huawei lavora inoltre da mesi a un’alternativa ad Android, il sistema operativo di Google. Il firmware sviluppato internamente dall’azienda cinese potrebbe chiamarsi Hongmeng in Cina e “Ark” oppure “Ark OS” nel resto del mondo. Un eventuale passaggio a un sistema differente non sarà semplice, però, anche se Huawei garantisce che Hongmeng sarà totalmente compatibile con le app Android (a suggerire che probabilmente si basa sulla versione Open Source del software di Google).

Nei giorni scorsi alcuni report poi smentiti parlavano di un lancio previsto già per il mese di giugno. Più probabile invece che una prima versione del sistema operativo possa debuttare a fine anno in Cina, e poi in Europa e nel resto del mondo nel corso della prima metà del 2020.

Andrea Nepori, La Stampa