Si convertì e volle farsi battezzare ma non è vero che fu per la malattia
Desiderava una stabilità interiore che non riusciva a raggiungere da solo. Un incontro con Pio XII lo folgorò Modesto e timido, diventò attore per la pagnotta, dopo aver fallito come disegnatore e caricaturista politico
(di Cesare Lanza per LaVerità) Se c’è stato un attore capace di rappresentare le virtù dell’eroe americano per antonomasia, quello è stato Frank James Cooper, in arte Gary Cooper. Lealtà, coraggio, fermezza, coerenza: Cooper impersonava con strabiliante naturalezza le qualità del pioniere, dell’uomo della frontiera americana che non si piega a compromessi e compie il suo dovere fino in fondo. Dotato di una grande presenza scenica Gary Cooper (cosa piuttosto insolita nel mondo del cinema) era molto stimato dai colleghi. Nella mia rassegna delle star di Hollywood, e non solo, la priorità – maliziosa, ma realistica è per i retroscena: vizi impensabili, difetti nella vita privata, peccati segreti. Niente di tutto questo per Gary, che aveva un’immagine pubblica ineccepibile e nulla da nascondere nella vita privata. Comincio dal gossip sugli amori. Era desideratissiino, adorato dalle donne. In gioventù ebbe relazioni sentimentali con numerose attrici: Clara Bow, Lupe Vélez e Dorothy Caldwell Taylor, ex moglie dell’aviatore inglese Claude Grahame-White, nota anche come contessa Dentice di Frasso (titolo acquistato dalla famiglia italiana). Nel 1933 sposò Veronica Balfe, un’esponente dell’alta società newyorkese, che aveva lavorato brevemente come attrice sotto il nome di Sandra Shaw e che era nipote dello scenografo Cedric Gibbons. Ebbero una figlia, Maria, nata nel 1937. Durante il matrimonio, che durò fino alla morte di lui, a Cooper vennero attribuiti flirt con diverse coprotagoniste dei suoi film. Nel 1949 la carriera di Cooper subisce una battuta d’arresto a causa di una storia extraconiugale. King Vidor sta girando La fonte meravigliosa che ha per protagonista maschile Cooper e per protagonista femminile la bella Patricia Neal. I due si innamorano sul set e iniziano una storia che ben presto trapela negli ambienti di Hollywood. Cooperha 48 anni, travolto dalla passione per la ventitreenne attrice chiede il divorzio alla moglie. Ma Veronica Balfe si oppone con ogni mezzo, minacciando anche di distruggere la sua carriera e così Cooper lascia nel 1951 Patricia e resta sposato con la Balfe per tutta la vita, fino alla morte.
Poi, c’è la vicenda religiosa… la conversione al cattolicesimo. Gary Cooper si convertì ufficialmente nel 1958, ricevendo il sacramento del battesimo: aveva iniziato un percorso di avvicinamento alla fede dal 1950. Al contrario di quanto viene di solito riportata, la sua conversione non fu sollecitata dall’incombere della malattia sulla sua vita. Ancora si ricorda la gaffe con papa Pacelli. Il 26 giugno 1953, nel corso del tour promozionale per Mezzogiorno di fuoco, Gary Cooper, insieme alla famiglia, incontra il pontefice, Pio XII. «All’udienza mio padre», racconta la figlia Maria Janis, «teneva in mano santini, medagliette e una gran quantità di rosari appoggiati sulla manica della giacca (molti dei suoi amici a Hollywood avevano chiesto un oggetto benedetto dal Papa). Mia madre era molto elegante nel suo completo nero, e il capo velato, come vuole l’etichetta. C’era molta tensione nell’aria quando, preceduto dalle guardie svizzere, entrò il Papa, alto, pallido, vestito di bianco. Eravamo all’incirca a metà della fila. Papà inginocchiandosi perse l’equilibrio – colpa dell’emozione, del suo cronico mal di schiena o di entrambe le cose – e fece cadere i santini e i rosari a terra; le medagliette rotolarono per tutta la stanza. In preda a un monumentale imbarazzo, muovendosi carponi, papà cercò di raccogliere ogni cosa il più in fretta possibile, ma improvvisamente incappò in una scarpa scarlatta e nel lembo di un mantello. Papa Pio XII lo stava guardando, aspettando pazientemente che si rialzasse». L’incontro colpì profondamente Cooper, e non solo per l’imprevisto sketch comico. Spiegò Maria che suo padre «desiderava una stabilità interiore che non riusciva a raggiungere da solo». Era un uomo modesto, Gary Cooper.
Ecco cosa diceva di sé: «Mi studiai con attenzione. Non mi piacque quello che vidi. Gary Cooper. Un average Charlie che era diventato un divo del cinema – con riluttanza e con suo grande stupore». «Le esperienze vanno valutate in base ai risultati. Siccome tornai sul set dopo aver fallito, mi aiutò a superare i problemi una naturale reticenza – la timidezza». «Ho sviluppato uno stile, qualunque esso sia, solo perché recitare mi imbarazzava. Per me era doloroso fare un gesto più ampio del minimo indispensabile. Ma un attore deve enfatizzare i propri movimenti se vuole “farli arrivare” al pubblico. Ero così timido che persino alzare un braccio per indicare qualcosa richiedeva tutto il mio coraggio». «Sono diventato attore solo per sbarcare il lunario, dopo aver fallito come disegnatore e caricaturista politico. Era questa infatti la mia vera e unica vocazione giovanile». «Come attore, sono esclusivamente un prodotto di Hollywood. Alle spalle non ho nessuna formazione né nessun altro metodo tradizionale per affermarmi in quella che chiamano arte drammatica». «Sono diventato attore per caso, e ho continuato a esserlo solo grazie alla pazienza della gente che sborsava dei bei soldi al botteghino. Sono letteralmente “caduto” nella recitazione, cadendo da cavallo come stuntman. Volevo guadagnare dei soldi e studiare arte. Non avevo mai provato il benché minimo interesse per la recitazione. E sebbene quell’interesse si sia poi sviluppato, non sono mai diventato un grande attore». «Ero scontento di come andavano le cose allo studio. La mia vita privata era in crisi […]. Non mi ritroverò ma più in un simile stato mentale. La vita non può più farmi niente del genere. Ho imparato la lezione… Prima di tutto non permetterò più a nessuno di dominarmi […]. Non ti accorgi del potere che dai agli altri finché non ti ritrovi impigliato e intrappolato e impotente. Devi scrollarti tutto di dosso, per tornare libero e ripartire da zero. Non è facile. Ma oggi sono di nuovo mio». Umile, timido, cauto. Nel 1938 però si sbagliò sulla scelta di Clark Gable per il ruolo di protagonista, che lui aveva rifiutato: «Via col vento sarà il fiasco più clamoroso della storia di Hollywood… Sono contento che sarà Clark Gable a perdere la faccia e non io». E cosa hanno detto di lui? Maria Janis, la figlia: «Mio padre era un uomo molto simile a quello che abbiamo sempre visto sullo schermo, un uomo dall’anima semplice, con una personalità complessa, pluridimensionale sia come attore sia nella vita privata. Pochi hanno visto quanto l’eleganza fosse in lui innata anche nella vita quotidiana». «A volte la sua faccia magra e fotogenica sembra lasciare tutto all’obiettivo, ma non ci sono dubbi, qui non c’è recitazione» (Graham Greene). «Era una grande star dello schermo, nessuno può negarlo. Ma durante le riprese ho scoperto che era anche un attore. In effetti è l’attore che. nel suo caso, ha creato la star. Il modo di parlare lento, esitante, congli occhi bassi, l’andatura apparentemente goffa, sono tutti atteggiamenti inventati dall’attore, per affrontare la cinepresa con quell’apparenza di realismo che questo mezzo esige. Nella vita era completamente diverso» (Otto Preminger). «Quel ragazzo è il più grande attore del mondo. Riesce a fare, senza sforzo, quello che la maggior parte di noi ha mipiegato anni a cercare di imparare: essere perfettamente naturale» (John Barrymore). Infine, Orson Welles: «Esistono attori cinematografici. Cooper era un attore cinematografico, il caso classico. Lo vedevi lavorare sui set e pensavi: “Dio mio, questa dovranno rigiraria!”. Praticamente, sembrava che non ci fosse. E poi vedevi i giornalieri, e riempiva lo schermo. Personalità! Non presumo di risolvere questo mistero. Ma conta sempre più della tecnica».
Gary Cooper (Helena, 7 maggio 1901 – Beverly Hills, 13 maggio 1961) era figlio di immigrati inglesi: suo padre, giudice, possedeva un ranch nel Montana dove il futuro divo hollywoodiano aveva visto la luce. A 13 anni Cooper rimane ferito alla schiena in un incidente automobilistico e come riabilitazione un medico gli prescrive di fare lunghe cavalcate. In questo modo divenne un ottimo cavallerizzo, qualità che gli spianerà la strada nel cinema western. Anche se inizialmente il giovane Frank al cinema non ci pensava proprio, il suo desiderio era quello di diventare un disegnatore o in alternativa un giornalista. La svolta avviene quando la famiglia si trasferisce nel 1924 da Helena a Los Angeles. Un giorno, passeggiando per Hollywood Boulevard, fa amicizia con due giovani attori che sbarcano il lunario facendo le comparse in scadenti film western a 10 dollari al giorno. I due lo trascinano nel loro mondo e dal 1925, grazie alle sue qualità di cavaliere, Cooper ottiene piccole parti in numerosi film western. Dovranno passare due anni prima di ottenere il primo significativo ruolo, anche se non da protagonista. La parte gliela procura la sua amante del tempo, l’attrice Clara Bow. La sua capacità di immedesimarsi completamente nel personaggio colpisce i dirigenti della Paramount, che lo mettono sotto contratto. L’attore accettò e cambiò il proprio nome Frank James in Gary, dal nome della città omonima nello Stato dell’Indiana. Nel 1929 interpreta quello che lui ritiene il suo miglior western, L’uomo della Virginia (paradossalmente Cooper considererà sempre un po’ sopravvalutato Mezzogiorno di fuoco). La sua carriera fa un ulteriore balzo in avanti grazie al sodalizio con il regista Frank Capra, per il quale gira È arrivata la felicità e Arriva John Doe (1941). Cooper incarna i personaggi a lui più familiari, uomini integerrimi coinvolti in losche macchinazioni. Sempre nel 1941 vince il suo primo Oscar con il Sergente York. Nel 1952, sarà proprio Mezzogiorno di fuoco per la regia di Fred Zinnemann a rilanciarlo grazie a una memorabile interpretazione che gli farà vincere la sua seconda statuetta come miglior attore protagonista. Nel 1955 è il grande interprete di Corte marziale di Otto Preminger, seguito da La legge del Signore (1956) di William Wyler e da Arianna (1957) di Billy Wilder. Poi, Gary Cooper è protagonista di altri due grandi western: Dove la terra scotta (1958) di Anthony Mann e L’albero degli impiccati (1959) di Delmer Daves. L’attore si ammala gravemente. probabilmente per un cancro alla prostata (anche se in seguito fonti mai confermate hanno parlato di morte per Sla) e muore il 13 maggio 1961. Nell’aprile del 1961, l’Academy award aveva deciso di premiarlo con un Oscar alla carriera: James Stewart si presentò sul palco per ritirare la statuetta e rivelò che l’amico era gravemente malato. La sua popolarità è rimasta immensa, a lungo, in tutto il mondo.