Cina positiva. Il mistero del pil Usa al 3,2%

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L’Asia apre bene la settimana, anche se con una certa volatilità. Da oggi e per 10 giorni il Nikkei giapponese è chiuso per celebrare l’incoronazione del principe ereditario, Naruhito, che diventerà imperatore il 1° maggio. Alle ore 7:30 italiane l’Hang Seng è positivo per lo 0,72%, mentre Shanghai scambia sopra la parità (+0,13%) dopo una sessione contrastata.

L’oro scende dello 0,14% a 1.287 dollari per oncia e il petrolio Wti americano cede lo 0,55% a 62,96 dollari il barile. L’euro sale appena dello 0,08% sul dollaro a 1,1158, lo yen è stabile a 111,62, la sterlina guadagna lo 0,15% a 1,2935. Il T bond decennale Usa è sceso al 2,5%, mentre i futures su Wall Street sono piatti.

Venerdì i dati hanno mostrato che l’economia degli Stati Uniti è cresciuta del 3,2% nel primo trimestre, superiore alle aspettative degli economisti per un +2%. Questo rialzo è dovuto in parte allo stoccaggio di merci, anche se non è stato subito chiaro in che modo, dal momento che i dati hanno messo in evidenza che sia la produzione interna sia le importazioni sono diminuite nei primi tre mesi dell’anno.

Secondo il governo, a marzo sono stati aggiunti 32 miliardi di dollari di merci alla voce scorte, pari a 128 miliardi di dollari annualizzati. Questa accumulazione di beni ha aumentato la crescita del Pil del primo trimestre di circa 70 punti base, riporta Marketwatch (gruppo Wsj) e ha contribuito a spingere la crescita a un tasso annuo del 3,2%, ben al di sopra delle previsioni. Il problema, e di questo gli economisti hanno dibattuto nel weekend, è che non è affatto chiaro da dove siano piovute le scorte. Le merci devono provenire da qualche parte: o sono prodotte dal Paese o sono importate dall’estero.

Il mistero è che sia la produzione sia le importazioni sono diminuite nei primi tre mesi dell’anno, secondo i dati del governo. Larry Kudlow, consulente economico della Casa Bianca, ha tentato di chiarire il mistero parlando di un generico accumulo di ordinativi di auto che nei prossimi mesi verranno smaltite. Gli economisti restano con i loro dubbi, data l’entità della cifra (32 miliardi di dollari).

Sul fronte guerra dei dazi, il rappresentante degli Stati Uniti, Robert Lighthizer, e il segretario al Tesoro, Steven Mnuchin, guideranno una delegazione in Cina per riprendere i negoziati commerciali. Questi saranno seguiti da colloqui a Washington a partire dall’8 maggio. Secondo alcuni rapporti, i negoziati sono nella loro fase finale e un accordo potrebbe essere firmato a fine maggio o inizio giugno, ponendo fine alla guerra tariffaria durata un anno tra le due potenze economiche.

E questa è la versione americana. La versione cinese, scrive oggi il South China Morning Post, è che le delegazioni sono “lost in translation”, si sono bloccate sulla scelta dei vocaboli corretti ai fini di un importante accordo commerciale. Al centro restano sempre la questione tecnologica e quella della proprietà intellettuale.

Domani si riunisce il consiglio della Fed per rilasciare mercoledì una dichiarazione sulle prospettive dei tassi d’interesse. “Gli investitori staranno nervosamente a guardare qualunque cambiamento nella prospettiva accomodante della Banca centrale”, ha detto Jeffrey Halley di Oanda. “La mia ipotesi è che questo nervosismo sia fuori luogo, la Fed starà in guardia e si terrà per sé l’opzione di tagliare se necessario”. Gli investitori hanno gli occhi puntati sulla produzione cinese questa settimana, oltre che sui dati di Apple, Alphabet, GE, Pfizer e Hsbc.

Elena Dal Maso, Milano Finanza