Un arrotondamento della partecipazione in portafoglio, 200 mila azioni al prezzo medio di 8,9236 euro, che portano Ennio Doris dal 3,28% al 3,3% del pacchetto detenuto in Mediobanca. L’operazione, costata 1,780 milioni di euro, è stata effettuata nei giorni scorsi da Maurizio Carfagna, consigliere di amministrazione di Mediobanca dal 28 ottobre 2014.
Carfagna ha effettutato gli acquisti per conto di Finprog Italia Spa, la società di Doris che controlla H-Invest, di cui Carfagna è amministratore delegato e che rappresenta la holding del fondatore di Banca Medionalum. Gli azionisti oggi di riferimento di Piazzetta Cuccia sono Unicredit con l’8,40%, il gruppo Bolloré con il 7,86%, Blackrock con il 4,98%, il gruppo Mediolanum con ora il 3,3% e Invesco Ltd con il 3,01%.
Milanese, classe 1947, Carfagna è un ingegnere che ha iniziato la carriera nel settore bancario (Chase Manhattan Bank, Midland Bank, Banca Internazionale Lombarda) dove in venticinque anni ha maturato esperienze in tutti i settori, sia in Italia che all’estero (New York e Madrid). Ha poi ricoperto la carica di vice presidente di Hsbc Italia Sgr Spa e dal 2002 al 2006 di vice presidente di Ubs Italia. Carfagna è stato membro del board di Mediolanum dal 2007 al 2014 e di Banca Mediolanum dal 2009 al 2014.
Il 14 febbraio scorso i soci di riferimento di Piazzetta Cuccia hanno siglato un nuovo patto di sindacato in forma light, un accordo di consultazione attraverso il quale i partecipanti confermano l’interesse alla crescita del gruppo, “assicurandone unità di indirizzo gestionale nel rispetto della tradizione di autonomia e indipendenza”. L’accordo, che non prevede impegni né di blocco né di voto sulle azioni apportate, regola le modalità di incontro per condividere riflessioni e considerazioni sull’andamento del gruppo, in un contesto di parità informativa rispetto al mercato. I sottoscrittori riconoscono che la presentazione della lista per il rinnovo degli amministratori da parte del consiglio uscente (facoltà già prevista dallo Statuto) costituisce la via preferibile.
A fine feabbraio Bofa ha cercato di definire il valore del tesoro nascosto nei forzieri di Piazzetta Cuccia. Gli analisti americani hanno considerato come obiettivo (conservativo) una solidità patrimoniale Cet1 Fully Loaded al 12% (il dato non include il beneficio del Danish Compromise), hanno aggiunto una crescita del capitale per via interna e considerato le modifiche normative previste a livello europeo. Alla fine i broker sono giunti alla conclusione che Mediobanca ha una cassa “da guerra” 1,1 miliardi di euro, pari a circa il 15% della capitalizzazione di mercato. Il che equivale a 7,7 volte il rapporto prezzo/utile atteso per il biennio 2919/2020, a sconto del 18% rispetto alle banche europee per un titolo che, secondo BofA, è molto poco a rischio sul fronte di una possibile diluizione.
E poiché Mediobanca detiene il 13,465% di Generali , questo corrisponde ad altri 3,45 miliardi di euro ai prezzi attuali di liquidità da aggiungere a 1,1 miliardi in cassa. Se sommate, le due voci portano a 4,55 miliardi di euro (da 4 miliardi di fine febbraio), un vero tesoro da poter usare per operazioni di M&A. La partecipazione nel Leone di Trieste è ad oggi protetta dal Danish Compromise, un principio contabile approvato dall’Ue nel 2012 (quando la Danimarca era presidente di turno), che allevia l’assorbimento di patrimonio per le banche che detengono assicurazioni, evitando doppi conteggi. Il principio protegge i conti di Mediobanca fino al 2024 e quindi l’ad Alberto Nagel non è costretto a vendere il titolo Generali per ora.
Elena Dal Maso, Milano Finanza