Politiche attive addio. E pensare che sembravano l’unico obiettivo in grado di mettere d’accordo i diversi partiti del lavoro. L’assegno di ricollocazione è la “dote” da spendere in formazione e orientamento, presso il collocamento pubblico o le agenzie private, per trovare un nuovo lavoro. È lo strumento principe delle cosiddette politiche attive. Il concetto è: invece di pagarti per non fare niente come succede con la cassa integrazione ti aiuto a trovare un altro posto. Su questa idea convergevano sia la destra sacconiana che la sinistra renziana. Adesso il governo giallo-verde toglie l’assegno di ricollocazione a chi perde il posto di lavoro e lo assegna soltanto ai poveri disoccupati. Se perdi il posto ma non hai un isee sotto i 9360 non ti aiuto a ricollocarti. E’ vero che lo strumento non era mai decollato. Ma così viene eliminato ancora prima di partire a regime. In qualche modo si riconosce però la sua ratio visto che ai poveri viene dato.
Al momento sono alcune migliaia (meno di 10 mila) gli assegni di ricollocazione in essere. La loro erogazione dovrebbe essere sospesa. A meno di cambiamenti in fase di conversione del decreto. L’assegno di ricollocazione spettava a chi aveva avuto la Naspi (la disoccupazione) da almeno 4 mesi. Ma anche ai lavoratori in cassaintegrazione nelle aziende in cui era stato fatto un accordo sindacale per anticipare l’erogazione dell’assegno. Tra queste anche il Pd. Che un’azienda non è, ma i dipendenti in cassa integrazione ce li ha comunque. Oltre un centinaio aveva intenzione di sfruttare l’assegno per ricollocarsi. D’ora in poi non sarà più possibile.
Non è escluso che a far decidere il governo per l’eliminazione dell’assegno di ricollocazione sia stata una valutazione legata alle coperture. Anche se va registrata in questo primo semestre di governo giallo-verde una maggiore propensione alle politiche passive del lavoro. A partire dalla reintroduzione della cassa integrazione per cessazione dell’attività d’impresa. Ora a supportare i disoccupati nella ricerca di un nuovo posto di lavoro resteranno solo le misure regionali attivate in alcuni territori. In primis la Lombardia con la «Dote lavoro». E da poco anche il Veneto.
Rita Querzé, Corriere della Sera