Cesare Battisti, un’indagine vecchio stile: dalle locande fino ai tabulati telefonici

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Battisti “rassegnato, triste ma tranquillo”. Battisti “accasciato sulla sedia” in una stazione della polizia boliviana, dove era entrato per quello che credeva essere “un semplice controllo”; e invece eccoli lì, i poliziotti italiani che lo braccavano, che lo avevano ormai stanato. A raccontare quel che si può dire della cattura, cioè “tutto meno i dettagli sulla rete di protezione, su cui ci sono indagini in corso”, sono due dei cinque uomini – tra polizia e servizi – che lo hanno pedinato e acciuffato, con la collaborazione “davvero eccezionale” della polizia boliviana.

Una spianata di telecamere, microfoni e taccuini nella sede del polo nazionale anticrimine della polizia, a Roma. Sotto le bandiere ci sono il vicequestore Giuseppe Codispoti, dell’antiterrorismo interno; e il primo dirigente Emilio Russo, in forza all’Interpol: “Lo ha tradito la sua passione per le camminate”, raccontano. “E i tabulati delle chiamate telefoniche. Quando siamo riusciti a individuare la direttrice per la quale poteva essere passato, abbiamo inziato una attività tradizionale. Acquisendo i tabulati avevamo capito le sue abitudini, come quella di ordinare una pizza. Avevamo individuato due quaurtieri nel terzo anello di Santa Cruz, una città di tre milioni di abitanti, in cui ritenevamo si trovasse. Con una serie di monitoraggi nel territorio, filmando diverse persone, alla fine lo abbiamo trovato”.

Per gli uomini che l’hanno catturato, tutto è inziato “con una telefonata a mia moglie: devo partire”, le ha detto Codispoti: “Era la mia prima missione all’estero: vado in Brasile, le ho detto, ci resterò per un po’”. Era il 13 dicembre. Invece è andata meglio del previsto. “Siamo arrivati in Brasile a dicembre – racconta Russo – poi siamo andati in Bolivia a inizio gennaio. Ma alla fine abbiamo anticipato il rientro, avevamo previsto un periodo più lungo”. “Siamo partiti – raccontanto – quando Battisti si è reso irreperibile in Brasile. Siamo restati lì alcuni giorni, poi siamo tornati Italia per fare il punto. Abbiamo valutato tutti gli elementi che avevamo, e alla fine abbiamo stretto il cerchio sulla Bolivia, il paese in cui era stato nella sua prima fuga”, quando Bolsonaro annunciò che lo avrebbe estradato. Probabilmente, pensavano gli investigatori italiani, aveva preparato lì la sua fuga definitiva. “In particolare abbiamo puntato su La Cruz: non ci sono molte alternative, in Bolivia. C’è una strada nella foresta e punta dritto lì, in quella città enorme”.

Ma sono ripartiti da zero. Dove poteva nascondersi, il fuggiasco? “Abbiamo inziato una serie di attività di indagine molto tradizionali, partendo dai luoghi che pensavamo potesse aver frequentato. Locande, bettole…”. La svolta arriva quando un locandiere lo riconosce: “Sì, ha domito qui”, racconta agli agenti boliviani. “Il locandiere si ricordava anche che l’uomo che sarebbe poi stato idenficato come Battisti aveva l’abitudine di ordinare al telefono una pizza da asporto. Questo lo ha tradito. Dai tabulati del pizzaiolo abbiamo identificato alcune utenze compatibili, e una in particolare”.

Il contatto di quel cellulare, però, taceva da giorni. “E’ normale, i latitanti usano molti stratagemmi per cercare di rendersi irreperibili, tra cui quello di utilizzare molti telefonini e schede diverse”. Quando finalmente il contatto riappare, “era ancora nella stessa zona, a La Cruz”. Due quartieri nel terzo anello della città, “una zona indecifrabile tra ville con le cortine elettriche e le porsche in garage e case e auto di straordinaria povertà”.

E’ un’indagine vecchio stile, ma da svolgere con tutte le attenzioni possibili. Erano sicuri di esserre sulle sue tracce, ma non si dovevano fare passi falsi. “Abbiamo inziato una serie di appostamenti tradizionali, ma noi siamo sempre rimasti in disparte. Non volevamo che si allarmasse vedendo volti europei con la polizia locale, e non volevamo che si spargesse la voce che c’erano in giro poliziotti italiani”. La polizia boliviana che collabora e conduce direttamente l’attività sul territorio identifica diversi sospetti, e li sottopone alla verifica degli italiani. “No, non è lui”, dicono più volte gli agenti. L’epilogo, però, è vicino. Alla fine, ecco un messaggino sul telefonino. “Che dite, è lui?”, ci domandano i boliviani. Abbiamo raffrontato i tratti somatici con quelli che avevamo, e anche se aveva la barba lo abbiamo riconosciuto. La linea del naso, inconfondibile. E’ lui, fermatelo, abbiamo risposto”.

Una soddisfazione che non dimenticheranno. “Ho chiamato il vice capo della polizia. Capo, lo abbiamo preso. Bravo, mi ha risposto”. Il resto è il volo in Italia. “Ha parlato poco, di cose normalissime. Il calcio, per esempio: il Maracanà in cui ci ha detto di non essere mai stato”. Pentito, Battisti? “Triste, rassegnato. Pentito no. Aveva ormai capito il suo destino. In aereo lo abbiamo tranquillizzato chiacchierando appena, poi si è addormentato”. Ora è il tempo dei brindisi e delle televisioni; ma l’indagine è tutt’altro che conclusa. Dove dormiva? Chi lo ospitava? Chi lo aiutava?

Paolo G.Brera, Repubblica.it