Un attacco informatico dimostrativo da parte degli attivisti che si riconoscono nel collettivo di hacker più famoso: “Siamo lavoratori come voi”
Contro la piaga delle morti sul lavoro e lo sfruttamento dei lavoratori Anonymous stavolta se la prende con i centri per l’impiego, le agenzie interinali e quelle regionali del lavoro, avvocati, periti, e associazioni industriali. Gli hacktivisti di Anonymous che per tutto il 2018 hanno messo a nudo nomi e organizzazioni scolastiche, sanitarie e militari, per denunciare la mancanza di privacy e sicurezza dei dati, hanno pubblicato in rete gli archivi del Collegio periti industriali di Rieti, della Federazione nazionale commercianti cementi, laterizi e materiali da costruzione, delle Camere di commercio di Vicenza e Bari, e dell’Unione avvocati d’Italia, in segno di protesta contro le morti sul lavoro. Con l’ormai solito corredo di nomi, cognomi, email, password e numeri di telefono. Alcuni dei siti compromessi sono stati anche ‘defacciati’, e sulla loro homepage campeggia una versione del Quarto Stato di Pellizza da Volpedo rimaneggiata per l’occasione con la maschera di Anonymous, strumenti da lavoro, kit di pronto soccorso e una serie di banconote sparse per terra sulle sagome dei lavoratori morti. Non è la prima volta che gli hacker attaccano il mondo del lavoro e del sindacato: l’ultimo raid era avvenuto nell’ottobre scorso ai danni delle Camere del lavoro, del sindacato, e di alcune organizzazioni datoriali. Nel comunicato a corredo delle incursioni gli Anons si rivolgono direttamente ai lavoratori italiani, “da lavoratori a lavoratori che portano il pane in tavola”, per lamentare il fatto che solo nei primi giorni di gennaio “sono già 9 i morti per infortuni sui luoghi di lavoro”. E ricordano che nel 2018 c’è stato un impressionante aumento di “morti bianche” rispetto all’anno precedente, nonostante il fatto che “spariscono dalle statistiche, non essendo assicurati all’Inail, le forze armate, i vigili del fuoco, innumerevoli partite Iva, lavoratori in nero, tantissimi agricoltori schiacciati dai trattori e tanti altri che fanno sembrare questo fenomeno molto più lieve”. Aggiungono poi che a morire per infortuni sono quasi tutti lavoratori precari o in appalto e che a perdere la vita sono moltissimi giovani in età compresa tra i 20 e 30 anni, ma soprattutto in tarda età, il 27% di tutti i morti sui luoghi di lavoro hanno dai 61 anni in su. Non ci sono solo le morti a indignare i “vendicatori mascherati”, quanto l’assenza di diritti, a cominciare dal diritto a una giusta retribuzione. Per questo, a ulteriore spiegazione del loro punto di vista, Anonymous Italia, LulzSecIta e AntiSecIta, citano anche l’articolo 36 della Costituzione che dice: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”. Sul loro blog, a ulteriormente chiarimento della loro azione, dicono: “Non crediamo che sia tanto pretendere sicurezza nella vita. La sicurezza di arrivare a fine mese, la sicurezza di riuscire a creare una famiglia, la sicurezza di andare a lavoro e di tornare a casa, e perché no, la sicurezza che i nostri dati privati non vengano svenduti o addirittura venduti ad altri.” Insomma per gli attivisti, che appaiono sempre più politicamente orientati: “Non basta lavorare per sopravvivere, moriamo per far sì che i padroni (ai quali della nostra salute ben poco importa) ingrassino”. Per questo danno una stoccata finale alla politica nel comunicato: “Non abbiamo mai visto morti sul lavoro in Parlamento, non c’è pericolo nel fare il politico. Millantano di aiutare il popolo con le solite bugie, vivendo nel loro mondo fatto di bambagia.”
Arturo Di Corinto, La Repubblica