C’erano una volta / Massimo Troisi

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La sua contronapoletanità lo ha reso il re di Napoli

È stato in grado di incarnare l’essenza della città senza stereotipi. Riservatissimo sulla vita privata, tifava per la Roma in modo clandestino per emare polemiche

(di Cesare Lanza per LaVerità) Forse il ricordo più realistico di Massimo Troisi è quello del regista Michael Radford, relativo al set del Postino: «Massimo entrò in scena e cominciò a improvvisare. Non la smetteva più. “Ma insomma”, gli dissi, “abbiamo scritto una bella sceneggiatura, perché non la rispetti?”. E allora, religiosamente, recitò con le battute che avevamo preparato. Ma proprio non riusciva a resistere e ogni tanto, sommessatmente, mi chiedeva: “Michael, qui posso fare una piccola improvvisazione?”. Lavorare con lui era una ricchezza perche era un comico,non un attore al cento per cento, ma i comici spesso riescono a essere dei grandi attori perché conoscono i tempi. E già al primo ciak lui aveva capito tutto e tutto era perfetto, non ho mai avuto bisogno di ripetere le scene troppe volte. Aveva capito subito quel che volevo, la sua era una recitazione sottile». Carlo Verdone dice:«Mi capita spesso di pensare a Massimo e di rifletterci intensamente: una personalità complessa, profonda e non facilmente accessibile come la sua non è più apparsa nel cinema italiano. Massimo aveva un talento puro, fuori dal comune». E Roberto Benigni: «Con lui ho capito tutta la bellezza di Napoli, la gente, il suo destino, e non m’ha mai parlato della pizza e non m’ha mai suonato il mandolino. O Massimino, io ti tengo in serbo fra ciò che il mondo dona di più caro, ha fatto più miracoli il tuo verbo di quello dell’amato San Gennaro». Ettore Scola: «Mi piaceva il sue essere così poco napoletano. Io avevo una mamma napoletana. La retorica, l’esagerazione, la sincerità, l’ostentata familiarità erano tutte cose che non mi piacevano e non piacevano neanche a Massimo. Era un intellettuale della contronapoletanità». Marcello Mastroianni: «Lui è intelligente, è bravo. Non assomiglia a nessun altro, è interessante quel suo modo di recitare fatto tutto di invenzioni, rotture, recitazione sincopata, sembra che non finisca mai i discorsi, che non abbiano un senso, invece ce l’hanno moltissimo. Mi piace pur essendo molto diverso da me. Io appartengo a una scuola più nella tradizione italiana, lui invece è estroverso, non segue regole accademiche, diciamo, nel suo stile. Abbiamo in comune una certa pigrizia, come individui, come uomini». Renzo Arbore: «Massimo era pigro come può esserlo un napoletano. Ma non era solo la pigrizia che lo spingeva a rimanere in casa, a non cercare visibilità. Aveva discrezione, buone maniere. Massimo era un signore. La sua era una qualità di umorismo moderna, riservata, mai aggressiva; molto diversa rispetto all’umorismo napoletano dell’epoca».

Un capitolo a parte riguarda l’amicizia con Pino Daniele. Alfredo Cozzolino, amico del cuore di Massimo, racconta: «Pino era ammirato dall’arte di Massimo, Massimo era ammirato dall’arte di Pino. Quando Pino suonava, Massimo lo ascoltava incantato. Quando Massimo faceva battute, Pino lo ascoltava incantato. Non potrei sintetizzare diversamente il rapporto tra queste due grandissime persone, due grandissimi amici… Massimo aveva una piccola telecamera. Quando arrivava Pino, l’accendeva e la nascondeva, così da registrarlo di nascosto, mentre cantava e suonava. Poi, conservava le cassette e ogni tanto le riguardava, come un qualsiasi fan». E Pino Daniele? «Di storie insieme ce ne sono state parecchie. Lui a volte nella vita era anche attore, nel senso che a volte faceva proprio la parte di Troisi nella vita stessa. Ci sono stati un paio di aneddoti molto simpatici, tipo quello che quando c’era qualche ragazza che lo aspettava e che lui non voleva vedere, faceva finta di partire. Ci chiamava e diceva “Allora le valigie sono pronte” e faceva tutta una sceneggiata, faceva finta di partire e ritornava dopo mezz’ora. E poi, altri ricordi sono i viaggi che abbiamo fatto insieme, scrivere una canzone in macchina: abbiamo scritto due pezzi in auto mentre andavamo a Viareggio a fare un video, e poi i video che abbiamo fatto insieme, le risate che ci siamo fatti, insomma, ho dei bellissimi ricordi». Pino Calabrese, amico e collega: «Ho cominciato a teatro nei primi anni Settanta e avevo Massimo come compagno di avventura. Troisi era ed è sempre stato un grandissimo tifoso della Roma. Poi negli anni del successo, soprattutto dopo La Smorfia, ha dovuto un po’ nascondere il suo tifo per evidenti motivi professionali. Tra l’altro il suo successo coincise con i grandi anni di Maradona e dello scudetto al Napoli…». Luca Delgado nel romanzo 081: «Un vero napoletano ti saprà dire che cosa stava facendo e dove si trovava quello sciagurato pomeriggio del 4 giugno del 1994, il giorno in cui si apprese della morte di Troisi».

Di particolare interesse è il suo rapporto con il mondo femminile: sia nella sua (imperscrutabile) vita privata, sia per come raccontava le donne nei film. Lui è sempre stato molto riservato: forse in futuro qualche studioso della sua vita riuscirà a riferirci qualcosa di più chiaro. Parto dai film. Marta di Ricomincio da tre sembra legata a una sua idea di femminismo, Anna di Scusate il ritardo è forse la figura più disponibile al cambiamento, un’immagine fragile e ideale che l’uomo non riuscirà a seguire. E Cecilia di Pensavo fosse amore… invece era un calesse ha una femminilità notevole, rischiosa, fisica e ossessiva. La vita privata non apre grandi spiragli. Clarissa Burt, uno dei grandi amori di Troisi, ha detto: «Era esattamente così come lo si vedeva». E riferisco alcuni passaggi di un’intervista a Anna Pavignano, scrittrice, che con Troisi ebbe una relazione di dieci anni: «Come vi siete conosciuti?. “A Torino, la mia città. Lui partecipava a una trasmissione televisiva, Non stop, e io, giovanissima, facevo la comparsa in Rai”. Che rapporto aveva con le donne, e in particolare con le attrici che sceglieva? “Con le donne aveva un rapporto speciale, era un timido, anche imbranato, ma sensibile e attento. Ricordo che era molto galante con tutte sul set, un vero gentiluomo vecchio stampo, era nella sua natura. Si percepiva uno stato di grazia quando era soddisfatto delle scelte in merito alle protagoniste dei suoi film, qualcosa di diverso rispetto ai rapporti con i colleghi maschi”. Com’erano i suoi difetti? “Quando si è profondamente innamorati, è difficile vedere i difetti della persona amata. Una cosa però la sopportavo male: la sua pigrizia. A volte passava giornate intere in catalessi davanti alla tv. Questo non riuscivo a concepirlo, lo vivevo come una specie di abbrutimento. Lui però ne usciva rilassato, e poi era capace di rituffarsi nella mischia. Non è mai stato un mondano 0 un festaiolo, gli piaceva invitare degli amici, ma pochi e selezionati. La mondanità la vivevamo solo in occasione di qualche festival cinematografico – ci invitavano – 0 occasioni simili, che rappresentavano un dovere”». Anna Falchi ha rivelato: «Abbiamo avuto una storia. Condividevo casa con un’amica che era fidanzata con Massimo Bonetti, e una sera mi chiede di uscire con loro due e un terzo amico. Quando arrivammo al ristorante mi accorsi che si trattava di Troisi. La storia è andata avanti per un po’, ma su tutto ho cercato di mantenere il massimo riserbo». Eleonora Giorgi, dopo 20 anni, nel 2015, racconta di aver avuto un flirt con Troisi: «Fu Verdone a presentarci, in un villaggio della Costa d’Avorio. Massimo restava per ore seduto all’ombra e io gli facevo compagnia; così, più da vicino, mi accorsi del ticchettio meccanico del suo cuore, che nel silenzio si faceva più evidente: fra noi scoppiò la passione». Nathalie Caldonazzo, ultima compagna: «Da Massimo ho imparato lo stile… Avevo provato a fare un bimbo con lui. Credevo di non poterne avere. Durante i due anni del nostro amore lo desideravamo entrambi molto, ma non ci fu verso: non arrivo».  Colpisce che, a parte la Pavignano, le donne di cui Troisi si innamorò erano, tutte, seducenti e famose, sex symbol: chi lo avrebbe detto?  Quante a lui, Massimo Troisi, in un suo monologo su Pensavo fosse amore invece era un calesse  parlò così: «Quando si vuole sedurre qualcuno si è pronti ad accettare tutto. All’inizio di una storia, si è disposti a qualunque bugia. Ami, e dici “se vuoi non mangio più carne, se vuoi mi faccio prete, se vuoi mi vesto di rosso…”. Ti fa piacere dirlo, perché ami. Quando si smette di amare, in genere non si ha la pazienza di aspettare che finisca bene, si cerca la strada più breve, la rottura, la sofferenza. Invece ci vuole lo stesso impegno e la stessa intensità dell’inizio, bisogna superare gli egoismi, vivere questo momento con la stessa passione, far sentire alla persona lasciata tutto il bene che c’è stato: ci vuole amore per chiudere una storia. Aspettare un po’ per non buttare via tutto ma recuperare quanto è possibile, ricreando un altro rapporto, un ‘dopoamore”, fatte di conoscenza e di complicità, qualcosa che può essere molto più forte dell’amicizia… Io sono così. Quando una storia è stata importante e finisce, io la pazienza la trovo, soprattutto se in quel momento sono più forte. Anche se ho tutti i motivi per dire “basta!”, non butto via il bene che c’è stato, non alimento false speranze, ma cerco di creare le basi per un altro rapporto».

Era nato a San Giorgio a Cremano il 19 febbraio 1953. Morì a Roma il 4 giugno 1994. Lello Arena lo ricorda così: «Quando penso a lui, rido. Per la sua imprevedibilità, le fantastiche stranezze. La sua voglia di goliardia… Un genio, più di Einstein perché è entrato nella vita delle persone comuni. Poi un amico. Un fratello. Una guida. Quando e morto mi sono detto che avrei fatto di tutto per non farlo dimenticare. Mi sto accorgendo che non serve: la gente lo ama ancora». Ai funerali 10.000 persone scandivano il nome di Troisi. Il fratello Enzo confidò: «Quando fu operato al cuore, dieci mesi fa a Houston, subito dopo il rientro in Italia era insoddisfatto. Ripeteva continuamente che il chirurgo americano gli aveva assicurato che avrebbe potuto condurre una vita normale, ma in verità lui non riscontrava alcun beneficio. Massimo diceva sempre che i medici non erano riusciti a trovare il giusto dosaggio di farmaci. E questo lo preoccupava, perciò pretendeva l’assistenza di un cardiologo sul set». Teneva per sé le sue paure: «Non avrebbe mai rinunciato al lavoro: non fu possibile convincerlo a rimandare le riprese del Postino. Tutt’al più una comparsa al suo posto nelle scene più dure. Teneva molto a quel ruolo, forse sapeva che poteva essere l’ultimo film». Vorrei ricordarlo con un sorriso. Una volta disse: «Vengono i giornalisti e mi chiedono: “Troisi, tu che ne pensi di Dio?”, “Troisi, come si possono risolvere i problemi di Napoli?”, “Troisi, come si può esprimere la creatività giovanile?”. Ma che è? Pare che invece ca ‘nu film agg’ fatto i dieci comandamenti» E un’altra volta: “Se mi accostano a Totò e a Eduardo a me sta benissimo: sono loro che si offendono». Tuttavia, in un sondaggio del 2009 Troisi risultava il terzo comico italiano più conosciuto e amaio, preceduto solo da Alberto Sordi e Totò.