L’avvocato Ue dà ragione a Google: il diritto all’oblio ha effetto solo nei Paesi dell’Unione

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Il diritto all’oblio deve essere limitato all’Unione europea e non ha una portata globale. È questa la conclusione dell’Avvocato generale della Corte di Giustizia Ue Maciej Szpunar, che dà ragione a Google nella controversia con il regolatore francese sulla protezione dei dati. L’avvocato generale propone alla Corte di limitare all’ambito dell’Unione europea la deindicizzazione alla quale devono procedere i gestori di motori di ricerca. La deindicizzazione è il meccanismo che consente la rimozione dei link a siti internet e ad articoli o contenuti multimediali dai motori di ricerca. E consente di conseguenza il diritto all’oblio (anche se non equivale all’eliminazione della notizia, dato o contenuto multimediale).

Dopo il pronunciamento dell’Avvocato Ue, si aspetta la sentenza della Corte che non è tenuta a seguirne le conclusioni. Tuttavia nella stragrande maggioranza dei casi, la Corte si pronuncia in linea con le tesi dell’Avvocato generale Ue.

Il caso è al centro dell’attenzione perché chiama in causa il conflitto tra protezione della vita privata e la libertà di espressione. Nel maggio 2015, la presidente della Commissione nazionale per l’informatica e le libertà francese ha diffidato Google ad applicare, accogliendo una richiesta di una persona fisica per far eliminare i link verso pagine Internet dall’elenco dei risultati visualizzato in seguito ad una ricerca effettuata a partire dal suo nome, l’eliminazione in tutte le estensioni di nome di dominio del suo motore di ricerca. Google si era rifiutata di rispettare la diffida, limitandosi a eliminare i link in questione dai soli risultati visualizzati in seguito a ricerche effettuate a partire dai nomi di dominio corrispondenti alle varianti del suo motore di ricerca negli Stati membri dell’Unione europea. Inoltre, l’Autorità francese ha considerato insufficiente la proposta complementare di cosiddetto blocco geografico – presentata da Google dopo la scadenza del termine di cui alla diffida – che consiste nell’eliminare la possibilità di accedere ai risultati della ricerca, a partire da un indirizzo IP reputato essere ubicato nello Stato di residenza della persona interessata, indipendentemente dalla variante del motore di ricerca interrogata dall’utente.

Dopo aver constatato che Google, nel termine prescritto, non si era conformata alla suddetta diffida, l’Autorità francese avevano deciso una sanzione di centomila euro. Di qui il ricorso di Google al Consiglio di Stato che ha sottoposto alla Corte diverse questioni pregiudiziali. Nelle sue conclusioni l’avvocato generale Szpunar indica che le disposizioni del diritto dell’Unione non regolano espressamente la questione della territorialità della deindicizzazione per cui è necessaria una differenziazione a seconda del luogo a partire dal quale è effettuata la ricerca. Infatti, le richieste di ricerca effettuate al di fuori del territorio dell’Unione europea non dovrebbero essere interessate dalla deindicizzazione dei risultati di ricerca. Di conseguenza, ”non è favorevole” a un’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione “così ampia che queste abbiano effetto oltre l’ambito territoriale dei 28 Stati membri”. L’avvocato generale sottolinea infatti che, pur se effetti extraterritoriali sono ammessi in determinati casi, riguardanti il mercato interno, chiaramente delimitato – ad esempio in materia di diritto della concorrenza o di diritto dei marchi – per la natura stessa di Internet, che è su scala mondiale ed è presente ovunque in pari misura, “tale possibilità non è comparabile”.

Secondo l’avvocato generale, “occorre effettuare un bilanciamento del diritto fondamentale all’oblio con il legittimo interesse del pubblico ad avere accesso all’informazione ricercata”. “Ciò a maggior ragione in quanto tale interesse del pubblico ad avere accesso ad un’informazione variera’ necessariamente da uno Stato terzo all’altro, secondo la sua ubicazione geografica. Nel caso in cui fosse possibile procedere a una deindicizzazione su scala mondiale, `sussisterebbe il rischio che sia impedito di aver accesso alle informazioni a soggetti che si trovano in Stati terzi e che, per reciprocità, gli Stati terzi impediscano di aver accesso alle informazioni a soggetti che si trovano negli Stati membri dell’Unione´.

L’Avvocato generale in ogni caso non esclude la possibilità di imporre a un gestore di un motore di ricerca di intraprendere azioni di deindicizzazione a livello mondiale, ma ritiene che ciò non sia giustificato dal caso Google-Francia. Di qui la proposta alla Corte di dichiarare che `il gestore di un motore di ricerca non è tenuto, allorché accoglie una richiesta di deindicizzazione, di effettuare tale deindicizzazione su tutti i nomi di dominio del suo motore affinché, indipendentemente dal luogo a partire dal quale è effettuata la ricerca in base al nome del richiedente, i link controversi non compaiano più. L’Avvocato Ue sottolinea invece che, “una volta che sia stato accertato il diritto a una deindicizzazione all’interno dell’Unione, il gestore di un motore di ricerca deve adottare tutte le misure a sua disposizione per garantire una deindicizzazione efficace e completa, a livello del territorio dell’Unione europea, anche mediante la cosiddetta tecnica del blocco geografico a partire da un indirizzo IP che è reputato essere ubicato all’interno di uno Stato degli Stati membri, e ciò indipendentemente dal nome di dominio utilizzato dall’utente Internet che effettua la ricerca”.

La Stampa