Nulla di fatto nel primo giro di colloqui tra le due superpotenze sulle barriere commerciali. Il documento proposto dagli Usa chiedeva una resa incondizionata della Cina. Le trattative per scongiurare le misure di giugno sono iniziate
PECHINO – Le parti hanno “raggiunto un’intesa su alcuni punti”, ma non specificano quali. Su altri restano “forti disaccordi”. Cina e Stati Uniti vogliono creare un meccanismo di lavoro per “comunicare più strettamente”. Avrebbe prodotto poco o nulla, secondo il primo resoconto ufficiale che ne fa l’agenzia di stampa cinese Xinhua, il vertice di due giorni sui dazi tra la delegazione americana e quella cinese, che si è concluso venerdì a Pechino. Il “Dream Team” di Donald Trump, guidato dal segretario al commercio Mnuchin, nella serata è ripartito alla volta degli Stati Uniti. Lasciando tra le due superpotenze una distanza poco inferiore a quella che ha trovato all’arrivo, scavata da settimane di minacce e contro minacce.
Sarebbe stato difficile aspettarsi di più, vista la portata epocale, di sfida tra superpotenze, che la questione delle tariffe ha assunto. La delegazione americana è arrivata a Pechino con un documento di lavoro molto aggressivo, di fatto una dichiarazione di resa incondizionata da parte della Cina. Sette richieste, si legge su una versione circolata mentre l’incontro si stava per concludere, tra cui una diminuzione del surplus commerciale di 100 miliardi di dollari l’anno per i prossimi due anni attraverso maggiori acquisti di beni statunitensi, la diminuzione delle tariffe a livelli paragonabili a quelli americani, l’apertura del mercato dei servizi, l’aggiornamento della lista di settori dove gli investimenti stranieri sono vietati.
È la famosa reciprocità invocata da Donald Trump, ma anche molto di più, visto che nel documento si chiede pure a Pechino di accettare le restrizioni agli investimenti cinesi negli Stati Uniti, presenti o future, rinunciando a qualunque ritorsione commerciale, di abbandonare ogni ricorso al Wto e di smettere di sussidiare distorcendo il mercato i settori strategici di Made in China 2025, il progetto con cui il Dragone punta diventare una nuova superpotenza tecnologica. Di fatto, concessioni unilaterali di cui gli Stati Uniti si riserverebbero di valutare periodicamente l’avanzamento, immediato «concreto e verificabile».
Porgendolo ai cinesi, Mnuchin e la sua squadra hanno specificato che si tratta solo di un documento di lavoro, non di una bozza di trattato.
Ma se questo è il punto di partenza, sarà difficile trovare un’intesa che scongiuri l’escalation di tariffe (le prime, su 50 miliardi di import cinese, scatterebbero a giugno). Fonti cinesi ieri avevano preventivamente respinto al mittente «proposte irricevibili». Per la Cina mettere nero su bianco una cifra di riduzione del deficit è impensabile, e ancora di più farsi condizionare nelle sue politiche di sviluppo tecnologico. Vorrebbe dire mostrare al mondo che la sua potenza è ancora “contenibile”. D’altra parte un passo indietro qui e ora non se lo può permettere neppure Trump, altrimenti rivelerebbe che le sue grandi minacce mirano in realtà a piccoli compromessi. Che le parti continuino a parlarsi, date le premesse, è il migliore risultato possibile.
Filippo Santelli, Repubblica.it