Il cantiere previdenziale è in movimento, ecco cosa attende gli italiani: tagli agli assegni alti, sacrifici per quelli medi, pensione di cittadinanza, riscatto dei buchi contributivi, ape sociale, flat tax per i pensionati che si trasferiscono al Sud
Blocco rivalutazione
Il vicepremier Salvini dice che “nel 2019 nessun pensionato italiano prenderà meno del 2018, tranne quelli d’oro”. E’ vero, ma il confronto non va fatto sul 2018. Ecco perché. Le pensioni nel 2018 sono state rivalutate all’inflazione in base a cinque fasce di importo. Al 100% quelle fino a 3 volte il minimo (1.521 euro lordi mensili), al 45% quelle sopra 6 volte (3.042 euro lordi): solo per citare gli estremi. E’ il meccanismo cosiddetto Letta, introdotto nel 2013 e poi prorogato fino al 31 dicembre 2018. Ma cosa doveva accadere dal 1° gennaio 2019? In assenza di ulteriori norme, le pensioni sarebbero state rivalutate in base a tre fasce: al 100% quelle fino a 3 volte il minimo, al 90% quelle tra 3 e 5 volte e al 75% quelle sopra le 5 volte. Con tutta evidenza, un trattamento migliore di quello attuale. Cosa fa invece il governo gialloverde? Allunga le fasce di importo da cinque a sette: si va dalla rivalutazione al 100% per le pensioni fino a 1.521 euro lordi al 40% di quelle sopra 4.563 euro lordi (9 volte il minimo). Se il confronto si fa con il 2018, la penalizzazione non è fortissima. Ma se – come è più corretto – si calcola la differenza con quello che doveva essere (le 3 fasce) e quello che sarà (le 7 fasce) le perdite sono importanti – a partire da 200-300 euro all’anno – per tutte le pensioni sopra i 2.500 euro lordi, circa 1.800 euro netti. Non proprio da ricchi. Lo ammette anche la stessa legge di bilancio quando calcola i risparmi attesi dal nuovo schema di rivalutazione: 253 milioni nel 2019, 745 milioni nel 2020, un miliardo e 230 milioni nel 2021. E circa un miliardo e 200 milioni all’anno dal 2022 al 2028. Un tesoro enorme.
Pensioni d’oro
La manovra le chiama “pensioni di platino”, quelle superiori ai 100 mila euro lordi annui: sono 24.287. Dal 2019 e per cinque anni saranno tagliate, secondo uno schema a scaglioni e in base a cinque aliquote. Ecco i tagli: 15% sulla parte che eccede i 100 mila euro e fino a 130 mila euro, 25% sull’eccedenza tra 130 e 200 mila euro, 30% tra 200 e 350 mila euro, 35% tra 350 e 500 mila euro, 40% sopra i 500 mila euro (si tratta di 23 persone). Sono escluse dal prelievo le pensioni interamente contributive, quelle di invalidità e i trattamenti riconosciuti a superstiti, vittime del dovere o del terrorismo. Nessun assegno potrà in ogni caso scendere sotto i 100 mila euro. La misura garantisce risparmi tutto sommato contenuti, rispetto alla parziale rivalutazione: 76 milioni nel 2019, 80 milioni nel 2020, 83 milioni nel 2021, 87 milioni nel 2022, 90 milioni nel 2023.
Flat tax dei pensionati
La novità riguarda pensionati stranieri o italiani residenti all’estero da almeno 5 anni che trasferiscono la proprio residenza in un piccolo comune italiano del Sud (nelle regioni Campania, Abruzzo, Molise, Basilicata, Puglia, Sicilia e Sardegna) con popolazione non superiore ai 20 mila abitanti. Per 5 cinque anni potranno godere di un’imposta sostitutiva forfettaria del 7% su tutti i redditi di qualunque categoria, percepiti da fonte estera o prodotti all’estero. E saranno esenti da imposta sugli immobili situati all’estero, come pure da quella su conti correnti, depositi di risparmio e prodotti finanziari detenuti all’estero. Le maggiori entrate derivanti da questa misura saranno destinate alle università del Mezzogiorno in cui ci sia almeno un dipartimento in discipline tecnico-scientifiche e sociologiche.
La possibilità di anticipare la pensione con almeno 62 anni e almeno 38 di contributi – la famosa Quota 100 – non è stata inserita nella manovra finanziaria. Non esiste dunque ancora un testo normativo, ma il governo ha annunciato un decreto ad hoc tra il 10 e il 12 gennaio. In manovra ci sono però gli stanziamenti, ridotti dopo l’accordo con Bruxelles: 3,97 miliardi nel 2018, 8,34 miliardi nel 2019 e 8,68 miliardi nel 2020. La misura è sperimentale, durerà solo 3 anni. Dal 2021 dovrebbe essere sostituita da Quota 41, la possibilità cioè di uscire con 41 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica. Quota 100 è data dalla somma tra età e contributi versati e vale nella sola combinazione 62+38. In tutte le altre, si passa da quota 101 a 104: 63+38, 64+38, 65+38, 66+38. Ai quotisti verrà imposto il divieto di cumulo fino al compimento dei 67 anni di età: non potranno cioè sommare alla pensione anche un reddito da lavoro superiore ai 5 mila euro annui. La pensione sarà percepita per più anni, ma il suo importo sarà ridotto non perché penalizzato ma come conseguenza dei minori contributi versati. I dipendenti privati che maturano i requisiti entro il 2018 potranno uscire il primo aprile 2019 (finestra di 3 mesi). Il termine per il raggiungimento dei requisiti viene invece spostato per gli statali al 31 marzo 2019: le uscite in questo caso si avranno a partire da ottobre (finestra di 6 mesi). Il governo stima in 350 mila gli aventi diritto a Quota 100 nel 2019 (di cui 160 mila statali). Di questi però calcola che solo l’85% farà domanda.
Requisiti Fornero
E chi non ha i numeri per Quota 100? Potrà andare in pensione con le vecchie regole della legge Fornero che non viene cancellata né messa in soffitta. Resta dunque la pensione di vecchiaia a 67 anni con almeno 20 di contributi. E la pensione anticipata, il cui requisito non viene aggiornato alla speranza di vita, ma congelato a 42 anni e 10 mesi, come ora, a prescindere dall’età anagrafica. In questo secondo caso lo “sconto” di 5 mesi (nel 2019 il requisito doveva salire a 43 anni e 3 mesi) in realtà si riduce a 2 mesi, visto che il governo introduce la finestra di 3 mesi tra la maturazione dei requisiti per la pensione e la sua effettiva erogazione.
Pensioni di cittadinanza
La promessa del vicepremier Di Maio è di portare le pensioni minime e quelle di invalidità a 780 euro al mese nel 2019. Questo non succederà per tutti. Le risorse stanziate sono solo una minima parte del pacchetto per il reddito di cittadinanza, anch’esso ridotto dopo la riscrittura della manovra in base all’accordo con Bruxelles: 7,1 miliardi nel 2019, 8,055 miliardi nel 2020, 8,317 miliardi nel 2021 (in partenza erano 9 miliardi all’anno, di cui 1 destinato alla riforma dei centri per l’impiego). Dei 7,1 miliardi disponibili l’anno prossimo, appena 900 milioni – secondo quanto trapela, la norma arriverà anche questa nel decreto di gennaio – sarebbero destinati alle pensioni di cittadinanza. Troppo pochi per alzare l’assegno a 3,2 milioni di pensionati al minimo da 500 a 780 euro (servirebbero quasi 11 miliardi) e a quasi 1 milione di invalidi. Anche qui, come per il reddito di cittadinanza, si userà l’Isee – l’indicatore famigliare di reddito e patrimonio – per scremare la platea (fino a 9.360 euro, l’ipotesi sin qui circolata). Magari riducendo il beneficio ai proprietari di casa. Il governo stima 200-250 mila beneficiari.
Ape sociale e Opzione donna
Le due misure introdotte dal governo Gentiloni saranno rinnovate, ma per un solo anno. L’Ape sociale consente di anticipare la pensione, senza alcuna penalizzazione, a categorie disagiate di lavoratori (disoccupati, malati o con parenti invalidi) o impiegati in professioni particolarmente pesanti. Per questi la pensione sarà possibile anche con soli 30 o 36 anni di contributi e 63 anni di età. L’Opzione donna consentirà invece alle donne di uscire con almeno 35 anni di contributi e 58 di età (dipendenti) o 59 (autonome), ma con un assegno penalizzato anche fortemente perché tutto ricalcolato con il metodo contributivo. E con una finestra di un anno, dalla domanda.
Pace contributiva
Al momento è solo un’ipotesi che dovrebbe trovare spazio nel decreto pensioni di gennaio. La possibilità cioè per i lavoratori post 1996 (riforma Dini) – o anche ai parenti o al datore di lavoro – di riscattare in tutto o in parte i buchi contributivi maturati in carriera – ovvero i periodi non coperti da contributi previdenziali – versando il dovuto (in 60 rate senza interessi, secondo un’ipotesi circolata). Non ci dovrebbero essere limiti ai buchi riscattabili. Per il calcolo si fa riferimento alla retribuzione degli ultimi 12 mesi o, in mancanza, al livello minimo imponibile annuo previsto per artigiani e commercianti. L’importo riscattato potrebbe essere deducibile per lavoratore e datore e detraibile per il parente (al 19%). Nella misura dovrebbe rientrare anche il riscatto del periodo di laurea.
Valentina Conte, Repubblica