Il caso italiano per ora è un unicum, o quasi. Nessun altro Stato membro ha adottato la fatturazione elettronica tra privati, a parte il Portogallo che l’ha fatto nel 2013 in piena crisi finanziaria. E stavolta Bruxelles non c’entra. Non esiste alcun obbligo di fatturazione elettronica tra privati nell’Unione europea: vige solo quello per gli appalti pubblici e per i rapporti con la pubblica amministrazione, come stabilito da una direttiva Ue del 2014 che entrerà effettivamente in vigore il prossimo anno. Tanto che il nostro Paese per introdurre ora la fatturazione elettronica tra imprese ha dovuto chiedere una deroga, concessa, alla commissione. Era stato il governo Renzi per primo ad avviare il meccanismo per tutti i fornitori della pubblica amministrazione, e lo stesso hanno fatto altri Paesi europei, come Germania e Francia, che hanno recepito in anticipo la direttiva europea. Ma appunto si tratta di una forma soft, e limitata ai pagamenti verso il pubblico. Bisogna andare in Sudamerica per trovare altri Paesi dove è in vigore lo strumento che tra pochi giorni arriverà anche da noi: i pionieri sono Cile, Messico e Brasile. Ma la fatturazione elettronica è obbligatoria anche in Argentina e in Perù, mentre lo sarà in Colombia dal 2019.
Lo scopo, in teoria, è combattere l’evasione fiscale, visto che secondo un’analisi della Fondazione nazionale dei commercialisti la nuova fattura dovrebbe «migliorare il controllo» e «mitigare i tassi di evasione». L’obiettivo è ridurre i 35 miliardi di evasione Iva (26%) che fanno dell’Italia uno dei Paesi europei con il maggior gap tra Iva stimata e Iva raccolta: siamo dietro, in percentuale, a Romania (37%), Slovacchia (29%) e Grecia (28%), ma siamo primi a livello assoluto. Il governo stima per il 2019 un recupero di due miliardi di nero, al netto dei problemi di applicazione del nuovo sistema. L’efficacia intanto resta un’incognita, visto che l’evasione spesso si genera laddove la fattura non viene emessa e non perché è su un foglio di carta.
Lodovica Bulian, Ilgiornale.it