Uber ha le ore contate: lobby dei taxi in pressing per salvare regali fiscali e licenze gratis

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Uber Italia ha le ora contate. Ma oltre al colosso americano – che nel resto del mondo viaggia a gonfie vele – tremano migliaia di piccoli imprenditori italiani. Dalla fine del 2008, il servizio di noleggio auto con conducente sopravvive a colpi di proroghe annuali. Da quando il governo Berlusconi intervenne con una stretta sulla legge quadro del 1992. Con poche righe venne vietata la “sosta in posteggio di stazionamento su suolo pubblico nei comuni ove sia esercito il servizio di taxi”. Tradotto: le auto che operano come Ncc sono obbligate a tornare in rimessa tra una corsa e l’altra. Un provvedimento fortemente voluto dalla lobby dei taxi, ma aspramente contestato dai consumati e guardato con sospetto dall’Unione europea secondo cui la norma avrebbe limitato la libera concorrenza nel settore.

Anche per questo, il governo Berlusconi rimandò l’entrata in vigore del testo fino alla pubblicazione dei decreti attuativi. Di proroga in proroga, fino a oggi, il comma che condanna a morte gli Ncc – 80mila imprese con oltre 200mila addetti – è rimasto chiuso in un cassetto, ma se – come sembra – non accadesse nulla nei prossimi 10 giorni entrerà in vigore dal primo gennaio

Per aumentare la pressione sul governo, alle prese con la difficile approvazione della legge di Bilancio, gli Ncc sono pronti a bloccare “autostrade, porti e aeroporti” se l’esecutivo “dovesse irragionevolmente decidere di far entrare in vigore le stringenti regole richieste da diverse sigle sindacali del settore taxi” dice Mauro Ferri, presidente dell’Associazione Nazionale Imprese Trasporto Persone che poi aggiunge: “Nel giro di pochi mese tutte le imprese chiuderebbero. Si eliminerebbe dal mercato del trasporto persone un’intera categoria a favore di un’altra, rendendo abusivo un esercizio di attività regolarmente svolto dagli Ncc dal 1992 e che dal 1° gennaio 2019 diverrebbe illegittimo attraverso una legge voluta da chi, come i tassisti, ha già notevoli agevolazioni, come ad esempio l’opportunità di incassare in nero gli importi dei servizi di trasporto, senza emissione di scontrino fiscale, oppure di vendersi la licenza a suon di centinaia di migliaia di euro in modo illegale, poiché la licenza non è di loro proprietà ma del comune che l’ha rilasciata”.

A preoccupare gli Ncc è anche un clima politico in profonda evoluzione. Nel 2017, M5s e Lega si schierarono apertamente a favore dei tassisti. Per Danilo Toninelli, ministro dei trasporti ma allora deputato, i tassisti protestavano “contro il Pd che invece difende multinazionali come Uber e Ncc che lavorano senza licenze”. Sulla stessa lunghezza d’onda il ministro dell’interno, Matteo Salvini che da segretario della Lega nel 2017 diceva: “Il governo non può prendere in giro e massacrare i lavoratori, in questo caso i tassisti. Il mio sostegno a chi tutti i giorni è in strada a fare il suo lavoro a rischio di aggressioni e senza nessuna certezza”.

D’altra parte se davvero il governo avesse voluto mettere mano al settore avrebbe solo dovuto tirare il rigore che il Pd si era procurato dimenticandosi poi di calciare la palla: il Parlamento aveva infatti approvato una legge che delegava il governo a intervenire. I termini della delega sono scaduti a inizio agosto che colpo ferire. In campagna elettorale, la Lega parlava di “modernizzare il settore dei trasporti pubblici” anche attraverso l’offerta di servizi Ncc, ma non è mai scesa nel dettaglio

Il tema è caldo, ma la politica lo tiene lontano il più possibile per non inimicarsi i taxi: al di là del bacino di voti che rappresentano, sono in grado di paralizzare il traffico in tutta i Italia. Un rischio che sotto le feste nessun politico vuole assumersi. Già nel 2015 l’Autorità di regolazione dei trasporti chiese al Parlamento di intervenire sulla materia sottolineando l’esistenza dei servizi offerti sulle nuove piattaforme tecnologiche, basati sulla flessibilità e sulla condivisione di risorse. L’Autorità segnalava la necessità di regolare il settore per aiutare la concorrenza, ma anche per permettere ai taxi di essere più competitivi. Ma nel frattempo non è cambiato nulla.

Resta il fatto che le proteste di piazza dei tassisti servono a difendere il loro prezioso orticello. A cominciare dal tema delle licenze: nate come bene pubblico di proprietà dei comuni concesso in uso ai tassisti sono diventate – nell’assoluto silenzio delle istituzioni – una proprietà privata da vendere e rivendere (da qui il bisogno di non liberalizzarle per non svalutarle). Ancora più importante è la questione fiscale. I circa 22mila tassisti italiani dichiarano incassi per poco meno di 42mila euro a testa da cui detraggono 25mila euro di spese per arrivare a una base imponibile di 16.800 euro sui cui pagano le tasse dovute: poco meno di 4mila euro. Un calcolo effettuato sulla base di 11 mesi lavorativi, anche se la maggior parte dei tassisti dichiara di lavorare e guadagnare di più. Alcuni tassisti passati a Uber hanno dichiarato a Business Insider “di guadagnare molto di più di quanto dichiarato negli studi di settore”.

A differenza delle piattaforme che accettano solo pagamenti tracciati con carta di credito, i tassisti emettono ricevute senza alcun valore fiscale. Per questo la liberalizzazione di Uber&Co avrebbe per loro un effetto drammatico: ridurrebbe il valore delle licenze illegittimamente scambiate e renderebbe pubblico il reale reddito annuo della categoria. Anche per questo i tassisti – che come prezzo sono molto più competitivi di Uber – si sono sempre opposti all’introduzione del tassametro con scontrino.

Giuliano Balestreri, Business Insider Italia