a cura di Francesca Fradelloni, Winning Women Institute
Inclusa tra le venticinque personalità che hanno apportato un contributo significativo in Europa nel 2012, una vita intera all’insegna dell’impegno sociale e per le donne. In passato eletta tra le file del Pdl, oggi fondatrice e attuale Presidente della Fondazione Bellisario. Il nome Lella Golfo, però, è legato alla Legge 120/2011 che ha introdotto in Italia le quote di genere nei Consigli di Amministrazione e nei collegi sindacali delle società quotate e controllate dalle Pubbliche Amministrazioni, normativa unanimemente riconosciuta come epocale e di cui è stata prima firmataria.
Il dipartimento Pari opportunità conferma: con la legge Golfo-Mosca in 4 anni abbiamo +75% di donne nei ruoli apicali delle società controllate. La legge Golfo-Mosca ‘scade’ nel 2022, cosa bisognerebbe fare?
Partiamo dal dato di fatto: non vedo in Parlamento donne pronte a intraprendere una battaglia dura e impegnativa come quella che ho sostenuto per far approvare la legge sulle quote di genere. Sin dal primo momento in Parlamento mi sono impegnata senza riserve per la sua approvazione. Nella mia progettualità non doveva essere ‘a tempo’, ma avremmo rischiato il vizio di incostituzionalità e il mio auspicio era che in più di nove anni la norma avrebbe provocato una vera rivoluzione culturale. Credo che sia stato così e per questo sono convinta che non ci sarà bisogno di un’altra legge. Tra l’altro, i segnali di recepimento dei principi contenuti nella norma sono tanti e positivi. Il nuovo Codice di autodisciplina delle società quotate in Borsa, per esempio, ha inserito la raccomandazione di recepire il criterio delle quote negli statuti delle aziende. Enel lo ha già fatto e tante altre aziende si apprestano a farlo. E Banca d’Italia, Dipartimento delle Pari Opportunità e Consob hanno recentemente firmato un protocollo d’intesa per l’istituzione di un Osservatorio interistituzionale sulla partecipazione femminile negli organi di amministrazione e controllo delle società di capitale italiane. Credo che la legge abbia assolto il suo compito: introdurre un vero shock nel sistema e ora spetta a noi, e alle donne entrate nei CdA, portare avanti la battaglia per il merito.
La 120/2011, rappresenta un modello per la presenza delle donne all’interno degli organi delle società quotate in borsa e in quelle controllate da pubbliche amministrazioni e pone a livello Europeo l’Italia al pari di Paesi come Svezia e Finlandia. Al contrario, che buone pratiche e buone leggi esistono negli Stati europei che dovremmo importare in Italia?
Certamente tutte le buone pratiche in tema di welfare, il tallone d’Achille del nostro Paese. Se poi devo pensare a una legge per tutte, per ora direi quella islandese, la prima al mondo che impone pari ed equa retribuzione a pari lavoro in ogni azienda dai 25 dipendenti in su, in ogni ministero, istituzione o pubblica autorità. Ricordiamo che l’Onu ha definito il gender pay gap come il più grande furto della storia.
L’Osservatorio Smartworking della School of Management del Politecnico di Milano ha fornito i dati relativi al cosiddetto lavoro agile. L’Osservatorio dice che la percentuale più alta di smartworker si registra tra lavoratori di sesso maschile. Possiamo finalmente dire che la conciliazione non è un’esigenza solo femminile. Come combattere questo stereotipo?
In realtà, per quanto riguarda la sperimentazione del congedo parentale, terminata il 4 dicembre, non ho visto nessuna barricata da parte dei padri! Certamente, è fondamentale e urgente che il tema della conciliazione diventi un argomento non più solo femminile. Purtroppo, dei quasi 38mila genitori di bimbi fino a 3 anni che l’anno scorso hanno lasciato il lavoro, il 79% sono donne e l’82,4% di loro lo ha fatto per impegni familiari, assenza di un nido o per il suo costo eccessivo. Dunque, nei fatti, sembra che le difficoltà a conciliare famiglia e lavoro restino in gran parte sulle spalle femminili. D’altro canto, le aziende stanno facendo grandi passi sul fronte del welfare. La stessa ricerca del Politecnico rivela che il 56% delle grandi aziende italiane ha avviato progetti strutturati che introducono flessibilità di orario, luogo e strumenti. Ma, soprattutto, ora anche le PMI hanno capito che welfare e donne rappresentano una leva di competitività e si stanno attrezzando. Lo abbiamo sperimentano con le due edizioni del Premio Women Value Company promosso in collaborazione con Intesa Sanpaolo e dedicato alle piccole e medie imprese che attuano politiche di sviluppo e promozione delle carriere femminili. In due anni si sono candidate 1060 aziende e siamo già partiti con la terza edizione.
L’occupazione femminile si è andata via via concentrando nel settore dei servizi a basso reddito. Negli ultimi vent’anni è aumentato infatti l’impiego delle donne nei settori della salute, dell’educazione e dei servizi sociali. Non crede che sia responsabilità della politica intervenire nei processi di reclutamento e formazione? Non si potrebbe incoraggiare le donne a scegliere lavori non ritenuti tradizionalmente femminili?
Oggi, le Istituzioni in prima battuta ma anche le Aziende e le università hanno la grande responsabilità di mettere le STEM al centro del sistema educativo e formativo, con particolare attenzione alle ragazze. È necessario cambiarne la narrativa e raccontare che le ragazze possono competere ad armi pari con i loro colleghi. Marisa Bellisario lo sosteneva già trent’anni fa e invitava le ragazze a intraprendere percorsi scientifici, in cui secondo lei c’erano le maggiori possibilità di occupazione ed emancipazione per le donne. Aveva ragione e la Fondazione Marisa Bellisario ha fatto tanto tesoro delle sue parole che da trent’anni premiamo le migliori neolaureate in materie scientifiche. Secondo il World Economic Forum, il 65% dei bambini che sono attualmente alla scuola primaria farà un lavoro che oggi non esiste. Il futuro, diceva Mattei, è di chi lo sa immaginare ma mentre la nostra generazione aveva dei modelli lavorativi a cui poter aspirare, oggi tocca a noi aiutare i giovani a trovare la strada. Dobbiamo accompagnare le nostre ragazze e dir loro che la tecnologia sta cambiando anche la gerarchia del merito perché oggi in azienda chi sa decodificare i dati cresce più velocemente di chi gestisce processi. L’innovazione è una grande opportunità per le donne e un potente acceleratore di parità. Basta guardare ai dati: nei Paesi in cui l’indice DESI – che misura la digitalizzazione dell’economia e società – è più alto, è doppio il livello di partecipazione femminile al mondo del lavoro e sono minori le discriminazioni di genere.
Come potrebbe fare e cosa, il Parlamento europeo per sollecitare tutti i soggetti istituzionali a rimuovere le distorsioni nel mercato del lavoro e creare le condizioni per l’attuazione di misure che contribuiscano a intensificare la domanda di lavoro femminile?
Purtroppo siamo soliti attribuire all’Europa poteri che non ha. Certamente, l’Europa può fare raccomandazioni e da sempre si muove in questa direzione con molta forza ma poi prima di tutto è necessario l’avvallo dei singoli Stati alle sue proposte e poi un’iniziativa nazionale che renda cogenti le proposte europee. Serve da parte degli Stati, e dell’Italia, una seria politica di incentivi per le aziende che assumono donne così come un fondo per l’imprenditoria femminile.
Ogni anno è un’avventura, ogni anno ci sono così tante candidature per il Premio Marisa Belisario, il riconoscimento che, con bellissime Mele D’oro, valorizza le donne che si sono distinte per il loro impegno, tutte quelle professioniste che muovono il nostro Paese. Come è nato e cosa le ha insegnato?
Siamo ormai alla XXXI edizione e per me è stata sicuramente l’esperienza non di lavoro ma di vita più gratificante. Il Premio è nato da una mia idea perché volevo preservare il ricordo della prima grande manager del nostro Paese ma soprattutto volevo che il suo esempio e insegnamento potesse contaminare il presente e il futuro delle donne italiane. Così è stato, in trent’anni abbiamo premiato oltre 500 professioniste, manager, imprenditrici, donne delle istituzioni, della scienza e della cultura, giovani laureate in ingegneria. Fabiola Gianotti, Direttore del Cern, l’astronauta Samantha Cristoforetti e la prima Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, tutte Mele d’Oro, dimostrano che, anche grazie al contributo e al lavoro della Fondazione Marisa Bellisario, in Italia non esistono più ambiti o ruoli preclusi a una donna. Abbiamo raggiunto il nostro obiettivo, provando concretamente che, come diceva Marisa Bellisario, non esiste traguardo che una donna non possa raggiungere con l’impegno e il lavoro duro. Questo è il più grande insegnamento che ha guidato il mio lavoro, le mie scelte, la mia vita.
Lei pensa che la Certificazione della Parità di Genere possa essere un passo in avanti per il mondo del lavoro?
Certamente, io la lanciai più di dieci anni fa: la Mela Rosa era una sorta di certificato che abbiamo consegnato alle aziende “virtuose”. Credo che oggi i tempi siano più che maturi. Promuovere le risorse, le energie, le competenze e la leadership femminile non è una battaglia di genere ma di progresso!! La sfida del merito ci coinvolge tutti e non è una questione di donne e uomini ma di crescita sostenibile e inclusiva delle nostre aziende e della società. Il nostro impegno in questa direzione non si è mai fermato.