C’erano una volta / Little Tony

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All’Elvis della musica italiana devo un meraviglioso regalo.

Icona del nostro rock’n’roll, aveva un carattere affabile e cordiale. Lui, Renis e Sabani improvvisarono uno straordinario concerto a casa mia. È morto ascoltando il suo idolo.

(di Cesare Lanza per LaVerità) Quando mi trasferii da Milano a Roma, spinto dalle tante conoscenze e anche dai rapporti amichevoli che avevo maturato nel giornalismo e in televisione, un giorno dissi a mia moglie di organizzare un piccolo ricevimento per ricambiare gentilezze e cortesie, e anche gli inviti che avevamo ricevuto nei primi mesi del nostro soggiorno nella Capitale. Era l’ultimo anno dello scorso millennio, in piena estate. Mia moglie è una di quelle creature umane che non conoscono vie di mezzo: le cose non le fa, oppure le pensa e le realizza in grande. Alla fine il «piccolo» ricevimento era diventato una festosa (e rumorosa, poveri vicini di casa!) baraonda con più di trecento persone che si aggiravano a spintoni, tra corridoi e terrazze. Non ricordo nulla di quella sera, salvo una bella sorpresa con cui tre invitati mi festeggiarono: Tony Renis, Gigi Sabani e Little Tony si esibirono in una serie di canzoni, insieme. Un favoloso terzetto. Non credo che avessero mai cantato insieme prima, presumo che non lo fecero mai più, in seguito. Sarebbe stato un momento interessante, inedito, per qualsiasi programma televisivo di intrattenimento. Un mio cugino, che viveva in America, mi chiese sottovoce: «Ma chi è quel cantante? Mi ricorda, sembra Elvis Presley. Ma non può essere…». Era Little Tony. E la sua affinità con Elvis Presley era evidente. Guai però se qualche infelice gaffeur insinuava che lo imitasse! Si somigliavano, ecco tutto. Little Tony aveva un carattere meraviglioso, affabile e cordiale con tutti, direi paziente ed educato, sempre tollerante. Adorava Presley. Il vialetto della sua abitazione romana portava il nome «Elvis boulevard Presley». E disse anche con grande tristezza: «Quando seppi che Elvis era morto, passeggiai senza meta sulla spiaggia per tutta la notte». Nel 1975 aveva inciso l’album Tony canta Elvis, in cui rendeva omaggio al suo maestro, interpretando alcuni suoi classici. Però teneva molto alla sua identità. Voleva essere Little Tony e basta. Se poi a tutti ricordava il grande Elvis, il suo maestro, meglio così. Senza parlare tuttavia di imitazioni o di astute strategie di marketing. Non a caso Tommaso Labranca, scrittore e autore televisivo, ha detto: «Ecco un caso di emulazione talmente spontanea e talmente lampante che a volte mi ritrovo a pensare il contrario. Ossia, che Elvis abbia sempre copiato Little Tony». Un grande intenditore di musica, il giornalista Mario Luzzatto Fegiz, di Little Tony aveva scritto: «Con i successi esplosi dalla fine degli anni Sessanta e all’inizio dei Settanta, assieme a Bobby Solo, è una delle icone del rock’n’roll all’italiana. Irruppe sulla scena vestito di bianco con vistosi fregi luminescenti e la tipica capigliatura alla Presley di cui aveva non solo la timbrica, ma anche la mimica e soprattutto quei movimenti pelvici che facevano impazzire le ragazzine. Di Presley, Little Tony imitava anche certe abitudini di grandezza: ai festival di Sanremo girava con un seguito di parenti e amici per un totale di 25 persone. Anche se era partito imitando Presley, in realtà era ben più di un sosia». E che fosse molto più di un semplice imitatore lo dimostra la dichiarazione di Vasco Rossi, che ha detto che non conosceva la musica di Presley, ma apprezzava quella di Tony. E lui non ha mai dimenticato il suo grande maestro. Il suo manager e storico amico, Pasquale Mammaro, ha rivelato che Little Tony è morto proprio ascoltando le canzoni di Elvis Presley: «Nelle sue ultime ore di agonia, la nipotina Valentina ha tenuto sempre accesa la musica di Presley, in modo che non gli mancasse fino alla fine».

Per raccontare Little Tony basta ricordare ciò che è stato detto di lui, alla sua scomparsa. La partecipazione ai funerali fu straordinaria, caratterizzata da stima e affetto, sorprendente la presenza di molti giovani. Bobby Solo disse: «Oggi c’è un grande vuoto per la scomparsa di un compagno di lavoro, un amico vero e generoso e un pioniere del rock’n’roll… Abbiamo vissuto insieme quarantanni da fratelli del rock. Mi vide ciuffato, magro e spaesato e mi invitò subito a cena. Io dissi subito di sì. Avevo diciannove anni, solo 10.000 lire in tasca e, in mezzo a tutti quei divi, da Paul Anka a Frankie Avalon, mi sentivo intimidito. Mi portò a cena e dopo, insieme a Gino Paoli, al Caponegro, un locale dove si faceva spogliarello. Era la prima volta che vedevo una donna nuda». E Gianni Morandi: «Mi mancherà. Sono già morti tanti colleghi e amici. E la vita. In questo caso, come per Lucio Dalla, mi ha preso in contropiede. Era un grande, anche umanamente». Gino Castaldo, critico di Repubblica: «Incise presto qualche disco, a imitazione dei rocker americani e poi, notato da un impresario inglese, andò a farsi una bella gavetta proprio in Inghilterra, in quel fitto e movimentato sottobosco musicale antecedente alla rivoluzione beatlesiana, e per lui fu l’occasione della vita, un periodo straordinario, formativo, che gli permise di tornare in Italia più forte e temprato a ogni esperienza. Quando si ripresentò andò a cercare l’unico 0 quasi che poteva capire le sue voglie americane, ovvero Adriano Celentano, anche lui alle prese con una trasgressiva traduzione del rock’n’roll a uso e consumo del pubblico italiano. Celentano gli fece ascoltare 24.000 Baci, era il 1961, e andarono in coppia a cantarla al festival di Sanremo. Un successone. Arrivarono secondi, solo perché il vecchio Luciano Tajoli, che rappresentava pienamente la vecchia tradizione, aveva sbaragliato tutti con la strappalacrime Al di là (peraltro firmata da un Mogol alle prime armi), ma i personaggi veramente vincenti furono loro due e dal giorno dopo Little Tony era uno dei più popolari protagonisti della canzone italiana». Nel giugno 2013, poco dopo la morte del padre, la figlia Cristiana ha rilasciato una straordinaria intervista a Vanity Fair: «L’ho sposato lavorativamente, ma se non lo avessi seguito, non l’avrei mai visto, era sempre via da casa… Papà aveva la fissa della tinta. Non l’ho mai visto con i capelli bianchi “perché fanno vecchio”, ripeteva. Li ha fatti tingere anche all’autista del pulmino che ci portava ai concerti. E ai musicisti, a suo fratello: dovevano essere tutti “ragazzi” sul palco… Era leggero e forse incosciente. Non ha mai avuto la pesantezza della maturità. E sono cresciuta con questo viavai di fidanzate. Fin da piccola mi sembrava una cosa normale. Ma mio padre non mi ha mai dato motivo per essere gelosa, perché mi ha sempre fatto sentire l’unica donna della sua vita. Sono nata che i miei genitori erano già separati: non ho mai avuto una visione di famiglia normale». «E tra le cose divertenti c’erano anche i concerti, già a 4 o 5 anni stavo dietro al palco. Soltanto dopo Cuore matto uscivo e lo aiutavo a distribuire le foto autografate». Cristiana racconta poi che quando lei è nata il successo di Tony era già al tramonto, «ma lui viveva nella gloria di quei vecchi successi, e non ha mai avuto un calo vero di popolarità. Le piazze e le sale con lui erano sempre piene. Ho accompagnato mio padre in tutte le tournée, anche negli Stati Uniti… “Sono cittadino del mondo”, diceva. Gli piaceva viaggiare dappertutto. La nostra casa era, è, un museo stravagante: moquette dovunque, il juke box con i suoi 45 giri originali, il letto con gli specchi, foto di Elvis e Marilyn dovunque. Le porte erano sempre aperte, arrivava gente curiosa: capelli strani, vestiti bizzarri. Potevano essere idraulici, muratori. Fedeiroc Fellini avrebbe potuto farci un film. “Buttate la pasta”, diceva papà, e offriva il pranzo a questa tribù… Aveva il terrore che qualcuno potesse considerarlo vecchio. La fobia gli è passato quando ha visto che nessuno lo trattava da anziano, visto che si tingeva i capelli, si buttava per terra mentre cantava, usciva con le ragazze e guidava le spider».

Quanto a lui, Little Tony si raccontava così: «A 16 anni sono andato a Londra senza una lira e senza sapere una parola di inglese. Prendevo il treno a carbone per Manchester, da dove andava in onda il programma Boys Meet Girls che ha fatto la storia del rock in tv. L’anno dopo il programma si intitolava Wham! – è da qui che George Michael ha preso il nome della sua prima band – e io ero ospite fisso. Uno degli autori di Elvis scrisse per me Too Good, che arrivò nella top 20 inglese nel 1959». Poi, in Italia, i botti del successo. Dal 1966 al 1970 ha fatto 15 film. Riceveva 200 lettere al giorno, soprattutto di ammiratrici; e rispondeva a tutte. Quando Tony era adolescente, le canzoni alla radio erano di Luciano Tajoli, Claudio Villa, Nilla Pizzi. L’avanguardia erano Marino Marini e Renato Carosone. «Poi, all’improvviso, arrivano dischi con una musica incredibile: in crescendo, Banana Boat di Harry Belafont e, Only You dei Platters e finalmente il rock: Tutti Frutti di Little Richard. Su venti ragazzi, alle feste, ce n’erano due che sapevano ballare il rock e tutti gli altri attorno a guardare e a battere le mani…». Little Tony, pseudonimo di Antonio Ciacci, era nato a Tivoli il 9 febbraio 1941 ed è morto a Roma il 27 maggio 2013, a 72 anni. Cittadino della Repubblica di San Marino, di famiglia sammarinese da sette generazioni, e con i genitori entrambi originari di Chiesanuova, è vissuto sempre in Italia, ma non ha mai richiesto la cittadinanza italiana. La sua salute iniziò a vacillare il 23 aprile 2006: durante un concerto a Ottawa è colpito da un infarto. Non fu però il suo «cuore matto» a stroncarlo, bensì un tumore ai polmoni, che gli è costato un lungo ricovero presso la clinica di Villa Margherita, a Roma, dove è stato accudito per tre mesi prima di spegnersi. Aveva fatto la sua ultima apparizione in tv il 9 marzo 2013, nel programma I migliori anni di Carlo Conti, cantando Riderà e Cuore matto.

Little Tony ha avuto un solo grande amore: Giuliana Brugnoli, assistente di volo conosciuta nei primi anni Sessanta, sposata nel 1972 e scomparsa neli993, anche lei a causa di un tumore. Dalla loro unione è nata l’unica figlia Cristiana, nel 1974. Nel 1958, durante uno spettacolo allo Smeraldo di Milano, era stato notato da un impresario inglese, Jack Good. che lo convinse a partire con i suoi fratelli per l’Inghilterra. È qui che Antonio assume il nome d’arte di Little Tony, come omaggio a quello di Little Richard. Nasce anche il gruppo Little Tony and his Brothers. Gli spettacoli hanno un successo tale da spingerlo a rimanere in Inghilterra per qualche anno. Il vero trionfo arriva nel 1966, quando portò al Cantagiro Riderà, che non vinse, ma vendette più di un milione di copie. Durante la sua ultima apparizione televisiva Little Tony aveva ricordato il giorno in cui andò a fare le prove per poi incidere Cuore matto, ed era poco convinto della canzone, che considerava una «canzoncina», e inoltre aveva già inciso Riderà; dopo le prove si sedette e dietro di lui sentì una voce dirgli: «Hai una canzone che venderà milioni di dischi, è un’idea fantastica!» Quella voce era di Domenico Modugno. Alla fine quasi nessuno, nel mondo dello spettacolo e perfino tra i suoi colleghi, sapeva del suo stato fisico, della malattia che lo aveva sfigurato. Su Little Tony, un tempo così bello e amato dalle ragazze, vigeva una sorta di mistero.