La radio sta andando incontro a una grande evoluzione, sia in termini di piattaforme su cui si può fruire dei suoi contenuti sia nelle modalità di realizzazione di questi ultimi. Ultima sfida, che può tradursi in una minaccia, è quella degli smart speaker, gli altoparlanti intelligenti, mentre è già chiaro che la concorrenza arriva da operatori come Spotify, esterni al settore tradizionale.
Della radio e della sua evoluzione 4.0 si è parlato ieri al Palazzo Pirelli di Milano, sede della Regione Lombardia con gli operatori del settore. Massimo Lualdi, avvocato in ambito editoriale e fondatore della società di consulenza Consultmedia, ha spiegato come ci siano due tendenze nell’evoluzione mediatica della radio. La prima ha a che fare con gli aspetti crossmediali e con l’ibridazione con la tv. Il fatto che i ricevitori radio tradizionali siano ormai soltanto nel 45% delle case italiane (e quasi assenti nei locali pubblici) sta per esempio spingendo sull’utilizzo della tv come veicolo di trasporto delle emittenti con la cosiddetta visual radio (adatta anche agli smartphone). Oggi quasi tutte le emittenti nazionali hanno qualche forma di visual radio e al digitale terrestre si sono avvicinate da un po’ anche le emittenti locali. Si va dalla radiovisione pura di Rtl 102,5 a canali con il marchio della radio ma con programmazione autonoma (Radio Italia o Deejay, per esempio) fino a trasmissioni con audiografica dinamica (copertine dei dischi o altri contenuti simil-web) o statica.
La seconda tendenza, ha spiegato Lualdi, è la diffusione del podcasting e degli smart speaker. Questi ultimi possono essere considerati «i successori dei ricevitori fm» ed essendo arrivati in Italia da poco (Google Home prima dell’estate e Amazon Echo qualche settimana fa) saranno uno dei più probabili regali di Natale diventando i principali dispositivi sui quali consumare i contenuti audio in casa insieme con i televisori. Attenzione poi a quello che sta accadendo sulle auto dove, se è vero che ancora domina l’Fm, i cruscotti connessi saranno perlopiù governati dagli stessi assistenti vocali degli smart speaker, quindi il discorso è simile.
La diffusione dei podcast per le radio può significare invece lo sfruttamento dei contenuti in maniera non live e quindi con una coda lunga di possibili ascoltatori. Una modalità per contrapporsi a chi fa dell’on demand la sua forza, ma con contenuti originali che questi servizi online non possono avere. Spotify, infatti, rappresenta per le radio quello che Netflix ha rappresentato per le tv, che non si sono accorte di ciò che stava accadendo fino a quando il servizio di tv on demand non è diventato il più grande operatore al mondo del settore.
Sugli smart speaker le radio possono arrivare live tramite gli aggregatori (uno italiano è Fm World, presente al convegno) così come direttamente attraverso le proprie «skill» per Amazon Alexa o le «action» di Google Home. «Il problema non è più il mezzo», ha detto Gian Luca Busi, il ceo di 22Hbg che fra le altre cose realizza skill e action per le emittenti e non solo. «Come è accaduto anni fa con il seo per le pagine web (l’ottimizzazione per i motori di ricerca per farsi trovare in internet, ndr), così chi fa radio deve iniziare a cambiare il proprio contenuto e farsi trovare».
Italia Oggi – Andrea Secchi