Il colosso che controlla, fra gli altri, il fenomeno “Arena of Valor” continua a rilasciare sistemi per controllare i giocatori più giovani e combattere le dipendenze: entro l’anno 10 titoli richiederanno i documenti e il controllo incrociato con le autorità
In teoria, le applicazioni in vendita sui negozi di applicazioni per smartphone hanno ben chiara l’indicazione dell’età minima a cui sono rivolte. Voci come “4+”, “12+” e così via, che replicano anche su mobile (ma solo per il Google Play Store) la classificazione Pegi, la “Pan European Game Information” usata in quasi tutta Europa per organizzare i videogiochi attraverso cinque categorie di età e otto descrizioni di contenuto, danno l’idea di chi possa scaricarle. Fornendo così un’indicazione a genitori e adulti, oltre che agli stessi piccoli videogiocatori. Eppure, come noto e come capita anche in altri ambiti come la presenza sui social network, si tratta di soglie solo formali. Nella sostanza tutti giocano a tutto, chiunque può iscriversi a Facebook (che pure, nell’indicazione sull’App Store segnala 12+ sebbene in Italia ne sarebbe vietata l’iscrizione, e dunque l’uso, al di sotto dei 14 anni) e il Far West rimane più o meno in mano alle solite, inefficaci autoregolamentazioni.
Ma come si fa a controllare davvero l’identità di un ragazzino che scarica un’app o passa ore davanti a un gioco per smartphone? Sempre Facebook ci ha provato con un sistema di verifica che tuttavia non funziona, perché prima di tutto implica l’assoluta onestà di chi si iscrive (assume cioè che non menta sulla data di nascita) ma soprattutto limita a un link di autorizzazione inviato a un indirizzo e-mail l’eventuale via libera del genitore (che potrebbe essere chiunque). Su Instagram, invece, non c’è neanche questo piccolo ostacolo. Il colosso cinese Tencent Holdings, al contrario, ha deciso di prendere la questione di petto e usare le maniere forti. Non tanto per evitare l’iscrizione dei bambini quanto per limitare il tempo che trascorrono di fronte a un’applicazione.Presto, infatti, metterà in campo un sistema per restringere il tempo trascorso dai suoi piccoli utenti cinesi – quelli sotto i 12 anni – a un’ora al giorno. Si parte dal gioco “Honor of Kings” – noto in realtà come “Arena of Valor” – arrivato in Europa (anche in Italia) e negli Stati Uniti la scorsa estate e nella Repubblica popolare considerato da tempo “una droga”. Il simil-moba (cioè “multiplayer online battle arena”) ricorda le logiche di League of Legends (prodotto da Riot Games, controllata dalla stessa Tencent, ne è di fatto una versione mobile) o Vainglory. Pur lanciato nel 2015 nel giro del 2017 “Wangzhe Rongyao”, questo il titolo cinese, ha raccolto qualcosa come 200 milioni di utenti. Dando vita a clamorosi fenomeni di divismo in salsa eSports: lo scorso febbraio Zhang “Lao Shuai” Yuchen, uno dei più forti giocatori, ha cambiato “squadra” per 1,2 milioni di dollari. Proprio come accade nel calcio.
Da tempo Tencent – pachiderma che controlla prodotti come WeChat, il portale e la chat QQ, il social per i ragazzini Tik Tok (ex Musically) e un’infinità di altre piattaforme oltre alle case di produzione di videogiochi come la finlandese Supercell, la statunitense Riot Games e il 40% della Epic di Fortnite – sta tentando di combattere questi fenomeni di dipendenza. Lo scorso mese, per esempio, aveva testato l’uso delle fotocamere degli smartphone per riconoscere l’età dei giocatori e, nel caso, far scattare il blocco di un’ora che in realtà era già stato introdotto lo scorso anno. Insieme al limite di due ore per gli adolescenti fra 13 e 18 anni. Per giocare, altro elemento, era già necessario registrarsi col proprio nome.
Adesso il meccanismo di blocco – anzi, limitazione – degli under 12 sta per farsi ancora più rigido. D’altronde troppi ragazzi ci trascorrono intere giornate, saltano la scuola e non dormono per rimanerci attaccati di fronte a “Wangzhe Rongyao”. Alla pari di come le cronache hanno raccontato di Fortnite e altri titoli. Il nuovo sistema, che per i baby utenti bloccherà inoltre l’accesso all’app fra le 9 di sera e le 8 del mattino, va oltre l’uso del nome reale e il confronto delle immagini. Sarà infatti necessario che ogni giocatore, sia vecchio che nuovo, carichi sui suoi server la carta d’identità. Questi documenti saranno poi confrontati con i database governativi, inclusi quelli delle forze dell’ordine. Un gioco da ragazzi in un Paese in cui col riconoscimento facciale diffuso si acciuffano i latitanti fra folle di decine di migliaia di persone.
“La protezione dei minori è un compito importante che riguarda l’intera società – ha spiegato un portavoce al WSJ – Tencent ha un alto livello di responsabilità e di obblighi in questo senso”. Potrebbe trattarsi di un lavoro colossale: i giocatori – non di Honor of Kings ma di tutti i titoli e delle piattaforme cinesi – potrebbero superare il miliardo, e al momento sono 604 milioni. Non è un caso che il colosso guidato da Ma Huateng, l’uomo più ricco di Cina, abbia deciso di applicare lo stesso genere di restrizioni a 10 giochi per smartphone entro l’anno e a tutti i propri titoli – dunque anche a Fortnite, sbarcato a Pechino la scorsa estate – nel giro del 2019. Funzionerà?
Simone Cosimi, Repubblica