Ma che cos’è l’intelligenza emotiva? Lo psicologo di fama mondiale Daniel Goleman la definisce come la capacità di riconoscere i propri sentimenti e quelli degli altri e di saper gestire le emozioni in modo efficace. Una qualità più rara di quanto si possa pensare e di difficile valutazione, dato che secondo un team di studiosi della Yale University viene sovrastimata dall’80% delle persone.
La quotidianità è costellata di esperienze emotive: se ne vivono oltre 500 al giorno, ma si è coscienti solo di una piccola frazione. Tuttavia, esse danno un tono a ogni interazione: questa consapevolezza porta a capire la necessità di esplorare le emozioni sul posto di lavoro, motivo per cui l’intelligenza emotiva è diventata un’abilità chiave di aziende e leader che, se coltivata attraverso programmi ad hoc, può migliorare anche del 70%.
Un’importanza sottolineata anche dai protagonisti del mondo delle imprese: “Da decenni s’indaga sull’intelligenza emotiva, che oggi rappresenta un elemento imprescindibile per districarsi in un mondo in continuo mutamento, caratterizzato da un’economia globale e da cambiamenti demografici che rendono sempre più diversificate le tipologie di clienti – afferma Stefano Biaggi, Amministratore Delegato di Sodexo Italia – L’ambiente di lavoro e le relazioni che si instaurano giocano un ruolo importante nel permettere alle persone di esprimere lo spettro completo delle emozioni. Esistono tecniche per comprendere e misurare le emozioni: attraverso i dati psicografici raccolti con la metodologia di Personix è possibile delineare le motivazioni dominanti tra i dipendenti dell’azienda, relative ad attitudini, stile di vita, personalità e valori. In questo modo cogliere le aspettative dei dipendenti legate all’erogazione di servizi.
Per il prof. Cary Cooper della Manchester Business School, noto docente esperto in psicologia organizzativa e della salute, la recessione ha segnato un prima e un dopo nel mondo lavorativo. Meno persone svolgono più lavoro, di conseguenza sono più incerte rispetto all’occupazione e si sentono meno valorizzate, ma come uscire da questa impasse valorizzando le risorse più dotate d’intelligenza emotiva? “La base dell’IE nelle organizzazioni è avere dei manager in grado di tradurre le loro forti competenze sociali e interpersonali in comportamenti e strategie di leadership – ha rivelato il prof. Cooper – Questo crea le adeguate condizioni psicologiche e fisiche per far sentire i collaboratori motivati, apprezzati e degni di fiducia”.
Secondo lo psicologo Goleman, inoltre, oggi si tende a essere meno pazienti nei confronti dei leader ritenuti “cattivi capi”, ovvero coloro che non sono capaci di ascoltare, guidare e condividere i meriti. Questo è vero soprattutto per Millennials e Generazione Z, parte della forza lavoro in rapida crescita. Ma a chi si devono affidare le aziende per migliorare? “Decenni di studi hanno dimostrato che i leader e i team migliori sono quelli con elevate capacità emotive e sociali, tra cui padronanza di sé, resilienza sotto stress, empatia, influenza e lavoro di squadra – ha affermato il dott. Goleman – Queste sono le competenze che contraddistinguono i migliori performer del ventunesimo secolo”.
Per creare un ambiente di lavoro emotional-friendly innanzitutto occorre aumentare l’intelligenza emotiva all’interno delle organizzazioni assumendo talenti con maggiori competenze di IE. Inoltre, pratiche come l’experience design possono aiutare a scoprire i bisogni e le motivazioni dei lavoratori e a capire come migliorare la loro esperienza lavorativa.
Negli ambienti incentrati sulla persona i collaboratori si sentono più apprezzati e connessi all’organizzazione e sono incoraggiati a esprimere e condividere le proprie emozioni e possono, conseguentemente, dare il meglio al lavoro a beneficio delle persone, del team e dell’intera organizzazione. Creare spazi dove le persone possano lavorare in privato o prendere una pausa sono, per esempio, caratteristiche di un ambiente emotivamente intelligente.
Per valorizzare al meglio l’intelligenza emotiva in azienda, ecco i 4 ambiti che compongono il modello delle competenze dell’intelligenza emotiva e sociale realizzato da Richard Boyatzis, professore di economia alla Case Western Reserve University e da Daniel Goleman, che analizza il punto di vista dei lavoratori e delle aziende:
1) Autoconsapevolezza (sapere cosa sento e perché lo sento)
– Dal punto di vista del lavoratore: è segno di maggiori possibilità di successo.
– Dal punto di vista dell’azienda: le imprese con più collaboratori autoconsapevoli hanno performance migliori delle altre.
2) Autogestione (gestire le emozioni stressanti e individuare le emozioni positive)
– Dal punto di vista del lavoratore: le persone che gestiscono efficacemente le proprie emozioni subiscono meno lo stress correlato al lavoro.
– Dal punto di vista dell’azienda: i leader che gestiscono bene le emozioni ottengono risultati migliori.
3) Consapevolezza sociale (riconoscere ed empatizzare con le emozioni altrui)
– Dal punto di vista del lavoratore: l’80% degli impiegati pensa che l’empatia sul lavoro debba aumentare.
– Dal punto di vista dell’azienda: l’abilità dei leader di essere empatici è correlata a maggiori profitti e produttività.
4) Gestione delle relazioni (lavorare efficacemente con gli altri, risolvere i conflitti, ispirare e motivare)
– Dal punto di vista del lavoratore: il 46% dei professionisti crede che le amicizie sul lavoro siano importanti per essere felici.
– Dal punto di vista dell’azienda: per il 77% dei lavoratori è importante essere in buoni rapporti con i colleghi.
ANSA