Negozi chiusi di domenica, nuova tornata di audizioni alla Camera. Sul tavolo dei parlamentari ci sono le diverse proposte di legge che riportano limiti alle aperture la domenica e nei giorni festivi degli esercizi commerciali, delegando agli enti locali la loro regolamentazione nell’ambito di indicazioni di massima. A inquadrare il problema è stato l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, che ha sitetizzato gli effetti della liberalizzazione degli orari di apertura la domenica e nei giorni festivi: “Ha cambiato le abitudini di consumo degli individui e delle famiglie rendendo possibile la suddivisione degli acquisti sull’intero arco settimanale; ha contribuito all’aumento dell’occupazione ma anche alla segmentazione del mercato del lavoro; congiuntamente con la crisi economica, potrebbe aver concorso a mettere in difficoltà alcuni piccoli esercizi commerciali; ha contribuito, insieme alle altre norme di liberalizzazione del commercio, all’attuale assetto della grande distribuzione organizzata e a una diminuzione della frammentazione del settore”.
Per l’Autorità dei conti pubblici è stato audito informalmente il presidente Pisauro, che ha ricordato come il tema sia dibattuto e di difficile soluzione perché richiede “un adeguato equilibrio tra le esigenze dei consumatori, la tutela di chi lavora nei giorni festivi e la libertà di concorrenza e di scelta delle imprese”. Oltre a ripercorrere i dati già presentati dall’Istat, l’economista ha offerto un confronto continentale spiegando che nell’Ue (dati 2015) hanno lavorato in media almeno una domenica al mese il 30 per cento dei lavoratori, in crescita dal 27,5 del 2005 e dal 28 del 2010. I paesi con le percentuali più elevate sono Svezia, Finlandia, Danimarca (che si collocano tra il 43 e il 47 per cento) e Irlanda e Regno Unito (entrambi appena sotto il 40 per cento). L’Italia si pone al quintultimo posto con il 24 per cento di lavoratori domenicali, di cui circa il 17 per cento impegnati per almeno tre domeniche al mese. Percentuali inferiori sono presenti solo in Germania, Cipro, Portogallo e Austria, paesi che ad eccezione del Portogallo prevedono la chiusura domenicale con deroghe per le zone turistiche o alcune categorie merceologiche”. In Italia, negli ultimi anni, il fenomeno è diventato sempre più “pervasivo” e nel tempo “le modalità di impiego domenicale del lavoro dipendente” si sono avvicinate “a quelle con cui il fenomeno ricorre già da tempo nel lavoro indipendente (ovviamente con le diversità dovute alle forme contrattuali, ai contratti di riferimento, ecc.)”.
Quanto agli impatti economici delle domeniche aperte, l’Upb ricorda che in generale le liberalizzazioni avvicinano alla “concorrenza perfetta” della teoria economica e dunque migliorano il benessere globale. L’Upb ha riconosciuto che, in base alla letteratura, “sembra esservi un consenso sull’impatto positivo che la deregolamentazione delle aperture domenicali ha sull’occupazione; più controversi sono i risultati sulle altre variabili economiche”. Pur con le molte incertezze che rendono difficile l’analisi, l’Ufficio ha stimato che “nella media dei paesi Ocse le passate liberalizzazioni degli orari di apertura degli esercizi commerciali hanno avuto impatti positivi sull’occupazione, mentre quelli sulle vendite e sui prezzi non sono statisticamente significativi” e ancora che “per quanto riguarda la riforma effettuata in Italia nel 2011, si riscontra un effetto espansivo sull’occupazione, più forte rispetto a quello medio associato alle riforme in altri paesi, come la Francia, la Germania e la Finlandia”.
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