C’erano una volta / Gian Marco Moratti

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Il padrone che dava ai poveri perché era nato tra i ricchi

Erede di un impero miliardario, il petroliere milanese si imponeva di essere generoso con i meno fortunati e di rimanere «quasi anonimo». Anche per difendersi dai nemici

Gian Marco Moratti

(di Cesare Lanza per LaVerità) Credo che alla radice della mia ammirazione per Gian Marco Moratti ci sia un movente psicologico. L’ho conosciuto per una curiosa ragione – sulla quale non mi soffermerò più di tanto – a metà degli anni Settanta, e rimasi subito colpito da una sua (rarissima) qualità: era l’uomo più mite e buono che avessi mai conosciuto! All’epoca ero pieno di difetti (ne ho mantenuti alcuni, pochi), ero superbo ed egocentrico, arrogante, insolente e ribelle con i miei genitori, mi piacevano le donne in maniera sfrenata, e ancora più conquistarle, giocavo d’azzardo, sciupavo il denaro, avevo molte malizie, ero pessimista, negativo, autodistruttivo. A mia discolpa: non mi drogavo e non mi ubriacavo e neanche fumavo, ma il resto c’era tutto o quasi. Ebbene, quale enorme differenza con Gian Marco! Lui era visibilmente l’esatto opposto: educato, generoso, rispettoso ver so tutti (in particolare verso gli umili e i poveri), realista, positivo, religioso, col culto della famiglia, in particolare legatissimo al padre. La curiosa circostanza era questa: ebbi una importante relazione con la sua prima moglie, Lina, da cui aveva divorziato, e così ci conoscemmo e ci frequentammo. Mi aveva detto, incontrandomi: «Sono contento perché a fianco di Lina c’è un uomo serio». Sorrisi e non replicai anche se pensavo che tutto si potesse dire di me tranne che fossi «serio».

I giorni più belli erano quelli del week end, per le partite di calcio che giocavamo nella sua casa di campagna: non me la cavavo male, mi piaceva divertirmi col «doppio passo» e Gian Marco ridendo mi copriva di complimenti sinceri, ma esagerati. Poi si faceva il bagno in piscina, spesso colfiglio primogenito, il piccolo Angelo che ammiravo per il carattere e il senso del sacrificio, simili a quelli di Gian Marco (per timore dei rapimenti, all’epoca quasi un’abitudine orribile in Italia, un anno il ragazzino cambiò scuola tre volte, da Milano in Svizzera e poi in Inghilterra). Giorno per giorno apprezzavo Gian Marco sempre di più, forse perché lui era riflessivo e profondo e io superficiale e svagato: capitava di chiacchierare su tutto e lo prendevo in giro per il suo pessimismo, solo col passare degli anni ne ho capito e stimato le ragioni. Disprezzava la classe politica, l’abitudine alla corruzione, l’incuranza per il debito pubblico, e prevedeva – con 25 anni di anticipo! – il disastroso destino del nostro Paese. L’aspetto fondamentale nel suo carattere, e nel sobrio stile di vita, era la consapevolezza di essere un uomo fortunato e privilegiato, per aver ereditato dal padre un impero miliardario: di conseguenza considerava un dovere primario non solo impegnarsi per essere all’altezza del compito, ma anche occuparsi con generosità e positività degli infelici, poveri o ammalati, comunque bisognosi di aiuto. Senso del dovere, spirito di sacrificio: sono le prime parole che mi vengono in mente, quando penso alla sua vita esemplare, ora che non c’è più.

Da sinistra, Gian Marco e Massimo Moratti

Era nato a Genova il 29 novembre 1936, è morto a Milano il 26 febbraio 2018. È stato presidente della Saras, società petrolifera ereditata dal leggendario padre Angelo. Secondo figlio, fratello di Adriana, Massimo, Bedy, Gioia e Natalino. Sposato due volte, con quattro figli: Angelo e Francesca, avuti dal primo matrimonio con Lina Sotis, giornalista e scrittrice di grande successo, e Gilda e Gabriele, nati dalle seconde nozze con Letizia Brichetto Moratti, ex sindaco di Milano, dopo una brillante carriera da manager. Angelo, nato nel 1963, è vicepresidente della Saras, Gabriele, classe 1978, attualmente fa parte dei cda della Saras e della società vinicola Castello di Cigognola. Le figlie hanno preso strade diverse: Francesca, nelle pubbliche relazioni della moda; Gilda nel mondo dell’arte.

Le due mogli di Moratti sono personaggi centrali nell’élite di Milano e famose in tutta Italia, conosciute al grande pubblico molto più di lui. Gian Marco non amava affatto le ribalte e la luce dei riflettori. Era elegante e riservato, poco propenso alla vita mondana. Si era laureato a Catania in giurisprudenza ed era cresciuto all’ombra del padre, un genitore ingombrante. Da lui ha ereditato dal padre la Saras (Società anonima raffinerie sarde), gruppo con un giro d’affari di quasi 6 miliardi di euro (bilancio riferito ai primi 9 mesi del 2017) e ne ha ricoperto la carica di presidente fino alla scomparsa. Con il fratello Massimo è stato socio accomandatario e vicepresidente della Angelo Moratti spa. Saras elenca fra i clienti le multinazionali del petrolio Shell e Repsol, Total e Q8, Tamoil e, naturalmente, l’Eni. Moratti ha avuto successi e soddisfazioni, ma anche dolore e angoscia per alcune vicende drammatiche: tre operai morti durante un lavoro di manutenzione, nel 2009 a Sarroch, con proteste vibranti dei sindacati; un altro incidente, con un morto e due feriti, due anni dopo. Libri e film accusarono Saras di danni all’ambiente e conti in rosso in quegli anni. Nel 2013 l’assetto azionario della famiglia fu smontato per fare entrare i primi investitori esterni, i russi di Rosneft. Gian Marco ha ricoperto diversi incarichi, per indicarne la varietà e la sua vocazione all’impegno vanno elencati: presidente dell’Unione petrolifera; componente del comitato ministeriale per l’industria e l’ambiente; componente del comitato interministeriale per il coordinamento dell’emergenza energetica; componente del comitato nazionale di coordinamento contro l’abuso di droghe; componente del consiglio di amministrazione del Corriere della Sera e della Banca nazionale del lavoro, presidente di Norman Kraig & Kummel italiana, membro del consiglio direttivo dell’Università Bocconi.

Da sinistra, Letizia e Gian Marco Moratti

Annotazioni a parte riguardano l’Inter, a cui era legato, come tutta la famiglia, nel ricordo dei fantastici successi ottenuti dal padre, quando l’allenatore era il cosiddetto «mago» Helenio Herrera e nella squadra nerazzurra figuravano campioni come Burgnich e Facchetti, Picchi e Mazzola, Suarez e Corso. Pochi sanno che Gian Marco era il socio più anziano, avendo ricevuto le prime azioni a 12 anni. Il grande pubblico dei tifosi e comunque degli sportivi conosce soprattutto suo fratello Massimo, presidente dell’Inter fino al 2014. Gian Marco, tifoso ma riservato come sempre, ha preferito restare nell’ombra anche in questo settore, mentre Massimo, impulsivo e decisionista, acquistò l’Inter e riuscì a emulare il padre e a superarlo nella conquista di primati e trofei. La passione per il vino è la più recente e lo aveva portato nell’Oltrepò. L’azienda Castello di Cigognola, di proprietà di Gian Marco e Letizia, si trova sulle colline a sud del Po. L’attività si sviluppa intorno a un forte del XII secolo – oggi patrimonio storico Fai – circondato da 40 ettari, di cui 23 votati a Barbera, Pinot nero e Nebbiolo, con attenzione a minimizzare l’impatto ambientale. Tra i vini, prodotti con la regia dell’enologo Riccardo Cotarella, si distinguono oltre a: due Barbera (La Maga e Dodicidodici), il Nebbiolo «Per papà», dedicato ad Angelo Moratti, riferimento sempre fondamentale nella vita di Gian Marco. Essenziale anche l’istituzione del centro di San Patrignano, per il recupero dei giovani tossicodipendenti. Ogni anno, da quando conobbe il fondatore Vincenzo Muccioli, Moratti verso cifre straordinarie per la comunità attigua a Rimini. Insieme con Letizia (che oggi se ne occupa quasi a tempo pieno), vi trascorreva o week end e altre vacanze. Una seconda famiglia. Una volta Gian Marco ha detto: «Seguo ancora quello che mio padre mi ha insegnato. Era un concentrato di buon senso, non si avventurava in speculazioni. Quando abbiamo fondato la società, nel 1962, mi nominò consigliere delegato, temeva che andassi in America. Ora la nostra è la più grande raffineria del Mediterraneo. Il primo giorno papà mi disse: “Se sei conosciuto e hai successo ti fanno fuori”. Sono tutt’altro che muto, ma ho cercato di far parlare di me il meno possibile. E ho vissuto bene».

Da sinistra, Angelo e Gian Marco Moratti

Sono significative alcune attestazioni, di stima e di affetto, nel giorno della sua morte. Silvio Berlusconi: «Ho appreso con profondo dolore la notizia. Un grande imprenditore, un grande filantropo, un grande protagonista della vita civile di Milano e dell’Italia. Ne ricordo commosso il garbo, la discrezione, l’impegno fattivo per le sue aziende ma anche per i più deboli, per i ragazzi vittime del disagio di un’epoca complessa come la nostra. La sua figura rimarrà come un modello per le nuove generazioni di imprenditori, e come emblema di una Milano sobria e concreta». Il saluto commosso di Letizia: «Il nostro amore non conosce i limiti del tempo e dello spazio. Siamo stati e saremo sempre uniti. Sei stato la mia vita e so che dal cielo continuerai a vegliare su di me e a proteggermi». E ancora: «Non avrei fatto nulla senza di lui». Lina Sotis: «Era un ragazzo speciale. È una storia di 50 anni fa ed è una bella storia». Il sacerdote Stefano Bordignon: «Non faceva il bene per ostentazione, ma per nobiltà d’animo». Carlo Sangalli, presidente della Camera di commercio di Milano: «È stato un grande imprenditore capace di voltarsi indietro per dedicare tempo ed energie a chi è in difficoltà e agli ultimi». Giovanni Malagò, presidente del Coni: «Dire che era un gentiluomo è dire poco… Una persona da cui c’era solo da imparare». Vorrei concludere, in sintesi. Hanno scritto che il profilo basso è sempre stato una sua caratteristica: «Allergico alla mondanità, refrattario alle interviste, più a suo agio con i ragazzi di San Patrignano che nei salotti di Milano». Era anche un uomo d’affari di qualità. «Si occupava di petrolio e del petrolio sapeva tutto. Conosceva tutti i protagonisti di quel mondo, era al corrente di tutte le novità». Intrigante il confronto con Berlusconi. «In un certo senso si può dire che è stato una delle due facce del milanese di successo: Berlusconi avido di palcoscenico e di trionfi, Gian Marco discretissimo, quasi anonimo. In città si è spesso discusso se avessero più soldi i Moratti o Berlusconi. E la cosa ovviamente non è mai stata chiarita. Ma Gian Marco lasciava volentieri a Berlusconi la ribalta. Per sé non voleva niente. Gli bastavano il suo lavoro, la famiglia. Ma c’era sempre». Ciò che forse mi piace di più è questa t estimonianza: quando dovevano assumere qualche collaboratore, i Moratti gli spiegavano che a fronte di una fedeltà e correttezza e dedizione al lavoro, avrebbero pensato loro a ogni problema: scuole dei figli, alloggio, malattie.