Un’inchiesta del quotidiano americano rivela che centinaia di donne nel sud Italia cuciono abiti di luxory brand italiani
Donne in casa, in nero, senza assicurazione e senza contratto che cuciono per ore, mesi (o addirittura anni) preziosi capi d’abbigliamento per le più svariate marche di abbigliamento rigorosamente Made in Italy. Questa l’accusa del NY Times lanciata con un’inchiesta dal titolo “Inside Italy’s Shadow Economy” dove si affronta il problema del lavoro in nero in Puglia. Accade a Santeramo in Colle, in provincia di Bari, e a Ginosa, in provincia di Teramo. Il lavoro – scrivono i reporter Elizabeth Paton and Milena Lazazzera – totalmente in nero e pagato come in una qualsiasi fabbrica in Cina di chissà quale brand di fast fashion, permetterebbe a queste donne di avere piccole ma continue entrate di denaro, a condizioni inaccettabili. Fendi, Max Mara, Gucci, Prada e Salvatore Ferragamo sono solo alcuni dei brand nominati nell’inchiesta. Pronta la replica del presidente della Camera della moda, Carlo Capasa: “La Puglia non è il Bangladesh. Gli americani rosicano perché siamo sempre più bravi e avanti nella moda sostenibile”. Nell’inchiesta del giornale newyorkese emergono dettagli di storie di migliaia di donne che volendo mantenere l’anonimato dichiarano di cucire a casa e per poco più di 1 euro all’ora capispalla e abiti di famosissimi marchi di alta moda italiana. “Hanno attaccato questi marchi in maniera indegna, vergognosa e strumentale” – dice Capasa – “Per questo prepareremo una nota congiunta insieme agli avvocati. Se hanno trovato un reato c’è obbligo di denuncia, perché non l’hanno fatto?”. “So di non essere pagata quello che merito, ma qui in Puglia i salari sono molto bassi e alla fine mi piace quello che faccio”, ha dichiarato una cucitrice pugliese dal suo appartamento in cui lavora silenziosamente i preziosi capi per la collezione invernale 2019 di Max Mara. “L’ho fatto per tutta la vita e non potrei fare nient’altro”. Questa indagine del New York Times ha raccolto prove di circa 60 donne solo nella regione Puglia, che lavorano da casa senza un regolare contratto nel settore dell’abbigliamento. Tania Toffanin, l’autrice di “Fabbriche Invisibili”, un libro sulla storia dei compiti a casa in Italia, ha stimato che ci sono da 2.000 a 4.000 lavoratori domestici irregolari nella produzione di abbigliamento. In effetti, per le donne come l’anonima sarta di Santeramo in Colle, che sta lavorando a un altro soprabito sul tavolo della sua cucina, una riforma di qualsiasi tipo sembra molto lontana e ammette di non voler rinunciare a questo lavoro. Sarebbe devastata nel perdere questo reddito aggiuntivo, ha detto, oltre al fatto che il lavoro da sarta da casa le ha permesso di trascorrere del tempo con i suoi figli. “Cosa vuoi che dica?” dice la donna ai microfoni del NY Times con un sospiro chiudendo gli occhi e sollevando i palmi delle mani. “È quello che è. Questa è l’Italia”.
Vanessa Righetti, HuffPost