Con nove parole e 61 caratteri Elon Musk ha sconvolto la seduta di martedì di Wall Street e messo la sua Tesla sotto i riflettori, portandola a registrare un balzo dell’11% alla fine della giornata) sulla Borsa Usa. “Sto pensando di privatizzare Tesla a 420 dollari per azione”, ha cinguettato facendo anche presente di essersi assicurato i finanziamenti.
Vorrebbe dire valorizzare la società delle auto elettriche 71,3 miliardi di dollari, 82 miliardi incluso il debito. Sarebbe un premio del 20% rispetto alla chiusura di lunedì. Dal colosso delle auto elettriche non è arrivata nell’immediato nessuna conferma e nessuna smentita. I titoli Tesla sono stati sospesi per più di un’ora e quando ormai Wall Street stava per chiudere è giunta una precisazione via blog: Musk in una email ai dipendenti ha spiegato come a suo avviso una privatizzazione di Tesla è la strada migliore, anche se nessuna decisione definitiva è stata ancora presa. “Sarebbe una grande opportunità” e spazzerebbe via le “distrazioni” legate ai forti sbalzi del titolo in Borsa.
Anche fuori da Wall Street, Musk non lascerebbe la guida della fabbrica. In ogni caso, sapendo che c’è consenso, Musk si rimette al voto degli azionisti. L’operazione, precisa, non prevede nessuna fusione con SpaceX. A chi su Twitter ha chiesto a Musk se, una volta compiuto l’ipotetico delisting di Tesla, lui “manterrebbe il controllo dell’azienda”, il ceo ha risposto che “al momento” non ha una quota tale da avere il maggiore potere di voto “e non mi aspetterei che nessun socio lo abbia se diventiamo un’azienda privata”. Musk ha comunque precisato che non intende vendere le sue quote.
Il delisting di Tesla sarebbe una delle maggiori operazioni di leverage boyout della storia e non è chiaro come Musk, che ne controlla il 20%, riesca a raccogliere i 66 miliardi di dollari per realizzarla.
Pur nell’incertezza circa la sua portata effettiva, la sparata social ha superato nettamente i rumors lanciati dal Financial Times che già stavano mettendo le ali al titolo, ovvero che il fondo sovrano saudita avrebbe preso posizione nel colosso delle auto elettriche: Public Investment Fund avrebbe acquistato una quota fra il 3 e il 5% della società, partecipazione che vale circa 2 miliardi di dollari.
Bisogna considerare che il vulcanico Musk non è nuovo a uscite stravaganti sui social. Il primo di aprile ha twittato: “Tesla in bancarotta. Nonostante gli sforzi per raccogliere fondi, inclusa una vendita di uova di Pasqua, siamo tristi nell’annunciare che Tesla è andata completamente in bancarotta”. Si trattava di un pesce d’aprile, che però è costato a Tesla un tonfo in Borsa del 7%.
Come annota il quotidiano della City, le società Usa di rado sono obbligate a rispondere alle indiscrezioni di stampa. Ma quando prendono posizione – o lo fanno per esse i loro rappresentanti – devono riportare informazioni veritiere, diversamente possono incappare nell amanipolazione di mercato. Un avvocato di Wall Street citato dal Ft dice senza mezzi termini: “Musk non può assolutamente fare una falsa dichiarazione su Twitter e pensare di non passare dei problemi. Sarebbe una chiara e semplice violazione delle regole”. Se dovesse emergere che il tweet in questione è una dichiarazione ingannevole, Musk incorrerebbe nella violazione del Securities Exchange Act che risale al lontano 1934. Dalla Sec non sono per ora giunti commenti.
La precisazione ufficiale, in questo caso, fa capire però che non è uno scherzo di mezza estate. Musk ha più volte attaccato gli short seller, quelli che scommettono contro il titolo vendendolo allo scoperto, criticandoli duramente e inserendoli nella categoria delle organizzazioni che vorrebbero vedere la società morta. Inoltre una privatizzazione consentirebbe a Tesla e soprattutto a Musk di esimersi dalla pressione del mercato per dimostrare di poter centrare gli obiettivi di produzione del Model 3, l’auto elettrica per il grande pubblico e cruciale nei piani di Tesla per balzare in utile. Obiettivi che si sono scontrati con una serie di difficoltà in termini di produzione, alimentando i timori che la società stesse bruciando troppo capitale troppo rapidamente.
Repubblica.it