Fuoriclasse in campo e in tv marcato a uomo da Sandra
Il comico aveva una grande passione per il calcio: intitolò la sua squadra alla Mondami Ci giocai contro, mi impressionò per la sua lucidità e la tecnica. Ma quanto menava…
Non solo calcio però. Ecco la testimonianza del giornalista Gigi Vesigna: «Si parlava di sport. Non c’era sport che non conoscesse profondamente. Quando alle Olimpiadi inserirono il curling, mi stupì spiegandomi regole e primati come se l’avesse inventato lui». Massimo Giletti: «In Sardegna, qualche anno fa, durante una serata speciale con sua moglie mi disse: fidanzati tanto, ma non sposarti mai, e cerca di giocare sempre a calcio». Nel 1946 il Palermo, che militava in serie B, gli offrì un contratto per 30.000 lire mensili. Rifiutò con dispiacere, per concentrarsi sulle ambizioni artistiche, ma continuò a giocare in terza categoria nella SaMo (dedicata a Sandra Mondaini), di cui fu anche presidente. A calcio ha giocato fino a 85 anni, nel campo di quartiere che oggi porta il suo nome, a Milano 2. Nel 1972, in concomitanza con i Giochi di Monaco, scoprì di avere un tumore (con l’asportazione di un rene). Raccontò: «Ho chiesto al chirurgo di spiegarmi come avrei passato i giorni successivi all’operazione: volevo capire se la posizione obbligata mi avrebbe consentito di guardare la tv. Temevo di dover restare prono, invece il chirurgo mi rassicurò: il taglio sarebbe stato davanti. Concordai col chirurgo le date dell’intervento in modo da poter seguire, da convalescente, le gare. Un’organizzazione perfetta». E nel 1982, quando passò a Mediasei, volle inserire nel contratto una clausola: le riprese sarebbero state interrotte durante il campionato mondiale di calcio, per permettergli di seguire le partite. Ho dedicato questo lungo spazio al calcio per onorare la sua memoria: nella sua vita il football ebbe un ruolo centrale, non esclusivo, ma prioritario. Lo capì bene Sandra Mondaini, che dovette lottare – con scaltrezza femminile – per riuscire a prevalere: «Di notte fissava la data del matrimonio e la mattina diventava vago», ha raccontato l’attrice. «Così un giorno scappai a Milano dalla mia mamma. Subito Raimondo mi telefonò annunciandomi che ci saremmo sposati il 28 maggio del 1962». E la prima notte di nozze, si racconta, Vianello la trascorse leggendo accuratamente la Gazzetta dello Sport.
Ma com’era la relazione di questa coppia, che tanto e per tanti anni, ha divertito il pubblico? «In Casa Vianello, Raimondo ci prova davvero con tutte e questo è intollerabile nella realtà», ha detto Sandra. «Poi magari le corna me le ha messe nella vita, ma se lo ha fatto lo ha fatto con classe e non me ne sono accorta». Replica di Raimondo con l’abituale ironia: «Se mi guardo indietro non ho pentimenti. Dovessi ricominciare, farei esattamente tutto quello che ho fatto. Tutto. Mi risposerei anche. Con un’altra, naturalmente». Più seriamente: «Sandra è una donna altruista. Molto buona, pure troppo. A volte qualcuno se ne approfitta, ma lei si dà completamente agli altri. È piena di sentimento nei confronti dei bambini. E con i nostri due filippini adottati, Raymond e Gianmarco, è davvero una mamma. Difetti? Non saprei… non è apprensiva né gelosa». Aveva incontrato la Mondaini nel 1957, entrambi erano già impegnati. Dopo qualche mese di tournée insieme lasciano i rispettivi partner senza consultarsi – e iniziano (1958) una relazione. Dopo tre anni la Mondaini lascia Vianello per tornare a Milano: lui infatti, come abbiamo visto, non considerava seriamente l’impegno del matrimonio. In quarantotto anni di matrimonio, una sola volta i giornali di gossip hanno scovato una storia trasgressiva: Raimondo avrebbe tradito Sandra con un’attrice e lei, per ripicca, gli avrebbe reso pan per focaccia con un musicista. Di entrambi i presunti amanti non s’è mai saputo il nome. La lievità distingueva il loro legame, con il reciproco senso dell’umorismo. Per il quarantesimo anniversario di nozze, lui regalò a Sandra una rosa, con un pacchettino e questo sobrio biglietto: «Con simpatia, Raimondo».
Vianello era nato a Roma il 7 maggio 1922. Il padre, Guido, era ammiraglio della marina del Re: lo portò con sé a Pola e, durante la seconda guerra mondiale in Dalmazia, a Spalato. Raimondo aderì nel 1945 alla Repubblica di Salò, fu catturato e detenuto nel campo di concentramento di Coltano (Pisa), tra luglio e settembre. Non rinnegò mai la sua scelta, anzi difese strenuamente la memoria dei suoi commilitoni. Aveva 23 anni. Poi si laureò in giurisprudenza, ma solo per compiacere il padre che lo voleva avviare alla carriera diplomatica, ma non esercitò mai la professione. Morì a Milano il 15 aprile 2010, quasi a 88 anni, per insufficienza renale. Marcello Marchesi ha raccontato la sua singolare capacità di non perdere mai la calma e di esprimersi scherzosamente: «Bombardamento. Batteria contraerea inceppata. Tutti via per i campi, lunghi distesi fra le zolle. Mentre l’inferno continua, Raimondo si alza, solleva una zolla meno dura delle altre, la soppesa, si guarda in giro e la getta con forza sull’elmetto di un artigliere, rannicchiato e tremante. “Aiuto… sono stato colpito… mamma!”. Raimondo si distende vicino a lui. “Non è niente. Sta’ tranquillo, sono stato io. Ti ho tirato un po’ di terra, sei contento? Di’ la verità: sei contento che sia stato io? Pensa se era una scheggia. Allegro, era uno scherzo”». Quando morì, lo hanno ricordato con affetto e rispettosa stima. Paolo Bonolis: «Lo ritenevo uno dei miei maestri. Una delle persone che ha sicuramente ispirato parte del mio comportamento. Aveva questa comicità molto inglese che mi ha sempre affascinato». Con valutazione analoga, Pippo Baudo: «Lascia una maniera leggera di interpretare questo mestiere, non ha mai voluto essere divo pur essendo immenso, da lui nessuna prosopopea, nessuna autoesaltazione, ma un senso della misura che oggi si è completamente perso. Negli ultimi tempi non parlava più, si era come assopito, ma recentemente ero riuscito a parlarci: se mi chiami per le condoglianze anticipate scherzò – hai sbagliato numero». Ed Ettore Bernabei: «Era in sintonia con la gente comune. Ne rappresentava la pazienza, la bontà, il voler dare una mano a tutti. La sua non era solo eleganza e buon gusto. In Vianello c’era qualcosa di più, un afflato umano, una grande umanità. Sempre misurato. Gli spettatori lo sentivano uno di loro. Fino all’ultimo… Era un grande artista. Ha accettato sempre di buon grado di fare da spalla, ma non era un numero due, riusciva a stare sempre allo stesso livello dei partner».
Infine, desidero citare Maurizio Costanzo: «Tanta malinconia, è da 50 anni che lo conosco. Mi consola il fatto che adesso, da qualche parte, si è ricostituita la famosa coppia Vianello e Tognazzi. È stata la prima persona che ho conosciuto quando ho iniziato a fare il mio lavoro… Lavoravo per un giornale e mi diede l’esclusiva del suo matrimonio con Sandra. Poi, mi sposai io, per la prima volta, e Vianello mi fece da compare di anello…». Vianello concludeva quasi sempre i suoi racconti con una battuta, ovviamente soffice. Negli ultimi trent’anni aveva deciso di lavorare con Mediaset. Ecco il suo ricordo: «Un giorno Silvio Berlusconi si presenta a casa nostra. Ci dice che è pronto a darci un programma, che ci aspetta a braccia aperte. A un certo punto gli chiedo se vuole bere qualcosa. Lui mi risponde: “Non avrebbe un panino?”… Mi venne un dubbio: ma questo è davvero miliardario?».