L’attore che non sopportava di essere bocciato come chef
Maestro della comicità, sensibile alla mediocrità della vita, con lui non ci si annoiava mai. Nella sua casa al mare tornei di tennis e gare di cucina. Ma guai a dargli brutti voti

(di Cesare Lanza per LaVerità) Ugo Tognazzi mi riporta, nei ricordi. alla stagione della mia temeraria giovinezza. Ero un pischello appena assunto al Corriere dello Sport, poco più di vent’anni, già sposato e già padre, e nelle stesse condizioni, stessa età e stessa situazione familiare, era un mio caro amico. Anche lui reporter nel quotidiano sportivo romano. Ci sentivamo padroni del mondo, con grande entusiasmo e scarso senso di responsabilità. In un torrido agosto a metà degli anni Sessanta, probabilmente con i soldi provvidenziali di una vincita a poker o ai cavalli (nella norma stentavamo ad arrivare alla fine del mese!), prendemmo in affitto una villetta a Torvajanica. Era attigua alla superba residenza di Ugo Tognazzi.
Torvajanica all’epoca era una deliziosa località di mare (pulito, incortamirato) e al centro dell’attenzione, in estate, c’era il viavai in casa Tognazzi – del bel mondo del cinema e dei giornalismo. In particolare, ad agosto, l’attrazione era rappresentata dal Ttt, sigla del torneo di tennis Tognazzi. La villa era ospitale e aperta a tutti, non solo ad attori famosi e a grandi firme del giornalismo. Il mio amico e io ci imbucavamo con ineguagliabile spudoratezza: rubavamo al volo qualche intervistina, accolti con simpatia dal grande attore padrone di casa e scroccavamo pranzi e cene. Solo a tennis non riuscivamo a farci ammettere, però assistevamo, con tanti altri spettatori, a sfide incredibili, protagonisti Vittorio Gassman e Michele Placido piuttosto che Philippe Leroy o Anthony Quinn, Franco Interlenghi e Giuliano Gemma.
Ugo aveva una passione fortissima per la cucina: ai fornelli io aveva battezzato e indirizzato un ottimo cuoco, Raimondo Vianello, suo amico e partner leggendario in televisione. Vianello però era severo e perfido nei giudizi sulla qualità dell’ambizioso chef. E Tognazzi si intristiva, ma non desisteva. La sua era una passione senza limiti. Aveva creato ur.a giuria, chiamata dei Dodici apostoli (formata da star del cinema) e pretendeva una pagella finale. I voti consentiti: si passava da buono e sufficiente a «cagata» e «grandissima cagata». Tognazzi spiava di nascosto la votazione e una volta in cui molti votarono «grandissima cagata» si appropriò delle schede: per darle a uno specialista di grafologia e individuare le firme dei critici più spietati. Nel torneo di tennis inventato da lui (un appuntamento imperdibiie che sarebbe durato più di vent’anni!), Ugo aveva messo in palio, come primo premio, un ambitissimo scolapasta d’oro.
Per descriverlo ho saccheggiato le opinioni dei figli e di un grande regista, Dino Risi, che forse ha scolpito fl ritratto più somigliante di Ugo Tognazzi: «Attore non attore, innamorato delle donne, della vita, della buona tavola. Fece un passo difficile, dal comico al drammatico. Molti ci provano, pochi ci riescono. A lui riuscì. Bello starci insieme, mai un momento di noia. Vero, sincero. Anche Gassman ne era contagiato: gli piaceva, era il contrario di lui. Ugo non sapeva quasi mai la parte. La inventava.» E il ricordo del figlio Ricky? «Mio padre ci ha regalato la gioia per il lavoro; era come un sarto, e con divertimento, rabbia e passione, portava a casa il cinema. Inoltre aveva una passione infantile per la vita.» Dino Risi stabilì anche un interessante confronto con Nino Manfredi. «Nino era un professore della scienza della risata. Tutto calcolato, ma in modo che sembrasse naturale. L’esatto contrario di Ugo, attore ruspante, se mai ce ne furono…» Ma Dino Risi era forse quello che lo aveva capito meglio di tutti: «Ugo era considerato un grande amatore, e lo era. Come Walter Chiari, aveva la qualità che piace alle donne, le faceva ridere. E poi, come mi confidò, il segreto era non andare sul difficile, trascurare quelle troppo belle, contentarsi. La donna col difetto é la migliore, aggiunse: costa meno e rende di più».
E lui, Ugo, cosa pensava di sé stesso? Nella maturità, aveva raggiunto una consapevolezza ammirevole: «Ciò che amo di più nel cinema, è la possibilità di analizzare, attraverso i miei personaggi, la mediocrità dell’uomo. Io riconosco a me stesso molte caratteristiche della mediocrità, ncn tutte naturalmente; così le mie, unite a quelle due o tre che figurano permanentemente nel personaggio, hanno fornito una sorta di annuario, di glossario della mediocrità umana». Con una insospettabile, e modesta, lucidità sulla sua vocazione professionale: «Come regista, non credo che diventerò mai un genio, se no lo avrei rivelato sin dal primo film. Mi manca l’invenzione folle, quel minimo talento un po’ pazzo che trovo indispensabile per il mestiere di regista.. Nei miei personaggi non c’è un reale pentimento ma c’è la desolazione, la disperazione in certi casi, e comunque un rimanere attonito di fronte alla manifestazione dei propri difetti.» Le riflessioni sulla mediocrità erano quasi una fissazione: «Sono sensibile alla mediocrità degli altri, questo mi è sempre servito quando ero attore comico di rivista: il mio personaggio aveva origine sempre nell’osservazione della mediocrità della vita e quindi degli uomini». Sull’amicizia: « Credo nell’amicizia nel modo più assoluto. Ma nel cinema, a Roma, l’amico non esiste. Non l’avrai mai al fianco». Sull’amore: «Amo le donne, non sarei capace di farne a meno. Ti danno entusiasmo e quando anche le lasci resta dentro di te una piccola parte di loro…. L’unico cibo afrodisiaco secondo me è la donna».
Tognazzi era nato a Cremona il 23 marzo 1922 e mori il 27 ottobre 1990 nel sonno, a soli 68 anni, per una emorragia cerebrale. La sua vita sentimentale è stata intensa e complessa (a parte le infinite conquiste) tra matrimoni, convivenze varie e figli da madri diverse. Nel 1954 si innamorò di una ballerina inglese della sua rivista, Pat O’Hara. Ebbe il figlio Ricky, che è poi diventato un popolare attore e regista. Con Pat non si sposò mai. Nel 1963 invece sposò Margarete Robsahm, attrice norvegese che aveva conosciuto come sua partner nel film Il mantenuto. Dall’unione nacque Thomas, che divenne produttore e regista. Con Margarete, Ugo visse tre anni, facendo la spola tra l’Italia e la Norvegia! A cinquantanni, si sposò con l’attrice Franca Bettoja, che aveva conosciuto sette anni prima. Nozze a Veiletri, dove i due vissero in una grande casa, poi aperta al pubblico per iniziative culturali. Nacquero dalla relazione due figli, Gianmarco nel 1967, anche lui popolarissimo attore; e Maria Sole, nel 1971, attrice e regista, che tra l’altro realizzò un bellissimo documentario sulla vita e la carriera del papà.
Il primo lavoro di Tognazzi fu come ragioniere nel salumificio Negroni. Gli inizi da attore, nel tempo libero, in una filodrammatica del dopolavoro aziendale. Presto si trasferisce a Milano e da lì, scoperto e ingaggiato nella compagnia di Wanda Osiris, parte la sua formidabile carriera. Nel 1950 esordio nel cinema in un filmetto di Mario Mattoli, I cadetti di Guascogna, al fianco di Walter Chiari. Il successo vero arriva in televisione, in coppia con Raimondo Vianello: dal 1954 al 1959 lavora per la Rai nel varietà Un due tre. Esplicito e popolare Ugo, snob e sottile Raimondo: risultato comico splendido. Memorabile il primo, clamoroso infortunio della satira televisiva: una drastica censura, la chiusura del programma. Esattamente il 25 giugno del 1959 Tognazzi e Vianello misero in burletta un infortunio nientemeno che del presidente della Repubblica alla Scala, rispettosamente ignorato dai principali giornali. Giovanni Gronchi, mentre si accingeva a un galante baciamano a una signora, scivoiò a terra, complice uno sventurato errore di un valletto: davanti al presidente francese Charles De Gaulle. 1 comici ripeterono la scena in televisione: Vianello tolse la sedia a Tognazzi, che cadde a terra. E Raimondo gli chiese: «Ma chi ti credi di essere?» Nessun nome, un’allusione che i due presumevano rivolta sola a una fascia elitaria del pubblico. Invece l’ilarità fu general ed enorme il clamore. La sera stessa fn cancellata la trasmissàone e Vianello e Tognazzi immediatamente congedati.
Vent’anni dopo, nel 1978, Tognazzi – che adorava scherzi, burle e provocazioni – accettò di essere complice di un’impertinenza del Male. Il giornale satirico lo fotografo in manette e titolò che era stato scoperto il capo delle Brigate rosse: Ugo! Mezza Italia cadde nel tranello e mezza Italia si scompisciò per le risate.
Ricordo rapidamente i film che seno rimasti nella memoria, immagino, di tutti. La Califfa (1971), Questa specie d’amore (1972), La tragedia di un uomo ridicolo {1981) che valse a Tognazzi la Palma d’oro al festival di Cannes come migiior attore protagonista. E ancora La marcia su Roma (1962) – di Dino Risi – e Il federale (1901). Importante il sodalizio con Marco Ferreri, suo grande amico: L’ape regina (1963), Controsesso (nell’episodio Il professore) (1964), La donna scimmia (1964), L’uomo dei cinque palloni (1965), Marcia nuziale (1966), L’harem (1967), Venga a prendere il caffè da noi (1970), con la regia di Alberto Lattuadla, L’udienza (1972), La grande abbuffata (1973), Non toccare la donna bianca (1974) e La stanza del vescovo (1977). I successi più popolari sono le trilogie di Amici miei (1975, 1982, 1985) e di Il vizietto (1978, 1980, 1985). E infine Ultimo minuto (1987), con Pupi Avati. Mentre i risultati di pubblico e critica sono tiepidi, quando si autodirige in cinque film: Il mantenuto (1961); Il fischio al naso (1966); Sissignore (1968); Cattivi pensieri (1976); I viaggiatori della sera (1979).
I suoi amici più cari e assidui furono Vittorio Gassman, Paolo Villaggio, Marco Ferreri, Luciano Salce e Mario Monicelli. Negli timi anni della sua vita si ammalò di depressione. Era un grande tifoso del Milan. Disse: «Sono milanista dalla nascita. Il Milan per me è stato prima la mamma, poi la fidanzata e poi la moglie. La moglie però si tradisce» (lo tradì con la Cremonese, quando la squadra della sua città arrivò in serie A).
Ho incontralo altre volte Tognazzi, da adulto, ma la nostalgia mi riconduce sempre a quella estate a Torvajanica, alla sua passione per il tennis e soprattutto per la cucina. E quanto lo sfottevano i suoi amici più affezionati! Paolo Villaggio ha scritto che alcuni invitati alla sua tavola «sparivano, i più fortunati intossicati per alcuni giorni, altri per sempre». E una volta Ugo sorprese Monicelli, che stava raccogliendo gli avanzi del pranzo. «Ma che fai?» E Monicelli: «Li porto all’Istituto di criminologia».