Pasta, una filiera da 61 miliardi per difendere il primato del Made in Italy

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Accordo storico tra coltivatori, trasformatori e commercianti di prodotti per l’agricoltura e delle semenze. Turchia ed Egitto stanno predendo quote di mercato

C’è ancora qualcosa in Italia in cui siamo il numero uno, la pasta. E non solo per la bontà del grano, le varietà infinite, ma per la quantità. Ne produciamo più di chiunque altro nel mondo, 3,3 milioni di tonnellate l’anno. E siamo leader anche nell’export. Una maglia rosa che però rischiamo di perdere nel grande frullatore della globalizzazione. Turchia ed Egitto si stanno prendendo pian piano quote di mercato. Certo sul palato il confronto non regge, ma ce ne accorgiamo noi italiani o i turisti che arrivano, mentre il mercato è mondiale. Non solo.

Molti agricoltori stanno abbandonando la produzione di grano duro, sempre meno redditizio. Così produttori e trasformatori hanno iniziato a fare squadra per arrivare a un’unità di filiera: si parte dal chicco di grano (non per forza italiano, non siamo autosufficienti) fino al pacco di pasta. Rigatoni, farfalle, fettuccine “made in Italy”. Tre parole di fila che sono un valore aggiunto. L’italian sounding che piace tanto al ministro dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio. Così in settimana su un campo di grano infuocato dal sole è stato siglato un accordo che vale 61 miliardi di euro e che coinvolge più o meno la metà dell’agroindustria italiana. Ci sono dentro grandi marchi, coltivatori, trasformatori. E da allora, e questa è la novità, sono entrati nella filiera anche i commercianti di prodotti per l’agricoltura e delle semenze, oltre all’Università della Tuscia, che disegnerà per la prima volta una mappa delle aree di produzione di grano duro di tutto il territorio nazionale, in termini di qualità e quantità. Ora la filiera (il cui primo accordo è stato firmato a dicembre) è completa. Tante le sigle del patto per la pasta, Cia, Alleanza delle cooperative, Confagricoltura, Copagri, Italmopa (i mugnai), Aidepi (industrie del dolce) e i due nuovi entrati, Assosementi e Compag.

L’obiettivo infatti non è solo fare buona pasta ma anche coltivare grano duro di qualità. Molti coltivatori però stanno abbandonando la coltura perché i prezzi di mercato da qualche anno sono maggiori dei costi di produzione. “Ma a differenza di altre nazioni – ha dichiarato Paolo Barilla, presidente Aidepi – noi italiani abbiamo la responsabilità di produrre pasta di altissima qualità e dunque abbiamo bisogno di grano buono, vincolato ai parametri della legge di purezza. Non sempre riusciamo a trovarlo in Italia”. Solo il 70% del fabbisogno arriva dai nostri campi. “Siamo i primi produttori in Europa – ha aggiunto Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura – eppure molti agricoltori non considerano più conveniente la semina. Con questa operazione vogliamo risolvere questo paradosso”. Operazione difficile a sentire chi sulla terra ci lavora. Un’emorragia che l’accordo vorrebbe fermare. L’appello è anche al governo. “Serve un piano cerealicolo nazionale”, ha dichiarato Franco Verrascina, presidente Copagri. Il raccolto atteso quest’anno è di 4,2 milioni di tonnellate secondo le previsione di Italmopa “di buona qualità, ma a rischio per il maltempo”. La mietitura però è appena cominciata.

Repubblica.it