“Con il decreto dignità arriva la Waterloo del precariato”: il vice premier Luigi Di Maio, dopo un mese passato all’ombra del dossier migranti e dell’altro vice premier Matteo Salvini, si riprende la scena in un lunedì di inizio luglio che lo vede passare, in una manciata di ore, dalle vertenze sindacali al decreto dignità: ovvero il primo provvedimento, di fatto, del governo giallo-verde. Ed è un provvedimento di chiaro segno pentastellato, che vieta la pubblicità sui giochi e limita le delocalizzazioni. Un decreto che, soprattutto, sferra un primo colpo al Jobs Act incassando, tra più di un dubbio, il placet del gruppo parlamentare della Lega. Non è una gestazione facile quella del decreto dignità. I problemi con le coperture, soprattutto relativamente allo stop alle pubblicità sui giochi, restano sul tavolo del governo fino all’ultimo e, nel corso della giornata, i contatti tra Tesoro, Mise e Palazzo Chigi sono fittissimi. Con il M5S che conferma al ministro dell’Economia Giovanni Tria l’intenzione di andare fino in fondo. Anzi, nella tarda mattinata Di Maio opta per superare le bozze che circolavano forzando la mano sul tema del precariato e aumentando la stretta sulla pubblicità ai giochi, che esclude i contratti in essere solo fino al 30 giugno 2019, a prescindere dalla loro scadenza. Nel corso del pre-consiglio al testo del decreto vengono aggiunti alcuni punti, come la riduzione da 36 a 24 mesi dei contratti a termine con causale (senza, la durata massima viene ridotta a un anno) o l’aumento del 50% all’indennizzo per i licenziamenti senza giusta causa. Tutte norme con cui il governo scardina il decreto Poletti e, in parte, il Jobs Act nel giorno in cui, attacca Di Maio, i dati Istat consegnano “un record di precariato e non di occupazione”.
Risultano invece smussati il punto delle delocalizzazioni (la norma non coinvolge i contratti in essere, le aziende perdono i fondi se lasciano l’Italia prima di 5 anni) e quello dell’abolizione dello split payment (solo per i professionisti). La preparazione del dl subisce diversi “stop&go”, il testo definitivo prende forma solo nel pomeriggio e le riunioni informali terminano una manciata di minuti prima l’inizio ufficiale del Cdm, che si concretizza alle 21 e finisce dopo circa un’ora e mezzo. Alla riunione non partecipa Salvini, impegnato a Siena per il Palio e che, prevista per le 20, in serata non risulta ancora iniziata. E il leader della Lega, nel day after di Pontida, prova a smorzare le voci sulle tensioni interne al governo sul dossier migranti. “Con Toninelli lavoriamo benissimo, c’è massima sintonia”, spiega Salvini. Ma, di fatto, con il decreto dignità il M5S prova a parare l’impatto dell’onda leghista, mettendo in campo un provvedimento che guarda spiccatamente a sinistra e tentando, così, di smorzare anche i malumori interni al Movimento emersi in queste ore sul dossier migranti e che hanno visto l’ala ortodossa “pressare” perché i vertici si occupassero dei temi delle origini, come il reddito di cittadinanza. E non è un caso che mercoledì, il presidente della Camera Roberto Fico – punto di riferimento dell’ala sinistra del M5S – dovrebbe partecipare al festival “il libro possibile” a Polignano per parlare proprio di reddito di cittadinanza. A scagliarsi contro il decreto dignità, infatti, sono gli alleati (sulla carta) di Salvini. “Per noi la dignità passa anche dal lavoro, per il M5S è assistenzialismo di Stato”, attacca il deputato di FI Marco Marin laddove la leader di Fdi parla “di impianto marxista che confonde la lotta al precariato con lotta al lavoro e alle imprese”. E la Lega? Fino a tarda sera non accenna a un solo commento sul provvedimento. Poi, al termine del Cdm, il Carroccio plaude le norme sulla delocalizzazione e l’abolizione del redditometro sollevando dubbi sulle misure anti precariato. Ma, si sottolinea, “nel complesso il giudizio è buono”. Il governo giallo-verde, per ora, regge.
ANSA