
Claudio Descalzi, a. d. Eni
Non accennano a diminuire le tensioni tra Eni e le comunità indigene della Nigeria. Cosa è successo? Ve lo spieghiamo subito. Nel 2010 il governo ha rinegoziato il contratto con ENI – Agip per lo sfruttamento petrolifero del Blocco 10 nella foresta amazzonica, senza applicare il diritto di consultazione previa, libera e informata dei popoli, delle comunità e delle nazionalità indigene. Tale diritto è espressamente riconosciuto e tutelato dalla Costituzione ecuadoriana (art.57) – oltre che dalla Convenzione n.169 dell’ILO – e riguarda tutti i processi decisionali relativi all’implementazione di piani e programmi di prospezione, sfruttamento e commercializzazione di risorse non rinnovabili presenti nei territori indigeni e che possano avere impatto dal punto di vista ambientale o culturale sulle comunità ivi insediate. La rinegoziazione prevede la riperimetrazione del Blocco, e amplia l’area concessa in sfruttamento al fine di includervi nuovi giacimenti petroliferi. In base a questa decisione, le comunità indigene che risiedono nel Blocco 10 si sono riunite e hanno elaborato una risoluzione che rifiuta l’ingresso e lo sfruttamento delle risorse presenti nel loro territorio. Il 13 maggio Salomé Aranda, una delle principali leader indigene Kichwa, impegnata nella difesa del suo popolo e dei popoli amazzonici dagli impatti delle attività estrattive, ha subito pesanti intimidazioni cui è seguita un’ondata di indignazione internazionale. Insomma, c’è poco da commentare: la faccenda è gravissima. E lo è fino a tal punto che Amazon Watch ha lanciato una petizione on line indirizzata al CEO di ENI Claudio De Scalzi per denunziare l’accadut, per sostenere l’attivistam per dare risalto al caso e segnalare le responsabilità dell’impresa petrolifera.