Vittorio Colao ha appena salutato Vodafone dopo dieci anni di proficua gestione di un’azienda che è diventata un gigante delle telecomunicazioni mondiali. Ed ecco che quasi contemporaneamente un altro manager italiano si appresta a dirigere un importante gruppo telefonico europeo dopo essere cresciuto in Wind fino a diventarne Ceo e dopo averne guidato la fusione con 3 Italia. Business Insider Italia ha raccolto questa intervista esclusiva con Maximo Ibarra che parla per la prima volta da quando ricopre il suo incarico ai vertici dell’olandese KPN.
Dottor Ibarra, lei è stato nominato Ceo di KPN a metà aprile. Come è stato l’impatto con un’azienda e una realtà differente da quelle italiane?
“Molto positivo, ho già potuto constatare che Kpn è un’azienda con una reputazione molto forte sul mercato, con un brand molto solido e un management molto competente. Dunque penso vi siano tutte le condizioni per fare bene e per far crescere questa società in un mercato che comunque rimane molto competitivo”.
Quali sono le differenze tra il mercato olandese e gli altri mercati europei delle telecomunicazioni?
“In realtà non esistono molte differenze tra i principali mercati europei in termini di concorrenza, in ognuno coesistono mediamente tre o quattro operatori con infrastrutture avanzate, alcuni con una significativa presenza internazionale. I Paesi Bassi non sono molto diversi, infatti hanno quattro player in forte concorrenza tra loro. Dal punto di vista invece dello sviluppo digitale l’Olanda è sicuramente uno dei paesi più avanzati d’Europa”.
L’Europa mantiene dunque un alto grado di affollamento di operatori telefonici, ce ne sono più di cento. E’ possibile, secondo lei, che a un certo punto parta un processo di consolidamento che porti a una sostanziale riduzione del numero degli stessi?
“A mio parere il consolidamento porta dei benefici solo se è interno a un paese e non trasnazionale. Solo in quel caso, infatti, le sinergie sono evidenti poiché si semplificano le procedure e si centralizzano le strutture e i processi. Razionalizzazioni che sono molto più difficili da realizzare se il compratore o l’acquisito è di un paese diverso. Se con una fusione all’interno di un paese gli operatori si riducono da quattro a tre, questi si rafforzano e potranno effettuare più investimenti in futuro”.
Questo punto di vista, però, non è stato sposato dalla Commissione Ue per la concorrenza guidata da Margrethe Vestager, la quale ha imposto a Wind e Tre che volevano fondersi alcuni “rimedi” per permettere l’ingresso di un nuovo quarto operatore in Italia.
“Vero, la Commissione ha preferito tutelare il mantenimento della pressione al ribasso dei prezzi che va a favore dei consumatori. Ma a mio parere il mercato sarebbe rimasto molto competitivo lo stesso, ed inoltre tre operatori più forti avrebbero potuto concentrarsi di più a fare investimenti in tecnologia per migliorare le infrastrutture ultra broadband e per lanciare nuovi e più innovativi servizi. Le telecomunicazioni sono un settore in cui bisogna investire continuamente per intercettare la crescita esponenziale delle tecnologie”.
Capisco che gli operatori possano non essere contenti dei vincoli imposti dalla Vestager, ma i consumatori dovrebbero esserlo. O no?
“I servizi tradizionali di telecomunicazioni stanno diventando sempre più delle ‘commodity’ e dunque si deve investire di più per trovare nuovi servizi. Gli operatori privati non possono stare troppo a lungo in un mercato con ricavi che non crescono e dunque hanno davanti due strade”.
Quali esattamente?
“La prima è sicuramente quella del “bundle”, cioè aggiungere sempre più servizi ai pacchetti costruiti su misura per privati, famiglie e imprese. Si va verso un’integrazione sempre maggiore tra servizi di telefonia mobile, fissa, video, tv, musica e Iot (Internet of things come video videosecurity e altro)”.
Alcuni operatori li hanno introdotti obbligatoriamente facendo pagare di più i clienti. E se un utente non li gradisse?
“Può facilmente recedere dal contratto e portare con sé il numero, nella telefonia ormai è una procedura molto semplice”.
La seconda strada a disposizione degli operatori per continuare a crescere?
“Trarre il massimo vantaggio dai dati che oggi dispongono per migliorare la propria offerta alla clientela che già possiedono. Oggi le strutture di analisi dei dati non sono sufficienti a sfruttare appieno questa possibilità. Poi possono costruire partnership con terzi per proporre ai propri clienti e a quelli dei partner uno spettro di servizi più ampio, con un sistema di revenue sharing. Creando nuovi servizi e contenuti grazie allo sviluppo della tecnologia che permette attraverso gli algoritmi di conoscere meglio i comportamenti dei consumatori”.
Saremo sempre più bersagliati da nuove proposte e offerte in tempo reale e a seconda di come e dove ci muoviamo? Un po’ come fanno già Google, Facebook, Amazon?
“In un certo senso sì. Secondo me le compagnie di comunicazione devono sempre più trasformarsi in aziende di comunicazione senza necessariamente entrare in competizione con gli OTT (Over the top, cioè appunto Google, Facebook, Amazon che non possiedono le reti ma offrono i loro servizi utilizzando le reti telefoniche, ndr.)”.
E che differenza ci sarebbe tra un operatore telefonico e un OTT nell’offrire un proprio servizio a un cliente?
“C’è una prima grande differenza che riguarda la portata e la dimensione: gli OTT operano su un mercato globale e non devono fare investimenti infrastrutturali mentre gli operatori tlc sono nazionali e devono continuamente aggiornare le proprie reti. Poi c’è una differenza regolamentare, per gli OTT ci sono meno vincoli nell’utilizzo dei propri dati e questa è una differenza che deve essere colmata, dando ai player le stesse possibilità. Oggi c’è più sensibilità su questo fronte e con l’adozione del nuovo regolamento europeo sulla privacy stiamo andando nella giusta direzione. Dunque sono fiducioso”.
Le compagnie telefoniche invece che andare a far concorrenza agli OTT potrebbero cercare di monetizzare meglio l’accesso alle proprie reti, perché non lo fanno?
“Per il forte elemento concorrenziale che si è venuto a creare sui mercati nel tempo e di cui abbiamo parlato all’inizio. Quattro operatori mobili su ogni mercato creano una pressione al ribasso sui prezzi e non permettono di investire maggiormente sulla tecnologia e sullo sviluppo dei servizi. Per questo dico che non si è guardato olisticamente allo sviluppo del settore: la mole di dati è crescente e gli operatori devono essere solidi e guardare al futuro. Con tre operatori in un mercato invece che quattro si ha comunque un buon grado di concorrenza e si favoriscono gli investimenti”.
Dunque il futuro delle compagnie telefoniche non è così roseo?
“Al contrario, ritengo che il buon andamento degli operatori telefonici sia fondamentale per tutti, anche per gli OTT. Al momento sono un po’ schiacciati a monte dai colossi del web, che sono stati più veloci a sviluppare nuovi servizi, e a valle dalla necessità di fornire prezzi sempre più concorrenziali ai consumatori. Inoltre sono operatori capital intensive e devono far fronte a una velocissima modernizzazione tecnologica. Ma credo che presto troveranno la via per far tornare a crescere i propri ricavi, magari anche attraverso operazioni di M&A non transfrontaliere ma mirate a settori diversi, come l’Information technology”.
Business Insider