Chi si aspettava i fuochi artificiali e champagne, dovrà accontentarsi di stelline incandescenti e Tavernello. Dopo settimane di attesa, lunedì 29 maggio è arrivata l’attesa proposta di Trentalia al Pirellone per mettere una toppa al disastro Trenord. La quale, al di là delle chiacchiere, si riassume in un solo dato: gli 1,6 miliardi per acquistare 161 nuovi treni promessi da Maroni quando era ancora presidente della Lombardia – oggi disponibili ce ne sono meno della metà, il resto è solo un impegno di spesa -, li metterà Trenitalia.
Non prima, però di aver ottenuto dal Pirellone in “usufrutto” quell’1% di azioni che le assicurerebbe la maggioranza in Trenord (attualmente la società è al 50% di Regione Lombardia tramite Fnm e 50% Fs) e quindi il ribaltamento dei patti parasociali, per i quali fino a oggi il board della società pubblica è stato deciso dalla Regione. Il discorso di Trenitalia è chiaro: io metto i soldi, io comando, anche perché «la governance duale paritetica ha fallito», come ha più volte dichiaro l’Ad di Fs, Renato Mazzoncini.
Un piano che ha deluso quanti si aspettavano che Trenitalia investisse insieme alla Regione e non in sostituzione di questa e che ha parecchi punti interrogativi. Primo fra tutti la durata del prestito azionario, che per l’AD di Trenitalia, Orazio Iacono, «è ancora in fase di definizione». Altra incognita, è cosa succederebbe se Fontana rifiutasse la proposta d’accordo: Trenitalia se ne andrebbe? Continuerebbe la situazione attuale, ma senza investimenti da parte del socio Trenitalia? Il Pirellone comprerebbe le quote Trenitalia? Inoltre, il piano non parla mai di rete ferroviaria, responsabile, insieme al materiale rotabile, della debacle del trasporto pubblico lombardo. Infine, sulla proposta permane la gigantesca spada di Damocle dell’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato, il cui via libera è tutt’altro che scontato.
In sintesi, l’impegno di Trenitalia prevede:
“Tutti i (161, ndr) nuovi treni regionali (operativi, ndr) entro il 2022, con tre anni di anticipo rispetto a quanto previsto (dal piano della Regione, ndr).
Dimezzamento dell’età media dei convogli, da 20 anni nel 2018 a 10 nel 2022.
Miglioramento della puntualità del 12,5%, entro il 2021.
Dimezzamento delle cancellazioni dei treni.
Aumento del 6% della soddisfazione del viaggio nel suo complesso (puntualità, pulizia, comfort, informazioni e permanenza a bordo)”.
E già qui un primo dato salta agli occhi: tra gli impegni promessi, spicca quello di far crescere la puntualità entro i 5 minuti del 12% entro il 2021, portandola alla soglia del 90% (sebbene il Contratto di servizio oggi in vigore preveda una puntualità media del 95%). Il che significa che attualmente Trenord è ben lontana quell’85% di puntualità dichiarato ufficialmente a maggio 2017 dai vertici di piazzale Cadorna.
Delle due l’una: o Trenitalia cita dati falsi sottostimando le performance Trenord, oppure Trenord non la racconta giusta sulle cifre.
Altro dato che colpisce, è la volontà di Trenitalia di dimezzare le cancellazioni, che nel piano di Iacono dovrebbero passare dal 3% attuale all’1,5%. Insomma, la proposta di Trenitalia ha sicuramente il merito di certificare ciò che Trenord ha negato per anni.
Ora la palla passa al governatore Attilio Fontana, il quale potrebbe essere anche ingolosito dalla prospettiva di cedere – temporaneamente – la sovranità su una società che ne offusca continuamente l’immagine. Dal suo punto di vista, se Fs migliorasse effettivamente il servizio, sarebbe una sua vittoria; se invece il servizio non dovesse migliorare, la colpa sarebbe di Trenitalia, un ottimo capro espiatorio. Senza contare che libero dall’impegno di spesa da 1,6 miliardi per i treni, il Pirellone si ritroverebbe con un discreto tesoretto da poter reinvestire, magari nelle autostrade, in primis Pedemontana, visto che privati e Stato non hanno intenzione di metterci un euro.
Ma il vero grande scoglio da superare si chiama Agcm. Se Trenitalia deciderà di sborsare 1,6 miliardi in tre anni per avere in prestito l’1% delle azioni, vorrà sicuramente avere la certezza di poter ammortizzare l’investimento nel lungo periodo. Pretenderà, cioè, la certezza che Trenord “vinca” il Contratto di Servizio di Regione Lombardia, in scadenza nel 2020, almeno per i prossimi 10/20 anni. Ora, l’orientamento dell’Anti Trust è che i contratti di servizio ferroviari debbano andare a gara. Basti pensare che l’ultimo procedimento in tal senso risale al 3 maggio 2018, quando l’Agcm “ha deliberato l’avvio di un procedimento istruttorio nei confronti delle società Ferrovie delle Stato S.p.A., Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. e Trenitalia S.p.A. per accertare se esse abbiano posto in essere un abuso di posizione dominante, in violazione dell’articolo 102 del TFUE, in relazione all’affidamento diretto a Trenitalia dei servizi ferroviari di trasporto pubblico passeggeri di interesse regionale e locale da parte della Regione Veneto”.
La posizione dell’Autority guidata da Petruzzella non è un mistero: è stata messa nero su bianco già il 16 novembre 2016 a proposito dell’affidamento senza gara ad Atac della ferrovia Roma-Lido. Nel documento, il Garante aveva pesantemente criticato il ricorso al prolungamento sistematico di contratti scaduti senza gara: pur riconoscendo la liceità dei provvedimenti, l’Agcm si auspicava “un rapido superamento della scarsa propensione alle gare da parte delle amministrazioni competenti, sottolineando (…) che il ricorso allo strumento della proroga dei contratti in essere dovrebbe avvenire soltanto in particolari e debitamente giustificate circostanze». E un prestito tra soci non sembra una di queste.
Andrea Sparaciari, Business Insider