Alzheimer, aumenta il rischio se si è insonni o sottopeso

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Durante la mezza età, essere sottopeso, essere vedovi e dormire meno di 7 ore sono fra i fattori di rischio associati successivamente allo sviluppo di una forma di demenza, quando si è anziani. A sostenerlo uno studio della Boston University School of Medicine

DIETA scorretta, mancanza di attività fisica, fumo e abuso di alcol sono fra i principali comportamenti che aumentano il rischio di diverse malattie, fra cui tumori, patologie cardiovascolari, diabete. Ma quali sono le abitudini di vita associate al rischio di demenza e in particolare di Alzheimer? Questa la domanda posta un team di ricerca internazionale, guidato dalla Boston University School of Medicine, che per rispondere ha svolto un’analisi su un vasto campione di dati. I risultati sono stati pubblicati sul Journal of Alzheimer’s Disease. Un elemento è sicuramente l’avanzare dell’età, ma questo fattore non è nuovo. Tuttavia, un po’ a sorpresa, anche un basso indice di massa corporea, un riposo notturno insufficiente e lo stato civile sono collegati alla probabilità di sviluppare l’Alzheimer o un’altra fora di demenza. Ecco in che modo.
Attualmente esistono delle terapie per rallentarne la progressione ma non c’è una cura risolutiva. In questo quadro, la diagnosi precoce e il trattamento tempestivo rappresentano le armi principali per affrontare la patologia. Ma anche conoscere e correggere eventuali abitudini di vita che possono aumentare il rischio è una strategia che può risultare importante.

LO STUDIO
Per questa ragione, i ricercatori di Boston hanno analizzato i dati dell’importante studio epidemiologico Framingham Hearth Study, condotto nel Massachusetts a partire dal 1948 e durato più di 30 anni, dal quale emerse come lo stile di vita fosse correlato alle malattie cardiovascolari. Ma la vastità di dati raccolti nel tempo ha consentito a vari gruppi di ricerca di studiare epidemiologia e fattori di rischio per molte malattie. In questo ultimo caso si è trattato delle demenze. In particolare, i ricercatori hanno considerato i dati su partecipanti di età compresa fra i 40e i 59 anni, raccolti dal 1979 al 1983, ed hanno cercato le associazioni con chi poi aveva ricevuto una diagnosi di demenza. Per analizzare i dati, i ricercatori hanno utilizzato modelli matematici come algoritmi di random forest e alberi di classificazione e decisione. “Si tratta del primo passo nell’applicare algoritmi di machine learning per identificare nuove combinazioni di fattori collegati ad un aumento del rischio di demenza”, ha spiegato la co-autrice dello studio Rhoda Au, così l’intelligenza artificiale è stata impiegata in ambito medico per fare previsioni statistiche.

I RISULTATI
In base ai risultati, l’età è risultata fortemente collegata al rischio della malattia, com’era prevedibile. Ma fra gli altri fattori individuati durante la mezza età, vi è l’essere vedovi, essere sottopeso (ovvero avere un Bmi minore di 18 – mentre avere un Bmi più alto sembra proteggere dalla demenza) e dormire meno di 7 ore, una durata inferiore rispetto a quella raccomandata per gli adulti dalle linee guida internazionali. Così, concludono gli autori, modificare alcuni di questi fattori di rischio, laddove possibile, come ad esempio seguire una dieta bilanciata e dormire un po’ di più, è un intervento terapeutico del tutto non invasivo e senza costi. E l’auspicio è questi cambiamenti, conclude Rhoda Au, possano portare a prevenire questa malattia.

Viola Rita, Repubblica.it