Il rapporto Unesco sulla situazione dei media, alla vigilia della Giornata mondiale. Aumentano i reporter uccisi, si espandono l’accesso alle informazioni ma anche le minacce del potere. Ad Accra la conferenza internazionale, campagna di decine di testate in difesa del pluralismo
Si celebra il 3 maggio il World Press Freedom Day, la giornata internazionale della libertà di stampa patrocinata dall’Unesco. Quest’anno alle celebrazioni per la giornata e alla presentazione dell’ultimo rapporto dell’organizzazione Onu a proposito di libertà di stampa si accompagna anche una campagna di sensibilizzazione cui hanno aderito alcune delle maggiori testate internazionali, tra cui Repubblica per l’Italia, sul tema “Leggi di più, ascolta di più, capisci di più”: un invito ai cittadini a informarsi il più possibile, diversificando le fonti, incrociando, verificando.
Mai come quest’anno la libera stampa è stata sotto il tiro incrociato di avversari di diversa natura. Il rapporto dell’Unesco World Trends in Freedom of Expression – che copre il quinquiennio 2012-2017 – individua quattro aree critiche: libertà, pluralismo, indipendenza e sicurezza. Con alcune note positive, come l’aumento dell’accesso all’informazione – sempre più paesi (da 90 nel 2011 a 112 nel 2016, soprattutto nell’Asia del Pacifico e in Africa) hanno adottato leggi sulla libertà di stampa. O la rapida crescita di quanti hanno accesso a Internet e dunque alle informazioni online: quasi la metà della popolazione mondiale (48% nel 2017). Ma parallelamente sono cresciute le minacce e le restrizioni. Sono stati ben 56 i casi di totale blocco di internet nel 2016 (furono 18 nel 2015). Con l’espandersi delle piattaforme transnazionali (come Facebook) si mette in evidenza il rischio delle “bolle informative”, ma anche la tendenza crescente agli attacchi di governi populisti contro il “cane da guardia” del giornalismo e il conseguente trend di sfiducia nella credibilità dei media. Un focus viene dedicato anche alle donne nell’informazione: sono 1 su 4 nei vertici dei media, 1 su 3 tra i reporter, 1 su 5 tra gli esperti intervistati.
Il rischio della vita è l’allarme numericamente ancora più eclatante: sono stati 530 i giornalisti uccisi tra il 2012 e il 2016, il prezzo più alto pagato in Sudamerica (125) e in Nordafrica-Medio Oriente (191). Anche se i casi dei reporter stranieri sono quelli che fanno più clamore, in realtà a morire sono nel 95% dei casi i giornalisti locali.
Giornalisti minacciati e che pagano con la vita il lavoro sul campo, in Paesi in guerra (gli ultimi caduti nella strage in Afghanistan pochi giorni fa) o dove la criminalità organizzata, il narcotraffico, la mafia non permettono intrusioni sul territorio.
Ma anche giornalisti esposti all’aperto conflitto con il potere per aver chiesto trasparenza e responsabilità a governi e forze politiche. E’ naturalmente il caso eclatante della guerra aperta tra media e Casa Bianca dopo l’elezione di Donald Trump, ma anche in Italia abbiamo avuto e continuiamo a scontare la campagna di discredito nei confronti dell’intera categoria – e di singoli giornalisti in particolare – scatenata dal Movimento 5 Stelle, che ne ha fatto una delle bandiere della sua ascesa elettorale. Gli allarmi vengono segnalati periodicamente dai rapporti di osservatori indipendenti, come l’ultimo di Reporters sans Frontières.
Per celebrare la 25esima edizione della Giornata internazionale,l’Unesco ha riunito per due giorni ad Accra (Ghana) decine di speaker provenienti da tutto il mondo, con un focus particolare sull’Africa e il Medio Oriente. Il tema scelto dall’organizzazione Onu quest’anno è “Tenere sotto controllo il potere: media, giustizia e legalità”. In contemporanea, in tutto il mondo, vengono organizzate decine di eventi sul tema della libertà di stampa e di espressione (qui la mappa).
Il programma della conferenza concentra i riflettori sui casi in cui i media hanno contribuito a rendere il potere più trasparente e hanno costretto le autorità a rendere conto ai cittadini. Si discute dell’importanza dei media nella trasparenza dei processi elettorali, e anche del rapporto tra giustizia e informazione: dove occorre maggiore protezione, ma anche quali sono i rischi dei richiami a maggiori regolamentazioni, soprattutto in Rete.
Tra gli oltre 700 partecipanti, oltre a giornalisti (alcuni testimoni oculari di realtà ad alto rischio, come il siriano Hussam Eesa del collettivo “Raqqa is being slaughtered silently”), anche politici, giuristi, accademici, rappresentanti di organizzazioni non governative dedicate alla libertà di stampa in ogni angolo del mondo. Diciotto sessioni parallele su temi come la censura via internet, le molestie sessuali dirette contro le giornaliste, i protocolli di autodifesa e protezione dei dati digitali che i giornalisti dovrebbero conoscere e applicare, la libertà d’espressione artistica nell’era digitale.
La conferenza è anche l’occasione per un’esperienza di prima mano per i giornalisti, che avranno l’occasione di sperimentare tecniche di autodifesa – online e offline – con l’aiuto di una serie di esperti. Sarà presentata una ricerca su questo tema specifico, condotta dal centro studi sull’informazione dell’università del Ghana.
La conferenza si chiude con l’assegnazione del premio Guillermo Cano per la libertà di stampa, che quest’anno è stato assegnato al fotogiornalista egiziano Mahmoud Abu Zeid, conosciuto come Shawkan, incarcerato dal regime di Al Sisi.
Raffaella Menichini, Repubblica.it